2 - La lettera

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Un nuovo giorno sorgeva all'orizzonte e i primi raggi della stella Kirsolki, il sole di Verily, illuminarono timidamente ciò che restava della, un tempo fiorente, città commerciale di Olvak. Alcuni di essi riuscirono a penetrare, non con poca difficoltà, attraverso il cumulo di macerie che seppelliva il rifugio, andandosi a poggiare delicatamente sul viso della giovane Rachel. Kirsolki le aveva dato il suo buongiorno.

Rachel si svegliò alla stessa maniera di come era andata a dormire, con lo stomaco che si contorceva per la fame e sola come un esemplare di Corintuum, un fiore che cresceva solitario nel deserto di Ghol. Con tutta la calma del mondo, la ragazza si stiracchiò e si mise seduta sul ciglio del letto, deformandolo completamente. Un brivido freddo percorse da cima a fondo il suo corpo quando poggiò i piedi scalzi a terra. Realizzò che si trovava nel bel mezzo della stagione fredda in un'abitazione senza riscaldamento e senza più delle pareti isolanti e che quindi, quel gelo, era una condizione più che normale.

Brr si muore dal freddo pensò, sfregando tra loro le mani nel tentativo di scaldarle. Non se le sentiva più ed era quasi certa che se non fosse riuscita ad ottenere un po' di calore in quel modo, le sarebbero cadute a terra come corpi morti. Tirò un sospiro di sollievo quando, dopo un paio di minuti, tornò a percepire un pizzico di calore in loro. La prima difficoltà della giornata era stata superata; ne restavano ancora un numero incalcolabile.

Con la circolazione di nuovo a pieno regime, Rachel prese gli stivali, poggiati vicino al suo lettuccio, e li indossò insieme ai calzettoni di spugna che aveva lasciato al loro interno quando se li era sfilati la sera precedente. L'odore era acre e pungente, ma erano gli unici che aveva e che le permettevano di mantenere i piedi al caldo. Non aveva la fortuna delle altre ragazze di Eden, che potevano aprire il proprio guardaroba e scegliere ogni giorno un nuovo outfit; lei doveva accontentarsi di quello che Olvak aveva da offrirle e di nient'altro. Quando, a causa dei bordi frastagliati di alcune macerie o di un qualsiasi incidente, i suoi abiti si laceravano, per ottenerne di nuovi, Rachel era costretta a sottrarli ai cadaveri e a lavarli sotto la pioggia o con la poca acqua che sgorgava fuori dalle condutture spaccate. Si sentiva sporca alla sola idea di profanare i corpi senza vita di quegli innocenti, a privarli dei loro averi, ma se voleva sopravvivere ad Olvak, alle temperature estreme delle giornate invernali, non poteva fare altrimenti. I cattivi odori, all'ordine del giorno, non li sentiva nemmeno più.

Indossati gli stivali imbottiti, Rachel si alzò e si diresse verso il suo cappotto, buttato a terra vicino all'ammasso informe di panni che chiamava letto, e lo raccolse. Si sentì quasi in paradiso quando lo indossò e si domandò per quale recondita ragione se lo era tolto prima di andare a dormire, essendo così caldo e morbido. Mentre allacciava i bottoni del cappotto, l'occhio le cadde su un secondo giaciglio, poco distante da quello dove aveva trascorso la notte. Era vuoto; lo era oramai da giorni. Nella mente di Rachel riaffiorarono i ricordi di quando lui, incapace di stare fermo durante la notte, arrivava al mattino completamente scoperto e infreddolito. Quando lei lo vedeva in quello stato, indifeso e tremante, prendeva una delle sue coperte e gliela poggiava sulle spalle.

Se non stai attento, ti prenderai un malanno gli ripeteva in continuazione, sia quando dormiva sia quando lo beccava sveglio. Un sorriso amaro si dipinse sul volto di Rachel. Quelli erano solo ricordi e non c'era la possibilità che potesse di nuovo prendersi cura di lui.

Con un velo di tristezza stampato ancora in volto, la ragazza prese dal borsone le altre tre confezioni di cibo in scatola della Blankett e le rovesciò sul piattino che aveva lasciato sopra alla maceria che usava come tavolo. Mentre ingurgitava quella purea melmosa, si mise ad osservare la stretta crepa dal quale si era sporta la mostruosa creatura la sera prima. C'erano ancora le tracce del suo passaggio, impronte rosse come il sangue che macchiava le strade devastate di Olvak. Non si era trattato di un sogno, dopotutto. Quel rifugio non era più da considerarsi sicuro e quelle chiazze sulla parete ne erano la prova. Le restavano due alternative: cercarsi un nuovo rifugio, l'ennesimo delle ultime due settimane, o abbandonare la città quello stesso giorno. Rachel, però, non aveva alcun piano pronto e non aveva abbastanza risorse per affrontare un simile viaggio. Infine, le mancava il coraggio. L'ultimo tentativo di fuga le aveva lasciato una profonda cicatrice che non si era ancora rimarginata, che sgorgava sangue come un fiume in piena, e non voleva rivivere un'esperienza simile a quella che aveva distrutto la sua vita.

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