Capitolo XXIX

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Da giorni le notizie si rincorrevano come cani randagi nei vicoli, bisbigliate agli angoli delle strade o tra i banchi del mercato, oppure ancora tra i tavoli delle osterie, in questo caso non sempre sottovoce in quanto il volume di voce dell'oratore era regolato dalla quantità di birra bevuta. Era fatto noto che gli Inquisitori avessero interrogato almeno una decina di persone negli ultimi sette giorni, mentre voci non confermate e di dubbia attendibilità parlavano di un numero doppio di scomparsi. Oltre ai fatti noti e alle dicerie, tenevano campo le disquisizioni a proposito della reputazione di questo o quello, si scommetteva sul nome del prossimo che sarebbe stato condotto nella vecchia caserma, nuovo quartiere generale del Sacro Ufficio e già ribattezzata la Casa Nera, nome di certo ispirato dal tetto in lastre di ardesia, ma più teso a indicare il colore della giornata di quanti vi venivano condotti.

Anche i due Inquisitori avevano ricevuto il loro nome sul campo. Irina di Monvalto Inquisitrice dei Sette Chiodi era stata chiamata la Vergine di Ferro, sia in omaggio alle storie che la volevano ancora illibata, sia in riferimento allo strumento di tortura che si diceva fosse stato da lei fortemente voluto nelle segrete della Casa Nera e portato direttamente da Varona.

Dego figlio di Tonio il Rosso era invece divenuto per tutti l'Esecutore e in questo caso le ragioni erano molteplici. Era nato come scherno per la sua evidente subalternità a una donna, pur parlando di una come la Vergine di Ferro; poi per il fatto che era sempre lui a comandare la squadra che prelevava i malcapitati destinati alla Casa Nera e che eseguiva le ispezioni; e ancora perché, si diceva, dietro quell'aria così pacata fosse lui a manovrare gli attrezzi di tortura.

Tutte queste voci tenevano tanto banco che le questioni di cuore del Capitano Iorio con la bella cameriera erano passate in secondo piano, cosa che aveva permesso a Sebastiano di dimenticarsi dello strano colloquio avuto con mastro Berto e di vivere una settimana idilliaca, beatamente ignaro della presunta storia d'amore tra il Capitano e Alice. Purtroppo tutto era destinato a finire per l'ora di pranzo del giorno successivo, ma ancora lui ne era inconsapevole.

Finita la cena lasciò gli avventori intenti in un fitto conciliabolo a proposito dello speziale che pareva fosse stato visitato dall'Esecutore e salì al piano di sopra, nella sua camera.

Aggiunse qualche pezzo di legna nella piccola stufa di terracotta, avvicinando le mani al piacevole calore del fuoco. Era un vero lusso avere la stanza riscaldata, ma valeva la pena spendere qualche soldo di rame in più visto che se lo poteva permettere. Alle sue spalle la porta si aprì e si richiuse. Si voltò e vide Alice sfilarsi l'abito da sopra la testa, stagliarsi per un attimo nuda alla fievole luce della stufa e poi infilarsi sotto le coperte.

«Che ci fai lì, ancora vestito? Io sono qui che ti aspetto» lo chiamò con un sorriso invitante.

Sebastiano si liberò della casacca andando verso il letto. «Fammi spazio» le disse, ma Alice gli fermò la mano che voleva scostare le coltri.

«No, no» sorrise impudente «Giù i calzoni o non ti faccio entrare.»

«Mi vuoi vedere nudo? Guarda che non sono bello come te» disse Sebastiano mettendo mano al bottone che chiudeva i pantaloni.

«Lascia che sia io a giudicare» stabilì Alice accomodandosi tra i cuscini.

Sebastiano abbassò i pantaloni fingendo pudore poi le si mostrò atteggiandosi come una statua, facendola ridere.

«Allora?» domandò, cambiando posa, mostrandosi nell'atto di mostrare i muscoli «Sono bello?»

«No, sei brutto come tutti gli uomini» lo stroncò Alice ridendo ancora per l'ennesima posa.

«Così mi mortifichi» chinò la testa Sebastiano poi afferrò repentino le coltri e la scoprì. «Tu invece sì, che sei tutta da vedere» le disse, impedendole di ricoprirsi nonostante le sue proteste, tirandole via coperte e lenzuola mano a mano che lei tentava di recuperarle ridendo.

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