3 - Il centro commerciale

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Rachel non era mai stata in quella zona di Olvak o, almeno, non da quando si era svegliata dal breve coma. Gli edifici, tutto sommato, erano in buono stato, tutto il contrario di quelli che aveva esplorato nei giorni precedenti, a volte sradicati da terra come delle semplici erbacce infestanti e scaraventati contro altri edifici, altre proprio fatti a pezzi o disintegrati. Le strade erano regolari e percorribili, non dissestate o interrotte da voragini di cui non si riusciva nemmeno a vedere la fine. Rachel doveva aver trovato un'oasi nel deserto. Quella tranquillità, quel silenzio quasi assordante e le insolite condizioni in cui riversava l'intera zona misero la ragazza in agitazione: c'era qualcosa di dannatamente sbagliato in tutto quello, se lo sentiva fin dentro le ossa.

Procedendo adagio adagio, e senza mai abbassare la guardia, Rachel arrivò al cospetto di una gigantesca e lattiginosa costruzione, ricoperta per intero da migliaia di mattonelle e sporcata dalle polveri sollevate dai feroci angeli della morte da quando avevano invaso la città di Olvak. Si trattava del centro commerciale eretto qualche anno prima da un ricco imprenditore locale, attività che poi aveva permesso alla città di andare incontro al rapido sviluppo economico che, in breve tempo, l'aveva resa famosa in tutta Eden. Insomma, il cuore pulsante di Olvak, un cuore che, però, da diverso tempo, aveva smesso di battere. L'enorme struttura, paragonabile, come dimensioni, ad una trentina di edifici posizionati uno accanto all'altro, sorgeva su un ampio piazzale rettangolare e si sollevava da terra per oltre una ventina di metri. La facciata rivolta verso il distretto nord, il più martoriato della città,  presentava una grande bocca rettangolare nella quale si inserivano due paia di guide d'acciaio sospese a mezz'aria. Difatti, il centro commerciale, una sorta di piccola città nella città, faceva parte della linea ferroviaria Rathos-Minaly ed era attraversato ogni giorno da decine e decine di aerotreni a levitazione magnetica. Anzi, era una delle fermate più richieste da coloro che percorrevano quella tratta.  

Possibile che non abbia mai esplorato questa zona della città? si domandò perplessa Rachel, senza però riuscire a darsi una risposta. Era probabile che la zona in questione fosse spesso frequentata da loro, ragione per la quale era meglio tenersi il più possibile alla larga. Ma se così fosse stato, sarebbe dovuta essere ridotta come il resto della città, invece sembrava che una qualche barriera l'avesse protetta da tutta quella violenza, dalla loro furia devastatrice. Qualcosa non tornava. Ad ogni modo, ormai si trovava lì; tornare indietro non rientrava tra le opzioni. Sempre con passo felpato, Rachel iniziò ad avvicinarsi a quello che, poco tempo prima, doveva essere stato uno degli ingressi pedonali principali. Lo si poteva intuire dalle sue dimensioni, abbastanza ampie da permettere il via vai di un gran numero di persone, dai quattro vani di forma cilindrica che riempivano tutto lo spazio a loro disposizione, e dalla non proprio modesta insegna affissa sopra di esso, talmente malridotta da essere diventata illeggibile. La lettera più esterna, composta da un insieme di piccoli tubi al neon intrecciati tra loro, oscillava a destra e a sinistra come il pendolo di un orologio. Un sinistro cigolio andava a tempo con il suo apatico movimento. Abbassando lo sguardo, estese macchie di sangue bagnavano il livido manto stradale che si allargava di fronte all'ingresso e la facciata smunta dell'edificio. Rachel rabbrividì. Non riusciva neanche ad immaginare quante anime innocenti avessero perso brutalmente la vita quel giorno, recatisi lì per delle semplici compere e inconsapevoli che, quelli, sarebbero stati i loro ultimi istanti. Di loro non era rimasto altro che il sangue, a testimoniare quanto fosse effimera e fragile la vita in quel mondo. Con il cuore che le martellava nel petto, la ragazza si avvicinò all'ingresso e poggiò la schiena sulla parete prossima alla prima porta girevole. Sospirò, cercando di tirar fuori tutto il coraggio che c'era in lei, poi si sporse appena appena dall'uscio del grande ingresso. Esaminò con sguardo accorto l'interno del complesso commerciale fino a dove i suoi occhi erano in grado di arrivare, tuttavia la fitta oscurità che regnava sovrana al suo interno non le permise di andare oltre un palmo dal naso. 

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