Capitolo IX - Dego

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Dego guardò verso l'alto osservando la pioggia venire giù da un uniforme cielo grigio. Erano tre giorni di fila che pioveva senza pause apprezzabili tra un piovasco e l'altro. Cambiava solo l'intensità, passando da una fine acquerugiola a una pioggia fitta e pesante. Il risultato era che gli uomini erano fradici, la strada un pantano, le tende odoravano di umido e il cibo, chissà come, aveva lo stesso odore e sapore della stoffa bagnata.

L'umore era comprensibilmente basso tra gli uomini costretti a marciare sotto l'acqua, nel fango, ma inverosimilmente le due persone che sembravano avere l'umore più tetro erano comodamente sedute sui due cavalli davanti al suo.

Il primo era il messaggero che aveva recapitato la missiva al Sacro Ufficio di Varona e che Irina, senza tanti discorsi, aveva coscritto come guida. Dego ignorava come mai il giovanotto fosse tanto contrariato visto che veniva pagato per il disturbo e che faceva ritorno a Roccacorva, la città dalla quale era partito e a cui presumibilmente avrebbe comunque fatto ritorno.

La seconda era la stessa Irina, che sembrava irritata da tutto: dalla lentezza esasperante del viaggio, dall'insofferenza della loro guida, ma soprattutto dalla sua presenza; il secondo inquisitore che lei non aveva voluto fin dal primo momento. Lui aveva provato a restare in disparte, limitandosi a compiere il suo lavoro con efficienza, aveva osservato un rigoroso silenzio e si era anche tenuto discosto e fuori vista, ma sembrava che Irina mal tollerasse il semplice fatto che esistesse.

Alcune parole scambiate tra i soldati gli fecero riportare l'attenzione sulla strada. Oltre la collina era appena comparso un piccolo villaggio che prometteva cibo caldo e soprattutto un luogo asciutto dove stendersi.

Irina diede ordine alla loro guida di andare in ricognizione e trovare alloggio per la truppa in taverna oppure occuparsi di requisire un fienile e acquistare una cena calda e birra per tutti.

Guardando le spalle erette e rigide, l'orgogliosa postura della donna che nemmeno la pioggia incessante sembrava fiaccare, Dego prese una decisione. Se ogni sforzo per risultare meno indesiderato era stato fino a quel momento inutile, allora tanto valeva smettere di preoccuparsene e togliersi quantomeno qualche curiosità. Una volta seduto davanti al fuoco, con qualcosa di caldo in pancia, avrebbe colto l'occasione per fare tutte le domande che gli ronzavano in testa da quando erano partiti.

Poco più tardi il ragazzo tornò con la migliore delle notizie. C'era una taverna con un fuoco acceso e anche birra a sufficienza. Così una volta sistemati i cavalli nella stalla, gli uomini presero posto ai tavoli più vicini al focolare. Il locale era abbastanza spazioso e il proprietario più che felice di ospitarli, una volta che fu chiaro che l'avrebbero pagato. Con i corpi militari la cosa non era mai troppo scontata.

Dego addentò di gusto il pezzo di arrosto guardando nel contempo gli uomini sparsi per la sala, intenti a mangiare, a farsi riempire i boccali e a togliersi gli indumenti fradici senza troppo pudore.

Irina sedeva discosta dagli altri, lo sguardo inchiodato sul piatto, mangiava rigida e composta come sembrava fare tutto nella vita. Dego si domandò se fosse così anche sotto le coperte e subito dopo cacciò via il pensiero. Decise che era inutile temporeggiare ancora, si alzò dal suo posto e, portandosi dietro il piatto, andò a sedersi vicino a lei.

«Dovremo chiedere alla nostra guida se c'è una strada diversa dalla commerciale di Alamena. Venti armati che attraversano un territorio conteso, anche con lo stendardo del Sacro Ufficio rischiano di incappare in qualche impiccio.»

Irina sollevò lo sguardo dal piatto, come se improvvisamente si fosse resa conto di non essere sola.

«Non ci avevo pensato» considerò sarcastica. «Ti proporrò per un encomio al nostro ritorno, figlio di Tonio il Rosso.»

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