28 L'Amor Caritas

102 6 3
                                    

6 mesi dopo.








Il tempo è un artista crudele che dipinge i giorni sulla tela della vita. Anche quando il tratto è fatto di lacrime, il quadro si completa, e noi impariamo a portare con grazia il peso dei ricordi.
Ma il tempo non concede tregua, né si ferma davanti al nostro dolore. Le sue mani inesorabili continuano a dipingere, sovrapponendo nuovi strati di giorni alla tela già intrisa di lacrime.
I contorni sfumano, la nitidezza si dissolve, e ci ritroviamo a navigare tra le venature di un passato che non smette di emergere, il tempo, spietato ed indifferente, continua il suo lavoro implacabile, portando via pezzi di noi con ogni ritocco.
Intanto che cerchiamo di abbracciare il presente, la tela della vita si srotola ancora, rivelando nuovi dipinti fatti di gioie sfiorite e promesse infrante, il dolore diventa il colore predominante, mescolandosi con la malinconia di ciò che è stato e non potrà mai più essere. E questo tempo, il grande maestro dell'esistenza, non offre consolazione alcuna. Ci costringe ad avanzare, anche quando ogni passo sembra essere un grido soffocato nella notte.
Nel silenzio dei giorni che si susseguono, impariamo a vivere nel dolore, nella consapevolezza che la tela della vita si arricchisce di sfumature, alcune luminose, altre intrise di una tristezza indelebile.
Vorrei dire che sia stato facile: mentirei.


In realtà non è mai facile per nessuno, la fine di un amore che credevamo eterno e che invece è finito nel peggiore dei modi.
Ci si sveglia nella realtà di un letto vuoto, circondati dalle macerie di promesse infrante e da ricordi che bruciano come ferite ancora aperte.
Ogni oggetto intorno racconta una storia, ogni canzone è un'eco di risate ormai silenziose, e l'assenza è una presenza opprimente che si fa sentire più di quanto si possa immaginare. Persino il riflesso nello specchio è una sconosciuta, con gli occhi rossi e gonfi, testimoni mutevoli delle notti in cui il pianto è diventato un rito consueto.
Vorrei dire che non ho rimorsi, ma la verità è che ogni "e se" si è trasformato in un fantasma che tormenta senza pietà. La realtà è che il tempo non cancella il dolore, lo modella in una forma diversa, lo rende più sopportabile ma mai completamente assente.
La fine di un amore è come navigare in un mare tempestoso senza bussola, sperando in un porto sicuro che forse non arriverà mai.
Vorrei dire che oggi, sei mesi dopo sto meglio, invece sono all'inferno e non conosco uscite da questo posto terribile. Le stagioni cambiano, ma il mio cuore è intrappolato in un inverno senza fine, il tempo è diventato un nemico astuto, un ladro che ruba senza pietà i momenti felici che avrei potuto vivere. E nel frattempo che il mondo continua il suo inesorabile movimento, io sono imprigionata in questa dimensione senza tempo, un luogo dove il dolore persiste e il futuro appare solo come una prospettiva distante e incerta.


Il Trastevere Gustoso è affollato di sabato sera, siamo a Giugno, l'estate è scoppiata a Roma, la gente si riversa in strada, la scuola finisce, giungono le ferie, si respira aria briosa.
Porto l'ennesima pizza a dei clienti, prendo delle ordinazioni, saluto gli habitué del locale, è da un po' che lavoro fissa come cameriera, la paga non è male, si addiziona a quella di guida turistica che svolgo la mattina.
Le giornate sono piene, fitte di impegni, ma è la mia tregua, un rifugio caotico che aiuta a dimenticare, almeno per qualche ora, il vortice di emozioni che mi ha sotterrata.
Le voci delle persone si mescolano, il profumo di basilico e pomodoro satura l'aria. Tento di immergermi nel frastuono, nella frenesia della cucina, sperando che la confusione continui ad offuscare la tempesta dentro di me. Ma ogni sorriso che scambio, ogni piatto che servo, è solo un'azione meccanica, uno sforzo per nascondere la fragilità che mi avvolge.
Indosso una maschera, una in più, l'ennesima. Calza stretta questa finzione, asfissiante, sono sott'acqua senza fiato.
La luce vivida del ristorante si riflette sulle pareti di mattoni a vista, creando un'atmosfera allegra, ma io sono solo un'ombra che si muove tra i tavoli. Gli sguardi dei clienti diventano sfumature indefinite, le parole si perdono nell'eco di una vita che non sento più mia. Il suono dei piatti e delle risate si trasforma in mormorii lontani, mentre il peso della solitudine si fa sentire più del rumore che mi circonda.


<< Allora Usignolo bello, ti è piaciuta la mia poesia? >>, chiede Marco da dentro la cucina della pizzeria.
Sì... beh, la sua cotta non è mai passata. E sì, scrive ancora poesie di merda.


Mi volto verso di lui, il grembiule sporco di farina, i capelli ricci e neri scarmigliati, maglietta bianca aderente sul fisico molto palestrato, mascella squadrata: per nulla il mio tipo.
Rido, più per cortesia che per reale divertimento.
<< Un capolavoro come sempre. >> Il sarcasmo non viene colto.


Marco emerge dalla cucina con una pizza fumante in mano.
<< Hai deciso cosa farai stasera? >>. Non ha la più pallida idea che preferirei andare a fare una scampagnata in una gabbia di leoni affamati, cosparsa di sangue, che uscire con lui. Eppure, ancora una volta, ci riprova.


<< Penso di andare a bere qualcosa, forse a Campo de' Fiori. >>, rispondo evitando accuratamente il suo sguardo da arrapato cronico. La realtà è che non ho piani, ho inventato la prima balla, voglio solo scrollarmelo di dosso.


<< Bene, allora sarò il tuo barista personale per stasera. >>, dichiara con un sorriso appiccicoso.


<< 'Spiace, ma sono stata invitata. Festa privata. Sarà per un'altra volta. >>. Prendo in fretta i due piatti di pizza e sguscio via dal sudiciume che mi trasmette quel ragazzo.
Cammino agile nella sala, qualcuno mi saluta gentile. Poggio l'ordinazione al tavolo numero sette, occupato da due uomini, sono due margherite, quindi non chiedo chi ha ordinato cosa.
Sono i guanti in pelle nera che fanno contrasto con la tovaglia bianca a procurarmi un dolorosissimo morso allo stomaco. Nessuno mette dei guanti in estate... tranne una persona sola. Una soltanto.
Il cuore non regge, cede nella consapevolezza che se rizzerò lo sguardo, morirò per averlo fatto.
Gli occhi si alzano contro la mia volontà, per incontrare un paio di iridi verde scuro che squadrano come se fossi un'apparizione celestiale.


<< Ciao Elena. >>.


I miei ricordi non gli rendono giustizia. Potranno trascorrere altri dieci anni, cento, mille, questo amore scriteriato per lui non smetterà mai di ardere fatale.
La luce in quegli occhi è ancora lì, intensa e magnetica, e il mio spirito si ritrova in un turbine di emozioni che non ha nulla a che fare con il passato, ma è la risacca di un presente sconosciuto.
Siamo qui, di fronte l'uno all'altro, due estranei che un tempo sono stati tutto, in un mondo che si è evoluto senza di noi.


Impiego un paio di secondi prima di ritrovare la voce.
<< Ciao... Andreas. >>.


<< È da tanto che non ci vediamo. Ti trovo bene. Hai cambiato lavoro? >>, il tono è accorato, una ferita che non guarirà mai completamente. La testa torna a quei giorni, quando il suo sorriso era la luce del mio mondo e le sue parole erano la melodia che accompagnava i nostri momenti.
Osservo meglio il suo volto, cercando tracce di ciò che è stato e ciò che è ora. I capelli leggermente diversi, forse qualche ruga in più. Ma gli occhi, quegli occhi che mi hanno amata, ferita e lasciata andare, sono ancora gli stessi. Mi scrutano con un amalgama di trepidazioni, forse una speranza appena accennata.
Il suo amico assiste silenzioso alla conversazione, si prepara a consumare la sua cena.


<< No, questo è il mio secondo lavoro. >>. In questo breve istante, capisco che il tempo, pur avendo portato via tanto, ha anche conservato qualcosa di intatto, la connessione che unisce le anime che si sono amate profondamente non è così facile da spezzare. Tutto il resto è secondario.


Sorride appena, c'è imbarazzo nel dialogo, un alcunché di sospeso che si percepisce. Indica le due pizze. Abbassa l'attenzione sul mio collo, lì dove vi è la collanina d'oro con il piccolo cherubino alato che mi ha regalato per il mio compleanno. Significa molto più di ciò che non diciamo.
<< Le hai cucinate tu? >>.


Scuoto la testa.
<< Faccio solo la cameriera. >>, sono gentile, non voglio essere arrabbiata, sono riuscita a ritrovare un equilibrio, ho accettato la fine della nostra relazione, il suo tradimento, lo squarcio infetto sul cuore che non si cicatrizzerà mai del tutto. << Le pizze le offre la casa. >>.


<< Grazie! >>, si frappone l'altro uomo. << La tua amica è molto gentile. >>. E d'improvviso vengo catapultata a quel pomeriggio al cimitero, quando Andreas ha detto al suo ex cognato che io ero solo un'amica. È da lì che tutto ha iniziato a finire.


<< Già. >>, mormora lui, esaminandomi di nuovo.


<< Beh, allora buon appetito. Potete chiamarmi se volete che vi porti dell'altro. >>. Un'altra occhiata ad Andreas, poi torno alle mie mansioni. Ogni passo che mi allontana da quel tempo, avverto di aver lasciato qualcosa indietro, un frammento di me è rimasto incastrato addosso a lui. La sua presenza è un richiamo irresistibile.
La pizzeria intorno a me continua a vibrare di voci allegre, risate e di profumi invitanti, dentro di me c'è un'eco silenzioso di qualcosa che non può essere dimenticato. Ho imparato a convivere con questa presenza, a nasconderla dietro un sorriso e ad avvolgerla nella routine quotidiana.
Il lavoro, le ordinazioni, il rumore dei clienti diventano uno sfondo lontano, mentre il cuore continua a pulsare al ritmo di quei ricordi.


Un'ora dopo, sono alla cassa a scarabocchiare sul blocchetto delle ordinazioni, ho chiesto a Cristina, l'altra cameriera, di potersi occupare del tavolo sette al mio posto: le devo un favore.
Dall'altoparlante del ristorante riconosco le prime note di una canzone, che provoca un brivido gelido giù per la schiena.

Tra le pagine di Te // (Alunna-Professore)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora