Capitolo XXV - Milla parte II

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Il risveglio era giunto portato dal dolore. Aveva urlato sentendo qualcosa come un'affilata lama rovente attraversarle la testa e aveva perso di nuovo i sensi. Da allora tutto il suo mondo era precipitato nell'oscurità e il tempo aveva smesso di avere un senso. Gli occhi le bruciavano e le dolevano sempre, sentiva le lacrime bagnarle la faccia, la febbre la faceva tremare e ogni tanto il terrore di non riuscire più a vedere nient'altro che buio la faceva urlare e dibattere negli stretti confini della sua prigionia fatta di cinghie di cuoio e di duro legno.

Tenebre. Veglia e sonno indistinti, se non per gli incubi a volte vividi altre deliranti e per l'oblio che, di quando in quando, pietoso, scendeva a darle tregua. Tutto si espandeva, si contraeva, si amalgamava in un pastoso insieme che non aveva tempo. Potevano essere passati giorni come settimane o mesi interi.

Ora però era sveglia.

Era sveglia e lucida, il dolore quasi scomparso, sentiva le bende che le fasciavano la parte superiore della testa, dal naso in su. Sentiva le palpebre chiuse, gli occhi gonfi sotto la garza, sentiva la paglia contro la pelle, il suo odore mescolato a quello acre e umido del sotterraneo. Aveva freddo: era nuda sotto la paglia.

Il primo istinto fu quello di aprire gli occhi, ma esitò. Aprirli e scoprire che le tenebre erano ancora lì sarebbe stato spaventoso. Sapeva che l'uomo dalla testa d'uccello le aveva fatto qualcosa agli occhi, ma fino a quando non li avesse aperti avrebbe potuto avere almeno la speranza che fosse stato tutto un brutto sogno. Eppure doveva sapere. Si fece forza e portò le mani alla testa tirando via le bende, la pelle del viso era estremamente sensibile, se la tastò con le dita. Era gonfia e sotto gli occhi sentiva qualcosa, la crosta di una ferita rimarginata e forse delle cuciture. Ritrasse le dita spaventata mentre le lacrime tracimavano scendendole lungo le guance. Trasse qualche respiro cercando di non piangere e poi aprì gli occhi. Con un certo sollievo oltre le palpebre non c'era solo tenebra, ma mura di pietra e festoni di ragnatele sotto una bassa volta di mattoni. La vista era un po' sfocata, ma riusciva a distinguere i confini di una minuscola stanza dal soffitto basso. C'era un'unica uscita ed era sbarrata da una robusta porta di legno.

Si sollevò a sedere, un po' incerta, cercando di tenersi la paglia contro il corpo e strizzò gli occhi nel tentativo di vedere meglio. Fu allora che notò la cosa nera. Fuoriusciva dal giaciglio e scompariva oltre la porta, sembrava una corda, ma era irregolare come il tralcio di una pianta e dall'aspetto viscido come il corpo di un'anguilla. Era incredibilmente nitida nella stanza sfocata e al tempo stesso si faceva indistinta come un'ombra d'inverno non appena smetteva di strizzare gli occhi.

La seguì con lo sguardo vedendo che usciva dalla paglia del giaciglio e le saliva fino al collo. Anche se non ne avvertiva il peso era evidente che fosse legata ad essa, così la prese tra le mani e cercò di capire come fosse assicurata. Con le dita la risalì fin sotto al mento trovandola sgradevolmente "viva" al tatto, fredda e viscida come la pelle di un rospo. Scoprì così che quella cosa, quel tralcio, non era legato al suo collo bensì, più orribilmente, ci entrava dentro, subito sotto al mento.

Le sfuggì un lamento toccandosi il punto in cui la sua pelle calda e quella cosa gelida si univano, si fondevano come una cosa sola. Paura e disgusto si mescolarono al ricordo di quando aveva visto una sanguisuga attaccata al braccio di un uomo, giù nella città bassa. La similitudine con quel tralcio freddo e nero e un crescente senso di panico le imposero di strappare via quella cosa da lei.

Provò a tirare e fu colta da una fitta agli occhi e da un acuto senso di fastidio, ma sulla sofferenza prevalse l'impellenza di liberarsi di quell'orrida appendice. Riprovò con maggior vigore e la vista si offuscò accompagnata da un crescente senso di oppressione al petto. Quel sinistro legame tra tralcio e sofferenza le provocò un tale terrore che anziché fermarsi aumentò la forza, nell'istintivo tentativo di estirpare quella cosa. Gli occhi presero a bruciare e a lacrimare, sentiva il petto come schiacciato da un peso che le impediva di respirare, una lancinante fitta di dolore le esplose nel torace, si irradiò lungo la spina dorsale togliendole il respiro e ogni forza negli arti. Sentì il suo corpo afflosciarsi, incapace di reagire si rovesciò in avanti e cadde riversa sul pavimento.

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