Capitolo XXXVII

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Per due giorni, dopo quello che era successo con Nicodemo, Milla si era tenuta alla larga dall'Oltre. L'unica concessione era stata per accertarsi dello stato della sua anima. Con un certo sollievo aveva scoperto che la mano bruciata nell'incidente si era rigenerata. Dopo la prima notte le dita non si erano del tutto riformate e l'arto era di un vivido colore rosso, ma già a sera il processo di guarigione era completato, se si escludevano un debole rossore e una profonda spossatezza. Per due giorni aveva rigato dritto seguendo gli ordini di Asmodeo e assolvendo i compiti che lui le assegnava, ma alla fine la ferma determinazione a trovare un modo per liberarsi aveva avuto la meglio sulla paura.

Così, nel tardo pomeriggio del terzo giorno, finiti i suoi incarichi, si era stesa, aveva chiuso gli occhi ed era uscita. Si era librata fuori dal letto, oltre la porta e poi oltre le mura. Ormai lo faceva con la naturalezza nata dalla crescente pratica. Il dipanarsi della moltitudine di legami le diceva che Asmodeo si trovava nel suo studio, al piano di sopra, nelle stanze del vecchio mulino ancora in piedi. Così piegò le gambe fino quasi a rannicchiarsi su sé stessa, poi spiccò un salto oltrepassando il soffitto e giunse al piano superiore.

La massa di legami scompariva oltre la porta. Ispezionò tutti i tralci che fuoriuscivano dalla stanza dove si trovava Asmodeo fino ad avere la conferma che temeva. Il legame di Nicodemo non esisteva più. Quando aveva accidentalmente spezzato il tralcio di Nicodemo, aveva rotto il legame tra lui e Asmodeo, ma era quasi certa che quell'atto non l'avesse liberato. Negli ultimi confusi momenti prima di ripiombare nel suo corpo aveva sentito qualcosa. Aveva percepito Nicodemo che tornava indietro assieme a lei, l'eco dei suoi pensieri sconnessi, tutto l'orrore e l'immane sofferenza che stava provando. Aveva avvertito la sua coscienza fluire lungo il tralcio: era come se il legame lo stesse risucchiando. Era stato orribile, ma passato il momento non ci aveva più pensato, troppo presa dall'angoscia per la ferita al braccio e dal terrore che da un momento all'altro Asmodeo piombasse nella sua stanza per chiederle conto delle sue azioni.

Ora però quel ricordo continuava a tormentarla e con esso l'interrogativo sulla sorte di Nicodemo. Per quanto fosse restia a scoprirlo, sapeva che era necessario: se voleva trovare il modo di sfuggire al guinzaglio di Asmodeo era di vitale importanza trovare il giusto modo di rimuoverlo.

Guardò la porta con crescente nervosismo, tentata di tornare indietro. Non aveva più voluto avvicinarsi allo spaventoso gorgo attorno ad Asmodeo dopo la prima volta che l'aveva visto nel laboratorio, sia per l'inquietudine che quella cosa mostruosa le provocava, sia per il terrore che Asmodeo riuscisse in qualche modo a percepirla.

Fu il desiderio di libertà a darle il coraggio di affondare il viso nella porta della stanza in cerca di risposte, anche se non osò fare un solo passo nella stanza. Lui era seduto al tavolo e la tentacolare massa nera gli girava lenta attorno, le propaggini più lontane giungevano quasi a sfiorare le pareti.

Cercò a terra qualche traccia del moncone di tralcio o un qualsiasi indizio della sua precedente esistenza, ma non c'era niente. Il gorgo si muoveva quieto come agitato da una delicata brezza, il suo girare lo portava a curvarsi e a torcersi lontano da qualcosa di luminoso dentro a un vaso e nel contempo a protendersi e indugiare attorno a un piccolo parallelepipedo di un nero assoluto. Un'occhiata al mondo reale identificò l'oggetto come un piccolo portagioie di lacca rossa.

Quando un'appendice di quella cosa disgustosa, nel suo continuo moto, passò vicino alla porta tanto prossima da sfiorarla, si abbassò per restarne lontana. Fu allora che notò la macchia. Tra le pieghe più basse di quella massa informe c'era una macchia rossastra che si muoveva in modo discordante dal resto. Come se si dibattesse, le venne da pensare. Subito dopo sentì lo stomaco annodarsi e un velo di sudore gelido ricoprirle il corpo. Agghiacciata si spinse all'indietro con tutte le forze, volendo mettere tutta la distanza possibile tra lei e quella cosa.

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