Capitolo XLI

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ATTENZIONE! QUESTO CAPITOLO CONTIENE SCENE DI VIOLENZA ESPLICITE


Era una mattina soleggiata, l'aria era frizzante e odorosa di resina e terra umida. Tra i larici la neve che sul fondovalle si era già sciolta restava ancora nelle buche e negli angoli riparati. In cielo le nuvole si muovevano lente restando impigliate tra le rocce delle cime più alte. Sugli spalti i soldati camminavano senza fretta, facendo svogliatamente il loro dovere, annoiati di sorvegliare un posto che erano convinti non sarebbe stato attaccato.

Gli ultimi dispacci provenienti da Mesamena e da Roccacorva dicevano che gli eserciti di Baronte e Marteana erano in marcia, ma ancora lontani. Le vedette sugli spalti più alti non perdevano di vista la strada dell'AltaValle, attenti a segnalare eventuali avanguardie o piccoli gruppi di ricognitori. Il fuoco di segnalazione era tenuto rigorosamente pronto per essere acceso. Nessuno si curava troppo di guardare i dintorni della torre e quello si sarebbe rivelato presto un brutto errore. Quella mattina le fiamme si sarebbero levate alte, ma non sarebbero state quelle dei fuochi di segnalazione.

Hie Rhana guardò Gano e Ario, in attesa alle sue spalle assieme agli altri, tutti nascosti al riparo dei fitti cespugli di pino mugo che crescevano sulla cresta meridionale, ai piedi della torre. Nottetempo quattro giare erano state portate ai piedi della torre, incuneate in quattro fenditure tra le pietre. I tappi che le chiudevano erano stati rimossi. Il Padrone aveva detto che avrebbero impiegato tra le tre e le quattro ore per innescarsi e il tempo ora era agli sgoccioli.

Un improvviso movimento tra gli spalti attirò la sua attenzione, un soldato si era affacciato dai merli e guardava verso valle. Hie Rhana si volse a cercare quale fosse l'oggetto della sua attenzione e vide Lorsai Kon uscire dal riparo degli alberi al fianco del Padrone. A petto nudo Lorsai Kon era impressionante: l'ampio petto ingrossato da strati e strati di muscoli cuciti uno sull'altro, le massicce braccia rese ancora più gonfie dagli innesti. Ma se Lorsai Kon era spaventoso per la sua imponenza, l'esile figura del Padrone celata da una cappa nera, intessuta di rossi simboli alchemici, era forse ancora più terribile. Hie Rhana provò un brivido di piacere nel vederlo lì. Erano passati anni dall'ultima volta che avevano condiviso il campo di battaglia.

Asmodeo stese le mani davanti a sé mentre i soldati sugli spalti imbracciavano le balestre intimandogli di fermarsi. Si era mosso quando aveva visto il primo esile sbuffo di fumo fuoriuscire dalle giare; quando vide il secondo strinse le mani a pugno e le allargò di scatto. Quella recita sarebbe servita a rinforzare nei soldati della torre la convinzione di avere a che fare con la magia nera e questo avrebbe demolito il loro morale.

La violenta reazione alchemica preannunciata dalla combustione dei due inneschi divampò producendo, in una frazione di secondo, un immane calore che non poteva essere trattenuto né dalla terracotta delle giare, né dalla pietra della torre.

Ci furono quattro boati in rapida sequenza, quattro lampi di fuoco e poi il terreno fu squassato dal tremore delle mura meridionali della torre che crollavano portando con sé quanti si trovano sugli spalti.

Hie Rhana vide la torre scomparire nella colonna di fumo e polvere prodotta dal crollo. Un sorriso le si allargò sul volto poi scoppiò a ridere sentendo le urla di sgomento dei soldati e i lamenti dei morenti. Balzò fuori gridando ai suoi di seguirla e si lanciò verso la torre desiderosa di uccidere e compiacere il suo Padrone.

A testa bassa corse tra le macerie che un tempo erano state le mura, entrando nella caligine prodotta dalla colonna di fumo. Oltrepassò due cadaveri sepolti dal crollo e un terzo uomo agonizzante, schiacciato da una trave. Giunse nel cortile interno della torre e trovò le sue prime prede. Due soldati semi accecati dalla polvere le corsero incontro, il primo sollevò la spada per colpirla ma Hie Rhana si infilò sotto la traiettoria della lama e con un colpo ascendente gli fece volare via il braccio portante. Afferrò l'uomo per il moncherino insanguinato e lo scagliò contro il secondo soldato. Come si aspettava, l'uomo perse la sua unica occasione di portare un attacco per paura di colpire il compagno ferito. Erano così prevedibili da risultare patetici. Hie Rhana usò il punto cieco fornitole dalla copertura del primo soldato per girare attorno al secondo, quindi gli infilò la spada nelle reni. Non perse tempo a guardare l'uomo accasciarsi a terra; entrò nella porta da cui i due erano usciti. Sulla sommità di una scala un soldato la attendeva. Lo vide levare lo scudo mentre la attaccava con una picca. Evitò di stretta misura il primo affondo mentre la sua spada si infrangeva innocua contro lo scudo. In uno spazio così ristretto lo scudo le impediva di portare attacchi incisivi e nel contempo la picca la impegnava senza che lei riuscisse ad avvicinarsi a sufficienza al suo avversario. Dopo altri due assalti inconcludenti, con un ringhio Hie Rhana caricò il colpo.  Sentendo la forza fluirle nel braccio, menò un fendente sullo scudo mandandolo in pezzi e tranciando il braccio che lo sorreggeva. La lama non si fermò, proseguì invece il suo arco squarciando il giustacuore di cuoio, la pelle, le costole, lo sterno per poi uscire sul lato opposto. L'uomo stramazzò a terra mostrandole che dietro di lui, nella stanza, c'erano altri due uomini. Con un sorriso crudele salutò le loro espressioni atterrite.

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