Capitolo VII - Alice

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Sebastiano smontò da cavallo e lo condusse nel fienile guardandosi attorno circospetto. Non ci teneva a essere visto mentre violava la sua consegna. Una sola parola riferita alla persona sbagliata sulla sua fermata fuori programma e avrebbe potuto passare dei seri problemi. Aveva anche pensato a una storia plausibile su un ferro mancante al suo palafreno, ma preferiva non essere costretto a dovervi ricorrere.

Il suo vecchio diceva che, come un'incudine era il primo attrezzo del fabbro, la lealtà era il primo attrezzo di un messo. Nessuno avrebbe portato un ferro a raddrizzare a un fabbro senza incudine così come nessuno avrebbe affidato un messaggio a un messo sleale. Per questo una bugia poteva costargli molto cara.

Richiuse la porta alle sue spalle e mise il paletto. Il grande ambiente era immerso nella penombra e vuoto: Alice era in ritardo. Si guardò attorno, già pentito di aver dato retta a ciò che aveva nei calzoni, quando sentì un fruscio di paglia provenire dal palco sopra la sua testa.

«Alice sei lassù?» domandò e, individuata la scala a pioli poggiata contro l'impalcato, prese a salire.

Un'ombra si mosse oscurando per un breve attimo i fasci di luce solare che passavano tra le tavole della parete. «Alice?» domandò ancora, fermandosi a guardare in alto.

Improvviso, qualcosa fu scagliato di sotto e gli finì in faccia, accecandolo. Sentì un suono rapido di passi e quasi cadde nel tentativo di districarsi da ciò che gli avvolgeva la testa. Era un vestito. Profumava di Alice. La sentì ridere da sopra il palco e sorridendo a sua volta si inerpicò su per gli ultimi gradini.

«Manca poco che per il tuo scherzo mi ammazzo cadendo dalla scala» disse guardandosi attorno. La vide fare capolino dalla paglia, la vista delle spalle nude gli fece immaginare altre nudità sotto il fieno e si affrettò a raggiungerla per poterle scoprire.

«Sei in ritardo e fa freddo» disse lei lasciandosi abbracciare e baciare. «Stavo quasi per rivestirmi.»

«Non devi più farlo adesso» gli sorrise lui. «Penserò io a scaldarti.»

Accolse le mani di lei a liberarlo dei vestiti mentre tra un bacio e l'altro si beava della vista del seno generoso che affiorava tra gli steli dorati. Pieno di desiderio, spinse la faccia in tutta quella morbidezza e un attimo dopo già dormiva.

Alice depose delicatamente la testa di Sebastiano sulla paglia e, riposto tra i capelli il lungo spillo con cui l'aveva appena punto, scivolò via dal suo abbraccio. Non perse tempo a rivestirsi nonostante il freddo; scese la scala invece, e raggiunse il palafreno. La bestia era inquieta: lei non piaceva troppo agli animali, forse perché intuivano la sua natura. Riuscì comunque ad aprire la bisaccia e a prendere la borsa delle lettere. Le scorse una a una senza trovare quella che cercava. Non era possibile che lui non avesse la lettera con sé quindi ispezionò con cura l'altra bisaccia e i suoi effetti, fino a trovare la tasca cucita all'interno del pastrano che aveva lasciato gettato di traverso sulla sella del cavallo.

Scucì la tasca e prelevò la lettera. Il simbolo di Roccacorva impresso sulla ceralacca le diede la conferma che era il messaggio che cercava. Non poteva rompere il sigillo o avrebbero saputo che era stato intercettato. Si avvicinò invece a una delle fessure tra le tavole e guardò la missiva contro la luce del sole.

Poteva intravedere un ingarbugliato arabesco di tratti vergati di nero. Scorse i caratteri uno a uno decifrando le parole che componevano il messaggio. Non riusciva a vedere tutto il testo, ma individuò il nome della città di Varona e poi con una smorfia di disappunto l'appellativo di Sua Eminenza e la parola "inquisitore". Era più che sufficiente per le informazioni che cercava.

Ripose la lettera nel pastrano, ripassò il filo aiutandosi con lo spillone. Non era proprio come prima, ma poteva sembrare che la cucitura si fosse allentata.

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