Il villaggio di Mesamena prendeva il suo nome dall'omonimo colle, steso sul suo fianco morbido e annidato nel susseguirsi di ondulati pratoni. Il piccolo aggregato era costituito da case prevalentemente in legno, con tetti in paglia, vantava un'unica taverna, era abitato da gente semplice, per lo più pastori, e doveva il suo caratteristico odore di sterco proprio a questo.
Tommaso arricciò il naso per la puzza, ma poi si distrasse a guardare due giovani contadinelle passare leste vicino ai soldati intenti a caricare il carro. Prese il sacco che gli veniva passato e lo sistemò sul pianale: le due ora lo stavano guardando e ridacchiavano. Sorrise loro e prese il sacco successivo. La torre di avvistamento distava due ore di cammino lungo la carrettiera che saliva ripida attraverso la foresta e le loro occasioni di scendere fino al villaggio erano limitate ai rifornimenti e a qualche sporadica licenza concessa dal caporale. Erano passate settimane da quando avevano lasciato Roccacorva e la persistente mancanza di donne iniziava a fargli trovare appetibile anche una contadina sporca, con le mani indurite come quelle di un conciatore. Una delle due pareva anche abbastanza graziosa.
«Sbrighiamoci. Prima finiamo e prima facciamo una sosta in taverna» annunciò il Caposquadra e come gli altri Tommaso non se lo fece ripetere. Si domandò piuttosto se la contadinella graziosa sarebbe stata abbastanza disinibita da dare seguito con i fatti a quello che gli aveva promesso con gli occhi.
Raggiunsero la taverna ridendo e scherzando tra loro. L'oste li fece accomodare scacciando due capre che avevano trovato riparo nella sala di mescita. Tommaso guardò sconsolato gli spruzzi di olive nere lasciate dalle bestie, accantonando la speranza di sentire un odore diverso da quello dello sterco.
Ordinarono da bere e un grosso pezzo di arrosto da dividere tra i membri della squadra. Senza perdere il filo della discussione sui turni peggiori che potessero capitare alla torre, Tommaso cercò con lo sguardo la sua contadinella e invece vide l'oste parlare col Caposquadra: il primo sembrava preoccupato e il secondo pensieroso.
Curioso di natura, vuotò il boccale tutto d'un fiato, si alzò in piedi e diresse verso il bancone per sentire di cosa parlavano con la scusa di farsi versare il secondo giro di birra.
«...un volto orribilmente sfregiato, vi dico che non sembrava quasi umana. Non ne vado orgoglioso, ma mi sono tremate le ginocchia al solo vederla.»
«E vi ha fatto domande? Ha detto qualcosa?»
«No, assolutamente. Ha bevuto una birra in silenzio su quello sgabello laggiù tenendo il volto coperto. Poi si è alzata, ha pagato ed è uscita. Forse non ha niente a che fare con la sparizione del piccolo Elia, ma pareva proprio una strega e voi lo sapete che le streghe li mangiano, i bambini.»
«No, avete fatto bene a dirmelo» annuì il Caposquadra lasciando sul bancone un soldo di rame. L'oste raccolse la moneta facendo un cenno di ringraziamento e volse la sua attenzione verso Tommaso che fece un cenno col boccale.
Mentre l'oste spillava la birra, Tommaso guardò la sala ancora in cerca della sua contadinella, ma adesso la sua attenzione era stata attratta dalla storia appena sentita.
«Di che parlava?»
«Qualche giorno fa è scomparso un bambino da una delle fattorie e più o meno negli stessi giorni una straniera inquietante è passata dal villaggio.»
«Una strega?»
«Forse» si strinse nelle spalle il Caposquadra. «Se dovesse farsi rivedere l'oste ci avvertirà.»
«Non organizziamo una battuta per cercare il bambino e la strega nei boschi qui nei dintorni?»
«No, ora come ora non abbiamo tempo per occuparci di una strega, ci penseremo se diventerà un problema. Per quanto riguarda il bambino, manca ormai da giorni, che si sia perso o che l'abbia preso la strega purtroppo non ci sono speranze di ritrovarlo vivo.»
Tommaso prese il boccale e bevve. L'idea di non provarci nemmeno non gli piaceva e per di più, se avessero organizzato una battuta, sarebbe potuto rimanere qualche giorno al villaggio senza dover tornare subito in quel freddo rudere pieno di spifferi. Meglio la puzza di sterco che il gelido vento della montagna, meglio cercare un bambino e una strega che dover spostare pietre e travi in mezzo alla neve.
Stava per insistere ma fu distratto da un movimento di gonne oltre la porta sul fondo. Vide la contadinella fargli cenno di raggiungerla e subito dopo scomparire alla vista.
«Forse avete ragione» capitolò frettolosamente e seguì la ragazza nella stalla, sul lato opposto della strada, pronto a scoprire se era vero quello che aveva sentito raccontare a proposito delle contadine e della loro disinvoltura sotto la paglia.
Nello stesso momento, nelle profondità dei boschi che coprivano la parte alta del colle, in un vecchio rifugio di cacciatori, Hie Rhana imprecava sommessamente contro lo stufato che sobbolliva sul fuoco. Per quanto l'avesse cotta per ore, la carne era ancora dura come cuoio.
Un sommesso lamento la fece voltare, nell'ombra oltre le sbarre della gabbia improvvisata, il fuoco si rifletteva in due occhi azzurri pieni di lacrime.
«Non ti voglio sentire, ricordi?» ringhiò.
«Fa male» gemette il bambino.
«Farà più male se mi fai alzare per darti una lezione.»
Non ci fu bisogno di dire altro così poté tornare al suo fallimentare piatto a base di istrice. Detestava mangiare male, ma non era mai stata capace di imparare a cucinare alcunché e per di più trovare qualcosa da mettere sotto i denti in un bosco in pieno inverno non era facile.
Un suono di passi all'esterno le disse che Gano era tornato, si augurò con qualcosa che facesse meno schifo.
«Sei in ritardo» disse, nel momento stesso in cui apriva la porta.
«Cos'è questa puzza?»
«Questa puzza è il pranzo, se non hai trovato niente di meglio.»
«Non credo di voler mangiare quella roba. Perché non scanniamo qualche famigliola di contadini e ci prendiamo le loro scorte?»
«Dobbiamo restare nascosti, testa di legno! Non possiamo metterci a uccidere se non vogliamo essere scoperti. Già hai preso quel dannato moccioso!»
«Lui ha detto che voleva un bambino e questo mi si è parato proprio davanti. Che dovevo fare?»
«Lui non sa che farsene di un maschietto, stupido bestione! Vuole una femmina e non ha ordinato a noi di trovarne una, ma a Nicodemo. Un'orfanella bisognosa, proprio come la sua preferita.»
«Se non ci serve a niente uccidiamolo. Non fa altro che frignare e mi irrita.»
«Non lo uccidiamo. Non dopo tutta la fatica che ho fatto per tenerlo vivo. Andrà comunque bene per il laboratorio e comunque frigna perché gli hai rotto un braccio.»
«Non la smetteva più di dimenarsi, l'ho solo scrollato un po'» brontolò Gano sedendosi su uno degli sgabelli che scricchiolò penosamente sotto il suo peso.
Hie Rhana assaggiò di nuovo lo stufato, carne dura a parte sapeva di formaggio rancido e odorava di calzini sporchi. Con un ruggito afferrò il paiolo e lo scagliò fuori della finestra. Gano saggiamente si astenne dal commentare.
«Se il tempo regge domani scendiamo a fare scorte» stabilì Hie Rhana.«Facciamo rapporto su quello che abbiamo scoperto sulla squadra alla torre e consegniamo il moccioso.
Era orgogliosa del fatto che il Maestro le avesse affidato quella missione, ma non aveva mai sopportato il dilungarsi dell'attesa. Presto, molto presto, sarebbe giunto il suo ordine e lei non vedeva l'ora di poter uccidere tutti quei patetici soldatini che stupidamente si cullavano nell'illusione di essere al sicuro in quella vecchia torre.
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Il Fabbricante di Bambole
FantasySotto il crollo della propria casa la piccola Vania perde un braccio, una gamba e il proprio nome. Colui che la salva viene chiamato il Fabbricante, un uomo dedito all'alchimia più oscura e capace con essa di restituirle gli arti perduti. Sarà lui a...