Cap. XV

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Sersi

La neve cadeva leggera ma fitta quella mattina.

Mi ero svegliata da sola, eppure mi ricordavo di lui.

Presi un respiro profondo, guardando il soffitto e pregando che le risposte alle mie domande fossero incise nelle assi di legno sopra la mia testa.

Niente da fare.

Come si supera un'esperienza del genere? Avrei voluto che qualcuno me lo dicesse, che mi illustrasse passo per passo come tornare alla normalità, come essere di nuovo me stessa.

Mi aveva ripetuto che sarebbe andato tutto bene, volevo credergli. Ma non sapevo come, non mi aveva spiegato in che modo.

Si dice che quando si tocca il fondo non si può far altro che risalire, ma io il fondo l'avevo toccato tante di quelle volte che non avevo nemmeno più la forza per darmi la spinta e tornare in superficie.

Cosa avrei fatto da lì in poi? Come avrei strutturato la mia vita? Non ero più una debitrice ma non ero nemmeno... qualcos'altro. Non avrei venduto il mio sangue a pagamento nel distretto umano e non farlo avrebbe equivalso non avere da che vivere.

E non sarei nemmeno potuta rimanere al Castello ora che di base non avevo un valore agli occhi della Regina.

"Buongiorno principessa."
Mi alzai di scatto a sedere.
Era poggiato contro lo stipite della porta, aveva le braccia incrociate ed un'espressione volutamente neutra stampata in faccia.

Sbuffai e mi buttai a peso morto sopra i cuscini.
Non lo sentii avvicinarsi ma mi accorsi del movimento del materasso sotto al suo peso, quando si sedette.

Non parlò, cosi decisi che forse era la mia occasione per schiarirmi le idee.
"Che succede adesso?"
Silenzio.
Poi il materasso sobbalzò ancora.
Mi poggiai sui gomiti per guardarlo.
Si era sdraiato ai piedi del letto ed aveva chiuso gli occhi.
"Ryon" chiamai.
Mi stava ignorando di proposito.
Afferrai il cuscino e glielo spinsi sulla faccia.
Il suo petto tremò, stava ridendo.
Gettò via il cuscino e mi afferrò per i polsi.
"Stavi davvero tentando di uccidermi?" Mi chiese con un ghigno divertito.
"Stavo tentando di parlarti, ma ucciderti è più soddisfacente."
"È alto tradimento cercare di uccidere il Principe."
"Non penso che possiate trovare una punizione peggiore di quello che mi avete già fatto passare." Un gelo innaturale cadde tra di noi come la neve sugli alberi lì fuori.
Non so perché ma l'avevo detto.
Aveva smesso di muoversi, di respirare perfino. Ed io non sapevo come uscire da quel momento cosi soffocante.
Poi si mosse, mi lasció andare i polsi e le sue grandi mani cinsero il mio viso.
Eravamo cosi vicini che mi imposi di guardare altrove.
"Guardami." Mi disse con voce carica d'apprensione. Mi concessi giusto una sbirciata di sottecchi.
"Mi dispiace, non so se riuscirai mai a perdonarmi, e se cosi non fosse puoi odiarmi, puoi usarmi, qualsiasi cosa ti renda felice. Non posso cancellare quello che è successo, perdonami."
Sembrava cosi sincero, cosi vero, cosi ferito.
Scossi la testa e mi scansai dal suo tocco.
"Non mi devi niente" non tu, avrei voluto aggiungere.
Noi eravamo due estranei. Non era per lui che avevo preso scelte discutibili, non era per lui che avevo modificato la mia vita nella sua interezza, che avevo sofferto, sopportato, investito.
Non era lui.
E nonostante questo era stato lui a scusarsi, lui che non mi doveva niente, lui che avrebbe tranquillamente potuto lasciarmi morire.
Che l'avesse fatto per se stesso, per non diventare un mostro oppure per salvare me, non faceva alcuna differenza.
L'aveva fatto, almeno lui.
Poggiai la testa sul suo petto e chiusi gli occhi.
Le sue mani disegnarono il profilo dei miei fianchi, su per le mie braccia fino a fermarsi dietro la mia schiena e stringermi forte contro di lui.
Era passata poco più di una settimana e non avrei dovuto lasciarmi trasportare. Ma dal modo in cui mi teneva stretta mi ero resa conto che condividevamo lo stesso sentimento: la solitudine.
E cosi mi trovai a domandarmi chi fosse Arcadien Ryon oltre che al Principe di Raasagh.
"Hai sempre vissuto qui? In questo castello?"
"No, non sempre. Ho frequentato una scuola per maghi proprio come te." La voce gli rimbombava nel petto.
Era cosi rilassante ascoltarlo che facevo fatica ad aprire gli occhi.
"Raccontami di te."
Prese ad accarezzarmi la schiena con movimenti circolari, sembrava farlo incoscientemente mentre rifletteva sulla mia richiesta.
"Non ho mai conosciuto mio padre, aveva abbandonato mia madre quando lei era incinta di me di ormai sei mesi. Credo che non fosse pronto. Lei odia parlarne. Venne cacciata dalla sua famiglia e non so in quale momento della sua vita pensò che venire fin qui fosse una brillante soluzione, ma credo si fece trascinare da altre persone e alla fine raggiunse questo dannato posto.." Respirava piano.
La stoffa della sua camicia era incredibilmente morbida sotto i miei polpastrelli.
"..conobbe il mio patrigno in chissà quale dannata circostanza. Fu amore a prima vista in un certo senso, o cosi le piace ricordare. Lui era il Re. Vuoi l'amore, vuoi il suo status sociale, alla fine lei lo pregò di morderla e prenderla in moglie nonostante me. E beh, cosi fece."
Notai un filo di risentimento nella sua voce.
"Saresti potuto morire?"
Le sue mani si fermarono. "Credo fosse un rischio che avevano l'intenzione di correre."
"Sei il Principe, immagino ti abbia cresciuto come suo, il Re intendo."
"È cosi. Ero raro nel mio mondo, il primo della mia stessa specie in un certo senso. E riconoscermi mi rendeva uno scandalo minore. Non che mi abbiano mai accettato, nel caso te lo stessi domandando." Ridacchiò leggermente. "Qui vige da sempre una forte distinzione tra razze, chi caccia e chi viene cacciato ed io ero nel mezzo. Mi odiavano te lo assicuro."
"Perché avrebbero dovuto? Ami la tua gente." Mi sforzai di sollevare leggermente la testa e guardarlo. Teneva gli occhi chiusi, come se fosse rapito dal suo stesso passato.
"Nessuno mi avrebbe mai considerato come un Re. Sono carne da macello per questo posto. Nonostante abbia provato costantemente, per tutta la mia dannata vita, a tenere in riga tutti a stabilire un ordine, una parvenza di giustizia. Io non sono niente per loro. Non il loro Principe, non il loro Re un domani."
"Non ti meritano nemmeno."
"Cosa?"
"Non ti meritano. Fai di tutto per cercare una soluzione mentre la metà di loro lì fuori se ne fotte della sua stessa gente."
"Stai cercando di consolarmi Piccola Strega?" Ridacchiò ancora.
"Sto solo dicendo quello che penso."
"Alcune volte mi dico che meritiamo quello che ci sta accadendo. Che tutti hanno una dose di colpa, una responsabilità. Ma poi penso a chi è nato qui proprio come me e non ha nient'altro che neve e fame. È allora che mi impongo di fare qualcosa. Avrei voluto che qualcuno facesse qualcosa per me."
"Ryon.."
"No, va bene cosi. Non sono venuto a sputarti contro i miei traumi infantili, sono venuto a chiederti cosa vuoi fare oggi." E si tiró a sedere sui gomiti, facendo alzare anche me. Il linguaggio del suo corpo mi diceva una cosa chiara: conversazione finita.
"Non lo so. A dire il vero non ho idea di cosa fare dei miei giorni qui." Sospirai e mi alzai dal letto.
Dovevo vestirmi, tanto per cominciare. Aprii l'armadio cercando qualcosa di comodo da mettere.
L'usanza di Raasagh per l'abbigliamento femminile era particolare: nessun colore ad eccezione del rosso, dell'oro, dell'argento, del bianco e del grigio. Non esistevano altri colori lì, non venivano nemmeno presi in considerazione. E lo stile? Quello nobiliare era uno stile ricco, con ricami, perle, gioielli incastonati sui bei vestiti eleganti. Uno schiaffo alla povertà del distretto umano, con i loro cenci grigio sporco.
I vestiti nel mio armadio erano questo, vestiti nobiliari. Li trovavo inopportuni, io non ero una di loro e non avrei camminato tra la povera gente sfoggiando uno status preso in prestito.
Passai la mano distrattamente sui capi uno ad uno.
"Mi stai ascoltando?" La voce di Ryon mi riportó sulla terra.
"Sinceramente no. Questi vestiti sono tremendi, di chi diavolo sono?"
Fece un mezzo sorriso, tutto canini appuntiti.
"Chiedo scusa mia Regina se il vestiario non è di suo gradimento, farò scuoiare immediatamente 2 o 3 animali per offrirvi la pelliccia più pregiata." Con tanto di inchino profondo e plateale.
Alzai gli occhi al cielo. "Non ti sopporto"
"Sono io che non ti sopporto. Mettiti la prima cosa che capita e fattela andare bene o ti trascino fuori da qui in camicia da notte. E te lo dico, si vede tutto."
Per cercare di contrastare la vergogna afferrai una stampella e gliela tirai dritta sul naso.
Ma lui l'afferrò prima che lo colpisse.
"Sei un animaletto proprio violento."
Poi lasció cadere la stampella a terra. "Ti aspetto fuori, datti una mossa."
"Ma da quando mi dai ordini tu?" Gli urlai dietro.
"Da quando sono il tuo Principe?"
"Non sai nemmeno cosa voglio fare!" Protestai, ancora con un tono di voce alto perché potesse sentirmi mentre si dirigeva verso la porta.
"Ho deciso io cosa farai oggi, sai mentre nemmeno mi ascoltavi!" Urló a sua volta prima di sbattere forte la porta alle sue spalle.
"Stronzo." borbottai, solo per ricevere un minaccioso "ti sento!" dall'altra parte della porta.

Uccello in gabbia (Stirpe parte 2)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora