Cap. XII

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Sersi

Alcune volte mi chiedevo cosa facesse la differenza.
Mi domandavo cosa ci fosse di diverso tra me e gli altri.
Forse l'estrazione sociale? O dipendeva tutto dal luogo in cui ero nata?
Pensai alle persone di quel posto dimenticato, a quel bambino che ormai non c'era più.
Le sue possibilità erano pari allo zero, non avrebbe avuto una vita lunga né tantomeno felice. E per cosa? Perché era nato in quel posto.
Io dal canto mio ero nata in una famiglia nobile caduta in disgrazia e nonostante questo, mi erano state date mille possibilità in più rispetto a quel bambino di ottenere una vita dignitosa.
Alcune volte mi guardavo le mani, quelle mani che avrebbero potuto fare del bene ma avevano tante volte scelto di fare del male.
E non meritavo la fine che aveva fatto quel bambino forse più di lui?
A questo pensavo mentre Nebaron mi trascinava nel suo palazzo.
Che era giusto.
Avevo avuto un carattere forte, arrogante, affilato come la punta di un coltello.
In quei vent'anni che erano stati la mia vita avevo dato tutto per sopravvivere.
Anche se mi aveva resa più fredda, anche se mi aveva resa più dura.
Ma la paura della morte, la paura della sofferenza rendeva il mio cuore più docile. Il mio battito più lento.
Non c'era arroganza né forza.
Mi lasciai trascinare.
Non mi guardai intorno, dato che non sarei più uscita da lí, avrei avuto molto tempo per farlo in seguito.
No, adesso volevo solo ricordare.
Il passato, casa mia, i miei genitori.
Le cose belle.
Per le cose brutte avrei avuto tempo da quel momento in poi.
Chissà cosa avrebbero pensato i miei genitori di me. Era stato cosi facile odiarli.
E non era dipeso da loro ma da me, io ero incline all'odio.
Come lo ero alla rabbia, alla vendetta, alla tristezza e al dolore.
Era facile odiare, facile riempire il cuore di rancore.
Mi permetteva di non legarmi alle persone, non davvero comunque.
Probabilmente tutto era partito dal tentativo di rendermi più semplice la vita, quel mettere da parte la loro morte come un giornale letto e riletto che viene infine gettato nel cestino.
Mi dicevo 'ah sono morti, beh non erano granché nemmeno da vivi comunque ' e aspettavo che la tempesta passasse.
Eppure non era sempre stato cosi.
Mia madre mi aveva voluto bene a modo suo, aveva tenuto a me. Perché sentivo l'esigenza costante di sminuire il suo amore? Di dirmi che non era abbastanza, che avrebbe potuto e dovuto fare di più?
Si occupava di me, dei miei desideri. E non bastava forse?
Purché non turbassi la famiglia, ero in un certo senso libera di fare tutto quello che volevo. Ed in questo avevo letto del disinteresse da parte sua ma forse non lo era, forse era il suo tentativo di darmi libertà.
E non era una cosa scontata, per quanto l'avessi sempre ritenuta tale.
Non lo era per Draco, comunque. Lui che non aveva la più pallida idea di cosa significasse avere una madre che ti accetta nonostante tutto.

Mi sentii fluire via il sangue dallo stomaco rendendomi conto che stavo pensando a lui.
Che il corso dei miei pensieri in un modo o nell'altro finiva sempre con lui.

Lo strattone al mio collare mi riportò a quella tetra realtà. Mi tirò dentro una piccola stanza, i pavimenti ricoperti di tappeti e stracci. Una finestrella sulle pareti di destra e sinistra, permetteva il passaggio di un po' di luce.
Dentro vi erano tre donne e due uomini. Erano seduti a terra e vicini tra loro in modo da potersi scaldare, perché i vampiri non sentivano né caldo né freddo e non si preoccupavano di noi umani.
Indossavano delle vesti simili a quelle che noi maghi riservavamo agli elfi domestici.
Era servitù e quelli che indossavano erano gli abiti della schiavitù.
Mi gettò nella stanza senza troppe cerimonie e fortunatamente i tappeti attutirono l'urto delle ginocchia contro il pavimento.
Nessuno di loro alzò lo sguardo verso di me, il che significava che erano abituati ad un certo ricambio di debitori.
Questo lo rendeva ancora più terrificante.
Erano morti? Scappati?
La pesante porta si richiuse.
Guardai i loro visi uno ad uno.
Avevano la pelle sottile e le ossa ben in vista, come tanti abitanti di quel posto infernale.
Le unghie spezzate o mangiate.
Eppure non erano affatto sporchi, capelli e pelle puliti. Il che significava che il loro Signore, il mio Signore, teneva alla pulizia.
Cercai, scrutando i loro corpi, ciò che davvero temevo di vedere più di qualsiasi altra cosa : i segni delle percosse, degli abusi.
Trovai dei segni di lividi su ognuno di loro, chi le braccia, chi le gambe, chi il volto.
Ma niente di più.
Li picchiava come aveva fatto con me.
Eppure non sembrava li torturasse, non fisicamente almeno.
Tirai un sospiro di sollievo ed aspettai.
Non mi aveva comprata per tenermi lì e questo perché io ero una strega, al contrario loro.
No, io sarei finita in bella mostra, ne ero certa.
Dopo qualche ora finalmente le sue domestiche si presentarono.
Si occuparono di me, lavandomi il corpo e donandomi gli stessi abiti degli altri. Mi lasciarono i capelli sciolti, che ricaddero pesantemente lungo la schiena.
Quando ebbero finito, non se ne andarono.
Il Signore si presentò poco dopo scrutando il loro lavoro, scrutando me. Poi con un cenno sbrigativo della mano gli disse di congedarsi.
Avevano tolto il guinzaglio ma non il collare che mi dava un senso di claustrofobia impressionante, come se limitasse la mia capacità di respirare. Spesso mi ritrovavo a cercare di allargarlo facendoci passare a forza almeno un dito.
Non mi toccò ma mi chiese di seguirlo e cosi feci.
Camminammo fino alla sala centrale del palazzo, dove stranamente era collocato un trono molto simile a quello della Regina, se non identico.
Non capivo l'organizzazione interna di Raasagh, ma i Signori dovevano essere al pari dei sovrani nello gestire un qualcosa, dubitavo si trattasse di terre dato che non ce ne erano.
Si sedette sul suo trono e mi fece avanzare posizionandomi in piedi alla sua destra.

"Strega, ti ho pagata molto." Cominciò "e tolta la soddisfazione di vedere il neo principe soffrire, in effetti ho riflettuto e credo di averti pagata persino troppo."
Fece una lunga pausa. Non so cosa si aspettasse che gli dicessi.
Mi dispiace di essere stata cara?
Chi diavolo ti ha chiesto di comprarmi?

"Perciò, per rientrare delle spese, ho deciso di rivenderti in parte. Non è una mia usanza e non l'ho mai fatto prima, ma d'altronde non ho nemmeno mai sprecato tutti questi soldi su una debitrice. Il tuo sangue fattelo dire, non è nemmeno cosi speciale. È amaro. Ma questo non c'è bisogno che si sappia troppo in giro. Posso rifare la somma che ho speso per te nel giro di una settimana."
Continuai a guardarlo con la coda dell'occhio senza dire una parola.
Ad onor del vero non stava nemmeno parlando direttamente con me, stava più ragionando ad alta voce.

"Partiremo da oggi, perché ti vedo ancora in ottima salute. Ti sorprenderà ma i tuoi acquirenti non sono altri Signori. Immaginerai il perché. Il principino deve aver fatto terra bruciata. Per me, in ogni caso, i soldi sono soldi e non mi interessa delle tasche da cui provengono."
Fece un cenno della mano a dei vampiri all'ingresso e questi aprirono le pesanti porte della sala.
Non c'era nessuno dall'altra parte.
Guardai le porte aprire su un immenso corridoio vuoto.
Poi Nebaron si alzò. Mi afferrò per il collare, quasi alzandomi da terra e mi trascinò al centro della sala.
Tirò fuori un pugnale e mi afferrò per i capelli alla base del collo.
Mi agitai. Sapevo che non aveva intenzione di uccidermi, ma non avevo nemmeno idea di cosa volesse fare con quel pugnale in mano.
Lo passo dietro la mia testa con un unico gesto deciso. Chiusi forte gli occhi, aspettando un'ondata di dolore che non giunse mai.
Poi un fruscio lungo le mie gambe, le caviglie, i piedi. Mi lasciò andare. Guardai a terra e capii immediatamente cosa aveva fatto.
Mi aveva tagliato i capelli.
Le mie mani corsero subito a cercarli e non li trovarono.
Erano corti fino al mento e avrei giurato che fossero tutti storti.
Quello ebbe un impatto su di me che non potei prevedere.
Era passato cosi tanto da quando avevo smesso di tagliarli, facevano parte di me.
Una volta Harry mi aveva preso una ciocca tra le dita e mi aveva detto che avrei dovuto tagliarli, io gli avevo risposto che a Draco piacevano lunghi.
A ripensarci mi venne da dare di stomaco, lì al centro della sala.
Draco era andato a farsi benedire cosi come i miei capelli. Era un tempismo comico.

Risistemò il pugnale e osservò il suo lavoro. Poi scoppiò a ridere.
Avevo sentito raramente ridere quei mostri.
Eppure la loro risata era esattamente come me l'aspettavo: tetra, inquietante, per niente gioiosa e che ti ghiacciava sul posto.
Era come se il corpo reagisse a quel suono con dell'automatica paura.
Se loro erano felici tu non avresti dovuto esserlo, per te significavano solo guai in arrivo.

"Ho fatto un pessimo lavoro" fu il suo unico commento.
Poi mi indicò una porta alla sua destra.
"Entra lì ed aspetta" ordinò.
I miei piedi si mossero da soli. Ero frastornata, amareggiata, impaurita. Una serie di emozioni che mi rendevano un'automa. Spenta.
Entrai e vidi una camera da letto, una normale e banale camera.
Con un armadio antico sulla sinistra, un camino spento sulla destra ed un grande letto a baldacchino al centro.
Mi sedetti sul letto e aspettai.

Ryon

Avevo saputo delle sue intenzioni nel giro di dieci minuti.
Vendere in parte una debitrice era una cosa che nessun Signore aveva mai fatto, il senso delle debitrici era proprio quello di non doverle condividerle.
Ma lui l'aveva fatto per dispetto a me, ne ero sicuro.

Quello che non poteva aspettarsi era che mi presentassi lì al pari di un banale acquirente, che entrassi nel suo palazzo e che gli strappassi il cuore dal petto, schiacciandolo sotto gli stivali.

Avevo una tale rabbia in corpo che non riuscivo a stare fermo e per uno della mia specie era una vera e propria rarità.
Non mi ero ancora abituato alla mia nuova vita.
Credevo sarebbe stato più semplice ma non era cosi. Non tanto per i miei bisogni, quelli sapevo tenerli a bada, era fin troppo semplice.
Ma per le mie emozioni. Erano piene, potenti, mi travolgevano come un torrente.
Niente a che fare con quelle degli umani.
Mi sentivo un eccesso in tutto.
E forse il me del passato non avrebbe mai compiuto un gesto del genere.
Non avrebbe mai dichiarato apertamente guerra ad uno dei Signori.
Ero diventato impulsivo, impaziente, violento.
Ma non mi dispiaceva, perché queste emozioni mi rendevano coraggioso, potente. Non avevo più niente da temere se non me stesso.
Arrivai al palazzo di Nebaron con il solo desiderio di vederlo morire e mi sentivo bene.
Fin troppo bene.

Uccello in gabbia (Stirpe parte 2)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora