Com'è che dice quella frase che si legge spesso nei romanzi d'amore?
Che: "la persona giusta prima di aggiustarti la vita, deve incasinartela".
E ora, osservando l'uomo che amo, posso solo pensare che forse c'è un po' di verità in questi modi di dire. La sua presenza ha portato un vento di cambiamento nella mia esistenza, mescolando le carte e aprendo scenari che non avrei mai immaginato.
In questo caos, ho imparato a riscrivere le mie priorità e a vedere il mondo con occhi diversi.
Il suo amore è stato un tornado che ha spazzato via le mie convinzioni, aprendo la strada a una versione di me stessa che non conoscevo. E mentre mi perdo nei suoi occhi, capisco che il disordine che ha portato con sé è stato il preludio a cambiamenti che, ora, non posso fare a meno di accogliere con il cuore aperto.
Il cimitero a Roma è pieno di persone che vanno a trovare i propri affetti scomparsi.
Io e Andreas camminiamo mano nella mano tra mausolei e sculture di angeli su un sentiero che deve aver percorso centinaia di volte negli ultimi dieci anni. Nell'altra mano ha due mazzi di crisantemi bianchi.
Il fruscio leggero delle foglie degli alberi secolari accompagna il nostro passo, mentre ci addentriamo in questo regno dei ricordi, ogni dettaglio architettonico è un tributo all'eternità, un tentativo di fermare il tempo per preservare la memoria di chi giace al loro interno.
I colori dei fiori freschi si stagliano contro il grigiore delle lapidi, un omaggio vivido al passato che continua a vivere nei cuori di coloro che restano. I rami degli alberi formano un delicato baldacchino sopra di noi, filtrano la luce del sole in un connubio di ombre e riflessi.
Man mano che procediamo tra le file di tombe, il nostro rispetto per la vita e la morte si fonde con il riconoscimento della bellezza intrinseca nella commemorazione di chi non è più con noi.
A ogni passo, la solennità del luogo ci coinvolge, ma è anche un promemoria dell'amore che persiste oltre la fine. Intanto che il vento leggero ci accompagna, Andreas si ferma davanti una fila di lapidi appartenenti alla famiglia Angelucci.
Una parte di me ha sempre temuto questo giorno, in cui mi sarei trovata a guardare il viso della donna che, l'uomo al mio fianco, ha amato così tanto.
È bella, davvero molto. Ha lineamenti sottili, delicati, eterei, capelli di un rosso naturale, occhi cerulei. Nella foto ovale sul marmo bianco sorride, sembra felice e probabilmente doveva esserlo davvero. La sua vita era perfetta, fino a quando la morte non ha deciso di farle visita.
Liliana Angelucci. Nata il 12 Marzo 1976 e morta nel 14 Agosto 2017. Aveva 37 anni.
Nella tomba di fianco Martina Müller, una neonata, loro figlia, scomparsa in quella terribile notte. Oggi avrebbe dieci anni.
Lui sistema con cura i mazzi di fiori, uno per sua moglie, uno per sua figlia.
Con il cuore in gola, stringo la mano di Andreas, pronta ad affrontare insieme il peso dei ricordi. Era importante che fossi qui oggi.
Siamo due donne totalmente diverse che occupano un posto importante dentro di lui.
Liliana, il suo passato, il suo primo amore, la madre di sua figlia. Io, il suo presente, la compagna con cui ha deciso di costruire un futuro. Mi chiedo cosa vorrebbe lui da questo rapporto, voglio sposarlo con tutta me stessa, ma cosa si aspetta da me davvero?
Che fa una moglie? Si dedica totalmente al marito? Oddio, suona così opprimente e antico!
Cerca di capire le sue esigenze e di appoggiarlo in ogni sua impresa?
O è qualcosa di più, come il pilastro su cui creare una famiglia, condividendo non solo i momenti felici ma anche le sfide e le difficoltà? Cosa significa davvero essere una compagna di vita, oltre che un'amante?
Le domande fluttuano nella mia mente, ombre sottili che si insinuano tra le convinzioni e le incertezze di questo passo importante che stiamo per compiere. Vorrei capire le sue aspettative, scrutare nel suo cuore e decifrare i desideri.
Vorrà avere altri figli? Ed io? Io cosa voglio? Voglio essere moglie e madre?
Sono ruoli che non avevo mai preso in considerazione prima, forse perché la mia vita è stata sempre orientata in direzioni diverse e non ho avuto un grande esempio di famiglia prima.
Adesso, di fronte all'idea di comporne una con Andreas, mi trovo a riflettere su cosa significhi davvero essere genitori, su come cambierebbe la mia vita e cosa dovrei sacrificare o rinunciare per dare spazio a questa nuova fase.
Le insicurezze e le domande mi assalgono, un vortice che mi trascina in un territorio sconosciuto. Al tempo stesso, c'è una dolce eccitazione nel pensare a un futuro in cui possiamo condividere l'amore e la gioia con una piccola creatura che porta in sé il nostro amore. È un percorso che richiederebbe impegno, dedizione e la capacità di adattarci a nuove responsabilità, ma forse è proprio questa la bellezza di creare una famiglia insieme.
Dio... non sono sicura nemmeno cosa mangerò stasera a cena, figurati se riesco a progettare il futuro così su due piedi.
A volte mi sento come una nave alla deriva in un oceano di incertezza. Ci sono giorni in cui abbraccio l'ignoto con eccitazione, pronta ad accogliere ciò che verrà, altri giorni, invece, l'ansia per l'incertezza m'assale, e vorrei avere risposte chiare e definite.
Forse, la chiave sta nell'accettare che la vita è un susseguirsi di momenti imprevisti e che, anche se posso pianificare, devo essere pronta a navigare le acque agitate dell'inesplorato.
<< Sei così silenziosa. >>, nota lui, con dolcezza. Di solito è difficile che io tenga la bocca chiusa, tranne quando sono a disagio o ci sono eventi che mi riempiono di titubanze.
Camminiamo tra le file di tombe con passo lento, seguendo il sentiero della memoria che conduce attraverso le storie di chi non è più con noi, le lapidi narrano vite, raccontano di amori interrotti e di legami indissolubili.
Prendo una grossa boccata d'ossigeno, torturo la bocca con i denti.
<< Pensavo. >>, taglio corto. Non saprei nemmeno come impostare il discorso, mi sembra insensibile parlare di una cosa del genere, quando lui ancora deve riprendersi totalmente dalla perdita di sua moglie e della figlia.
Mugugna un verso preoccupato.
<< Brutto segno allora. >>, vuole portare i toni su una strada meno sconsolata. L'angolo della bocca si solleva, un'ombra lieta prende posto sul viso tranquillo. La visita al cimitero l'ha turbato meno di quanto mi aspettassi. << Il tuo cervello è un roveto aggrovigliato di spine nere e rose rosse. Che cosa ti turba? >>.
Rimescolo i discorsi, vorrei che avessero un impatto meno crudo.
<< Io vorrei farti felice. >>. È un buon incipit, ci giro attorno, la prendo alla larga.
Aggrotta la fronte, alcune ciocche di capelli ricadono ai lati degli occhi perplessi, il sole rischiara la pelle, le rughe d'espressione, le cicatrici sul viso sono rimarcate.
<< È quello che stai già facendo. >>, tranquillizza subito, poi capisce che c'è dell'altro che non riesco a dire. << Sento un "ma" bello grosso che sta per giungere. >>.
<< In realtà no, non il tipo di "ma" che intendi tu. Però vorrei farti ancora più felice di così. >>.
Scuote appena il capo, ha perso il filo principale del discorso.
<< Cosa intendi? >>.
Nervosa schiarisco la gola, mordo il labbro inferiore ed incontro il suo sguardo, già fermo su di me.
<< Io non lo so, è che... hai mai pensato di avere un'altra possibilità? >>.
<< Di che genere? >>.
L'ansia mi attanaglia le viscere, non c'è un altro modo per dirlo, quindi lo faccio come mi viene.
<< Come padre? >>.
La luce negli occhi muta d'improvviso, le ombra si schiariscono, un bagliore differente si diffonde.
<< Che stai cercando di dirmi, Elena? C-che sei incinta? >>. Attende solo una risposta affermativa per esplodere di gioia.
<< No, ecco io, no, non credo. Cioè, non adesso, però io mi chiedevo se sarebbe strano per te, creare una famiglia? >>. Continuo a schiarire la voce nervosa. << Non so se sarei una brava madre però, insomma non so neppure come arrivare alla fine di questa settimana, però ecco, se tu volessi. Io non direi di no. >>. Che discorso pietoso, avrei potuto fare di meglio! Perché non riesco a dire una cosa bella con la giusta dolcezza, semplicemente senza fare dei voli pindarici scadenti?
L'ombra del sorriso resta impresso sulla bocca chiusa, così come la luce, splende questo piccolo sole solo per me.
<< Hai pensato di fare dei figli con me? >>. Si ferma all'uscita del cimitero, oltre il grande cancello in ferro nero battuto. Sposta una ciocca di capelli dietro il mio orecchio, mi guarda come se fossi un angelo appena sceso dal cielo per benedirlo con il più prezioso dei doni. << Vuoi proprio toglierti ogni possibilità di fuga? >>.
<< Io non voglio fuggire Andreas, io voglio appartenerti in ogni modo umanamente possibile. Voglio alzarmi al mattino e vederti dormire, proteggerti da ogni male, essere il rifugio dove il tuo cuore trova pace. Voglio condividere i giorni di sole e ballare sotto la pioggia con te. Voglio essere la tua compagna di viaggio, affrontare le tempeste insieme e celebrare ogni successo, grande o piccolo. Non c'è angolo del mio cuore che tu non abbia toccato e non c'è altro posto dove preferirei essere se non al tuo fianco. E non m'importa di nient'altro, sarò sempre tua, in ogni risata, in ogni lacrima, in ogni respiro. Non voglio essere altro che tua. >>.
Assorbe con lentezza la mia dichiarazione, adesso è assurdamente facile parlare d'amore con lui: non ho proprio vie di mezzo. Si sta piano piano abituando che non intendo vivere una vita se non sono con lui. Ferma il mio viso tra le mani.
<< Sei così piena d'amore, ai nostri figli non servirà altro che questo. >>.
Ridacchio per la frase così stramba.
<< Figli? Siamo già al plurale? >>.
<< Che siano tanti, che sia solo uno o nessuno. È con te che vedo la mia vita fino alla fine. >>.
Poggio le dita sulla sua bocca, non voglio neanche pensare a questo. È un aspetto che mi corrode, tutti sono convinti al cento per cento che lui morirà prima di me, non hanno fatto che sbattermelo in faccia senza pietà sin dall'inizio e nessuno si è mai preoccupato se ciò mi avrebbe fatto male.
<< Ti prego, Andreas. >>. Sto per aggiungere qualcos'altro, ma una terza voce maschile interrompe il momento tenero tra di noi.
<< Andreas?! >>. È un bell'uomo sui quaranta, forse qualche anno in più, una riccia capigliatura castana ramata, occhi di un azzurro quasi trasparente. Alto, fisico curato, abiti scuri, giubbotto di pelle nera, jeans; ancorato al braccio ha il casco di una moto. Tra le mani un mazzo di fiori bianchi che ha comprato dal rivenditore in fondo alla strada.
Andreas fa un passo indietro, è come se si fosse indurito.
<< Rocco. >>, replica in un saluto, ma è tutto tranne che felice.
<< È da molto che non ci vediamo. >>. C'è tensione nella voce e tra di loro, vi è un trascorso di cui non sono a conoscenza e, se è per questo, non ho la più pallida idea di chi sia costui.
È tra le cose che non mi vanno giù di Andreas, lui praticamente sa tutto di me, io ancora annaspo nella sua vita. Ogni informazione mi viene elargita con il contagocce.
<< Già, sono stato molto occupato. >>. È una balla grossa quanto una casa, detta per toglierselo di torno in fretta.
Fa un passo in avanti, ha uno sguardo diretto, penetrante, ed accusatorio.
<< Tanto da non venire all'anniversario? >>, lo sta implicitamente rimproverando, che niente e nessuno poteva essere più importante di questo anniversario. La sua attenzione slitta sino a me, ed è come se volesse scavarmi dentro. Mi sento a disagio sotto quella lente d'ingrandimento acuminata, capisce che l'essere molto occupato di Andreas riguarda me, e d'un tratto divento la colpevole di qualcosa che neanche so. << Non mi presenti la signorina? >>. È sfacciato, diretto, come se fosse in diritto di intromettersi in affari che non lo riguardano.
Non ho bisogno di intermediari, posso benissimo presentarmi da sola.
Protendo la mano, non intendo farmi intimidire, non ho fatto nulla di male e non vedo perché devo sentirmi sotto accusa da uno sconosciuto.
<< Elena, salve. Sono la sua... >>.
<< Amica. >>, dice rapido Andreas, prima che possa dire "fidanzata". << È una mia cara amica. >>.
Una secchiata di acqua gelida mi si riversa addosso. Lo so che c'è dell'altro, ma essere definita solo "amica" quando sono molto di più, è una sferzata a tradimento che non mi aspettavo. Vorrei che il suolo si aprisse e mi inghiottisse.
Costui non è un suo collega di lavoro, quindi non vedo perché abbia dovuto mentire.
<< Te le scegli molto giovani le amiche. >>, gli dice con un misto di curiosità e cinismo, come se avesse scoperto un segreto scomodo, un'allusione non troppo velata. Ricambia la mia stretta con impeto, mezzo sorriso affilato. << Rocco, suo cognato: il fratello di sua moglie. >>.
Di primo acchito il mio cervello protesta: lui non ha più una moglie.
Poi, con orrore capisco, è un limite fumoso, sottile, ma confuso. Essendo la moglie morta, per lui, o forse lo pensano entrambi, è come se il matrimonio non si fosse mai concluso davvero, perché la morte ha spezzato qualcosa che, molto probabilmente, sarebbe durato per tutta la vita.
Ci sarà per sempre l'ombra della prima moglie a mulinare su di me.
Lui e lei hanno condiviso una parte della loro vita che nessuno può cancellare, neanche la morte. Per quanto io possa essere la sua compagna ora, c'è un senso di incompletezza, una voragine, che si insinua nella nostra storia.
La mente tenta di capire il confine tra il vivere con la memoria di chi non c'è più e il costruire un presente insieme a un uomo che ha già amato profondamente. La mia presenza diventa un tentativo di riempire uno spazio che la morte ha reso vuoto.
È questo che sono io, un ripiego che sta disperatamente cercando di saturare un abisso.
Tiro via la mano, non dico "piacere", perché non c'è niente che possa piacermi oggi.
<< Ci sarai alla cena di Natale? >>, chiede Rocco ad Andreas. << I miei genitori chiedono spesso di te. >>.
<< Sì. >>, mugugna di malavoglia. Non c'è un "forse" o un "adesso vediamo", spiegare chi io sia in realtà. Se non ha detto nulla riguardo me, è perché dentro di lui sa che non sono abbastanza importante da essere presentata a suo cognato per ciò che sono davvero.
Andrà alla cena di Natale, ed io? Io in tutto questo programma dove sono? Non ha pensato per un momento che avrei voluto passare io il Natale con lui?
Non c'è invidia o rivalità nei confronti di un'ombra, lei ha un suo posto, nessuno può cancellarlo, ma anche io ho il mio... almeno, credevo di averne uno. Forse, mi sono proprio sbagliata.
Adesso rammento dove ho visto prima questo Rocco.
Il giorno in cui ero in giro per i negozi con Francesca a fare acquisti, quando ancora tra me ed Andreas c'erano solo occhiate e nulla di più. Era il tizio con cui stava nel ristorante, anche all'epoca non mi era felice di trovarsi lì con lui.
<< Perfetto. Ti aspettiamo alla vigilia. >>. Rivolge un'occhiata quasi rallegrata a me, saluta con un cenno del mento. << Ciao amica di Andreas. Buona giornata. >>. È divertito di aver creato scompiglio, e adesso che ha portato a termine la sua missione se ne va.
Una volta soli, Andreas non mi riprende per mano per tornare alla macchina e d'altronde nemmeno io lo faccio. Se perfino questo gesto gli crea problemi, allora io devo essermi sul serio illusa.
Rallento il passo, sto camminando su una lastra di ghiaccio che si sta sbriciolando sotto i miei piedi. Mi fermo.
Lui se ne accorge poco dopo, si volta a me, non ha il coraggio di aprire bocca.
Lo sguardo tra noi è carico di significati non pronunciati, come se le parole, se liberate, potessero rompere l'equilibrio fragile tra noi due. Rimane un silenzio teso, ma densamente popolato di emozioni.
Le lacrime risalgono alle mie palpebre, le trattengo con rabbia, consapevoli che, una volta iniziate, potrebbero travolgermi.
Restiamo immobili, prigionieri di un'atmosfera che non sappiamo come sciogliere, la tristezza è palpabile, un'ombra che serpeggia tra i nostri corpi, ci separa e ci avvolge, senza darci tregua.
<< Vai a casa Andreas, preferisco restare sola adesso. >>. Devo avere l'aria di una che sta pensando di suicidarsi.
<< Perché? >>, sbotta allarmato.
<< Perché è così! >>, ribadisco con troppa collera. Non voglio litigare nei pressi di un cimitero, non con della gente che potrebbe ascoltarci. << Torno a casa mia a piedi. >>. Siamo venuti con la sua macchina.
<< È a mezz'ora a piedi Elena, per favore... >>. Fa un passo verso di me per toccarmi, arretro d'impeto, non voglio che mi sfiori neppure con il pensiero. << Lascia almeno che ti riporti a casa. >>.
Non è questa la vita che voglio, essere la seconda scelta, un ripiego, la nuova moglie che vive con la costante ombra della prima, la moglie di qualcuno che non ha il coraggio di dire chi sono.
<< Devi lasciarmi da sola. >>, calco di proposito il "devi" in un ordine perentorio. Se continua ad insistere inizierò a piangere pietosamente. Ed ora, sola, mi ci sento di nuovo. Una solitudine terribile che mi squarcia, scava dei crepacci e da lì dei dubbi atroci si insinuano.
Ci riprova ancora, non vuole lasciarmi a piedi con le giornate che si stanno accorciando, a breve sarà buio. Potrei incontrare chiunque, anche un malintenzionato.
<< Elena ti prego. >>, supplica letteralmente. L'influenza che ha su di me, fa vacillare.
Non lo guardo, gli passo vicino, diretta nemmeno io so dove.
<< Non aspettare una mia chiamata alzato. Buonanotte Andreas. >>.
Capisce l'avvertimento, che faccio sul serio, ciò che è successo è più grave di quanto immagina. Ho affrontato il mondo intero per lui, continuo a farlo e lui, sin dall'inizio non ha fatto altro che nascondersi, fuggire, respingermi... e adesso questo: la cosa più grave di tutte.
Cammino molto, non ho una meta, voglio solo mettere una grande distanza fisica tra me e lui, poiché quella spirituale è già più ampia del dovuto. Siedo su una panchina di un parco immerso in un giardino, sono senza forze, svuotata, un manichino.
Prendo il cellulare della borsa, cerco il numero di Francesca ed aziono la chiamata.
<< Ellie Ellie! >>, dice briosa lei.
<< Fra puoi venire a prendermi, per favore? >>. La mia voce è uno spettro di lacrime, che, come se mi fossi appena spaccata, sciabordano dagli occhi.
<< Elena che succede? Dove sei? >>, interroga più seria, quasi spaventata.
Le dico l'esatta ubicazione, dieci minuti dopo è già qui.
Mentre mi viene in contro la sua espressione cambia, da agitata a sconvolta, non appena mette a fuoco il mio viso.
<< Elena! >>. Corre ad abbracciarmi. << Che succede? Dov'è Andreas? >>.
Il suo nome mi procura una fitta al cuore, la stringo più forte e do sfogo ad un pianto atroce, che attira gli sguardi degli sconosciuti.
Ci sediamo sulla panchina e le racconto tutto, che Andreas è stato sposato, di come ha perso la moglie e la figlia, di quel Rocco, del suo non aver avuto il coraggio di dirgli di me, della cena di Natale, del mio non significare niente per lui, sono un fiume in piena e più parlo e peggio mi sento. La mia relazione con Andreas è basata su un'idea folle, un'illusione, qualcosa che è sempre esistito solo nella mia testa.
I singhiozzi mi riempiono talmente tanto il torace, che tossisco forte e rischio di strozzarmi.
Francesca ascolta in silenzio, con gli occhi che si riempiono di compassione, non aveva la più pallida idea che la verità fosse questa.
Il vento freddo della sera taglia il volto bagnato, sono vulnerabile come mai prima d'ora.
<< Lo so che me lo avete detto tutti! Che era troppo grande, che non andava bene, che non poteva durare, che era una follia! E sapere di non essere importante per la persona che ami, quanto lei lo è per te è un dolore che mi devasta. Ma non puoi obbligare qualcuno ad amarti! >>.
Francesca accarezza i miei capelli, prova ad asciugare le lacrime, ma per quante lei ne porti via, altrettante ne cadono.
<< Elena, l'amore è follia: me lo hai insegnato tu. Non puoi mettere regole rigide ad un sentimento così. Sì, te lo abbiamo detto tutti, ma nessuno poteva chiederti di non innamorarti di lui e di amarlo. È successo perché doveva succedere, e non puoi fartene una colpa. >>. Prende le mie mani tra le sue. << Ma prima di prendere qualsiasi decisione, devi piangere ancora un pochetto, sputi fuori tutto questo dolore, io ti faccio la pasta con i broccoli che ti piace tanto e ci dormi su. Domani, se ancora non sei calma, replichi di nuovo, piangi un po', ti cucino qualcos'altro che ti piace tanto e ci dormi su di nuovo. Fino a quando non sarai con la mente lucida. E solo allora saprai cosa è meglio per te. >>.
Annuisco più volte, ma non riesco a smettere di piangere.
Francesca mi guarda con occhi indulgenti, ma anche lei sa che ci sono ferite troppo profonde per essere sanate con semplici parole di conforto. La solitudine mi avvolge come un mantello oscuro, eppure, in questo momento, è l'unico rifugio che mi rimane.
La decisione si profila all'orizzonte, ma l'incertezza di ciò che verrà dopo mi tormenta, creando un vuoto doloroso che si aggrappa alle fibre stesse della mia anima, la vita continua a sfuggirmi di mano, e mi ritrovo a navigare nell'oscurità di questo destino incerto.
Note:
Il titolo al capitolo è dato da Gilles Deleuze e la Filosofia del Molteplice:
Deleuze ha proposto una filosofia del molteplice, in cui l'identità è fluida e in costante cambiamento. Conoscere davvero una persona, secondo Deleuze, implica riconoscere la molteplicità delle sue sfaccettature e l'evoluzione nel tempo.
La storia può presentare errori ortografici.
Un abbraccio.
DarkYuna.
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Tra le pagine di Te // (Alunna-Professore)
Romance[Completa] Elena, tu sei come un cerchio. Intero, perfetto, senza spigoli né angoli, non hai bisogno di niente e di nessuno, perché sei già completa. Io sono una scheggia, un frammento, che non si può adattare a te... dovrei spezzarti per entrare ne...