Cap. VII

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Ryon

Mi era stato insegnato a non perdere mai il contegno, a ricoprirmi di gelida indifferenza. Mi era stato detto che ci si aspettava che quelli come noi sapessero mantenere la mente lucida in ogni situazione. Dovevamo essere imperturbabili, calcolatori, distaccati.
La nobiltà rimaneva tale per questo. Perché eravamo superiori agli uomini, agli altri della nostra specie, a coloro che si lasciavano trasportare dai piaceri e dalla sete.

Ma io, io avevo perso tutto, tutta la mia razionalità, tutto il mio cinico distacco. Non riuscivo a sentirla urlare in quel modo senza perdere la testa.
L'avevo sempre saputo, nel profondo sapevo che l'avrebbe acquistata lui, il Signore Nebaron. Lo conoscevo da quando ero bambino, era il preferito di mia madre per la sua crudeltà e freddezza nel trattare la vita altrui.
Sapevo che l'avrebbe voluta perché una debitrice strega era un simbolo di potere, di status sociale. Ora era più simile ad un reale di quanto effettivamente fosse prima.
Lui sembrava solo apparentemente impostato, quando tornava nel suo palazzo perdeva totalmente il controllo di sé e diventava un vero e proprio mostro con le sue debitrici. Le storie che circolavano su di lui riuscivano a far accapponare la pelle persino al più spietato tra noi.

Ero stato io a portarla lì e che lo volessi o no, ora lei era una mia responsabilità.

Quando l'afferró e la bació contro la sua volontà, dopo averla appena picchiata, decisi che era troppo.
Mi mossi velocemente tra la folla e lo afferrai per le spalle, tirandolo indietro. Ero forte, ero forte come uno qualunque della nostra specie.
Lui si staccó prontamente da lei, sapeva benissimo di aver esagerato. Un morso, massimo un paio, questo veniva messo in vendita quella notte. Non lei, non il suo corpo.

"Dovreste comprarla per questo." Gli ricordai. Perché era il mio compito farlo, perché ero io che dovevo tenerli tutti in riga, sempre.

Mi guardò con aria di sfida. "Lo farò." Disse alzando il mento.
Sapevo il perché mi odiava più di tutti gli altri, lo ricordavo bene.
Ma non avrei iniziato una discussione per il suo atteggiamento sfacciato nei miei confronti, non l'avrei fatto mentre i suoi lamenti mi riempivano le orecchie.
Mi voltai verso di lei, l'avrei portata via. Ma quando feci per toccarla sporse le mani in avanti per cercare di fermarmi. Aveva gli occhi assenti, vitrei. Non mi stava davvero guardando, non stava guardando niente.
L'aveva colpita troppo forte. Troppo.
Le misi una mano sotto al collo per sorreggerle la testa ed una dietro le ginocchia per sollevarla il più delicatamente che potei.
Stava male, lo sentivo. Potevo sentire il suo cuore battere più lentamente, il suo respiro rallentare.

"Ti prego...ti prego..." lamentava.

Credeva che le avrei fatto del male? O forse non si era nemmeno resa conto che fossi io.

"Sono io Piccola Strega. Ti sto portando via. Va tutto bene adesso" era una bugia. "Stai bene. Stai bene"

Ma i suoi lamenti mi penetravano il cervello. Il modo in cui non riusciva nemmeno a tenere gli occhi aperti..

La posai sul letto della mia stanza e mi precipitai a prendere tutto l'occorrente.
Spesso nei miei viaggi raccoglievo tutta una serie di pozioni ed erbe, e in genere qualsiasi cosa fosse utile a guarire gli umani qui. A guarire me, perché io mi ammalavo, mi ferivo, io non ero un Eterno anche se ci andavo molto vicino.

Allungai una mano per toccarle il punto in cui aveva impattato sul tavolo con la tempia, ma lei si scansò bruscamente.

"Sto cercando di aiutarti." Era veramente una creatura testarda. Non ci vedeva più, a stento rimaneva ancora cosciente, eppure continuava a lottare con tutte le sue forze.

Uccello in gabbia (Stirpe parte 2)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora