Andreas
Bukoswki diceva: "di rado va come ci aspettiamo che vada. Per la precisione, mai.".
Di errori ne ho fatti molti nella vita, alcuni riparabili, altri che hanno condizionato l'intero corso della mia stessa esistenza, ma nessun errore è stato più grave di quello commesso con Elena.
Dovevo correrle dietro, pregarla, supplicarla. Era con me che doveva parlare, non con la sua amica su quella panchina; sono tornato a casa solo quando sono stato certo che era al sicuro con qualcuno che conosce.
Non so perché l'ho classificata solo come un'amica, quando lei è il mio tutto, volevo solo preservarla da Rocco, dalla sua malignità, dalla crudeltà di un fratello che non si è mai rassegnato alla morte della sorella, che attribuisce a me.
Volevo proteggere la donna che amo, invece le ho fatto solo del male.
Tra il fumo che si alza dalla sigaretta e il bicchiere di whisky, la stanza sembra più scura e inospitale che mai, sono sommerso da un tumulto di emozioni che ribollono nell'oscurità della mia mente. Lo sguardo è perso nel vuoto, riflette l'abisso di rimpianti che si è aperto sotto di me. Erano mesi che non toccavo più un goccio di alcool, dopo anni in cui ho cercato di sopprimermi con Bacco e tabacco.
Avrei dovuto seguirla, incespicare nelle mie parole per convincerla a restare, invece, l'ho lasciata andare via senza opporre resistenza, e ora il rimorso mi strazia in un fuoco vorace. La fiamma del mio amore per lei brucia con intensità, alimentata dalla consapevolezza che ho ferito l'unica cosa che davvero conta per me. Non sono capace di togliere questa armatura neppure con lei, sono rimasto incastrato in una prigione priva di vie d'uscita.
Sono sconvolto, ubriaco e molto arrabbiato.
Il divano su cui sono seduto sembra una barella sulla quale giace il mio spirito malato, avvolto da una tristezza profonda come le radici di un antico albero. Il whisky scorre nelle vene, un veleno lenitivo, un tentativo futile di annegare la verità scomoda che mi sussurra all'orecchio: ho leso la persona più importante della mia inutile vita.
La stanza si riempie di un silenzio assordante, interrotto solo dal tintinnio del ghiaccio nel bicchiere. Mi chiedo come ho potuto essere così cieco da non capire che relegarla a una posizione sbagliata davanti ad un estraneo per lei, le avrebbe fatto male. La rabbia è diretta contro di me, ma non so come placarla.
Il fumo della sigaretta si disperde nell'aria, come le speranze che ho tradito. Ora sono solo, con il peso del mio errore e la consapevolezza che il percorso per riconquistare il suo cuore sarà più ripido di quanto immagini.
Dal giradischi d'epoca, il vinile di Carlos Gardel vocalizza direttamente dal 1935:
Por una cabeza, todas las locuras
Su boca que besa
Borra la tristeza
Calma la amargura
Por una cabeza
Si ella me olvida
Qué importa perderme
Mil veces la vida
Para qué vivir
Il tempo sembra sospeso, dilatato in una dimensione in cui il rimorso e l'incapacità di agire si fondono in un amalgama doloroso. Le luci della città filtrano attraverso le tende socchiuse, attuano un gioco di ombre che danza sulle pareti e amplifica la solitudine attigua. Il bicchiere vuoto giace sul tavolino basso, un eco del liquido amaro che ho consumato nel vano tentativo di affogare il dispiacere. Il frastuono della città lontana si confonde con il battito del cuore, una colonna sonora di rimpianti che accompagna la mia solitudine.
Mi pento delle parole non dette, delle promesse non mantenute, di quegli occhi che si sono riempiti di lacrime. Avrei dovuto affrontare il mio passato e proteggerla da ogni minaccia, invece ho lasciato che la mia incapacità di comunicare gettasse un'ombra sulla nostra relazione.
La mia mente è un groviglio oscuro, in cui cerco la via d'uscita da questa trappola emotiva che ho tessuto attorno a me. L'entrata che conduce alla sua comprensione è chiusa, e io non ho la chiave per aprirla.
Prendo il cellulare, Elena non vuole che la chiami, ma io non posso, non ce la faccio, la pregherò di perdonarmi, se serve andrò in ginocchio fino a casa sua per supplicarla. Non posso vivere senza di lei.
Il citofono trilla nel silenzio dell'oblio, non attendo visite, forse la mia Lilith misericordiosa è qui, forse ha capito, forse non mi odia del tutto. Balzo dal divano e quando spalanco la porta, la sorpresa mi ammutolisce.
No, non è Elena, la mia Salomè Nera, l'angelo infernale che mi ha strappato l'anima.
Giulia, la collega d'università è qui, ed è l'ultima persona che avrei voluto vedere dopo questa terribile giornata.
Ha messo molto profumo, l'odore è nauseabondo. I capelli biondi tenuti sciolti, morbidi, mossi sulle spalle sottili, indossa un vestito troppo leggero per essere la metà di Ottobre, vanno a sottolineare la figura snella, è corto sulle gambe nude e troppo scollato. I tacchi la rendono più alta.
È qui per farmi la guerra.
<< Andreas, posso entrare? >>, il tono è civettuolo, acuto, volto a sedurre, e so che me ne pentirò, ma l'alcool annebbia il discernimento, quindi mi faccio da parte, consentendole l'accesso.
Vado a spegnere il giradischi, infilo i guanti, copro il più possibile le ustioni, intanto lei si è già sfilata il cappotto e messa comoda in una posizione provocante sul divano.
<< Giulia, non credo sia una buona idea. >>.
Inarca le sopracciglia, finge di non capire.
<< Sono venuta a trovare un amico, adesso è proibito? C'è lei? Non le hai ancora detto di noi? >>.
<< Non c'è nessun "noi", Giulia. >>, ringhio rabbioso. << Abbiamo solo parlato durante il lavoro, non ti ho mai fatto promesse, né altro. Ti sei buttata a baciarmi, ma io ti ho respinto, o lo hai dimenticato? >>.
Le mie parole non sortiscono l'effetto sperato, lei sospira come se stesse avendo a che fare con un bambino capriccioso che non vuole accettare la realtà. Il suo sorriso sembra celare segreti e insidie, si alza e a passo seducente mi viene davanti. Mi afferra vincolante per i genitali e sono in trappola.
<< Com'è che fa lei? Te lo prende in bocca? E a te piace, vero? A tutti gli uomini piace. E poi cosa? Le vieni in bocca e lei beve? Deve essere particolarmente brava visto che non riesci a togliertela dalla testa. >>. La mano prende a frizionare il membro da sopra i pantaloni, che si indurisce nell'arco di poco.
<< Giulia basta! >>, esclamo collerico, l'afferro per un polso e la obbligo a lasciarmi andare, cercando di preservare quel poco di dignità che mi rimane. Lei non si arrende, si cala su se stessa, inizia a trafficare con la patta dei miei pantaloni.
Indietreggio il più possibile per mettere distanza tra di noi. Se avessi meno alcool in corpo la mia reazione sarebbe diversa, più categorica.
La risata tagliente riempie la stanza, un suono che si insinua nella mente e la confonde ancor di più.
<< Va bene, scusami tanto. >>. Alza le mani in segno di resa. Va verso ciò che resta della bottiglia di whisky, riempie il mio bicchiere e ne recupera un altro in cucina. Torna da me che ancora è sul chi va là. << Pace, okay? >>. Mi offre il bicchiere. << Solo uno e me ne vado, giuro. >>, le parole sono un sussurro languido, una promessa ambigua che si insinua nel mio intimo come un veleno lento.
Ingollo l'intero contenuto del bicchiere e quando ho finito, con un gesto secco, Giulia fa scivolare il vestito a terra, restando completamente nuda davanti a me.
Lei non beve, poggia il suo bicchiere sul mobile di fianco, ghermisce le mie mani e se le preme forte sui seni, il mio di bicchiere vuoto cade, il suono sordo risuona nell'aria come una campana funebre e si rompe in mille pezzi sul pavimento.
<< Giulia, no. >, la mia voce è un sussurro roco, un tentativo di respingere questa offensiva indesiderata. Cerco di tirare indietro le mani, ma le sue dita stringono più forte, come se volesse imprimermi la sua presenza.
La stanza prende a girare violenta, la confusione agguanta il cervello, non riesco a restare concentrato sul momento, le immagini sfocano, si sovrappongono, e ogni tentativo di chiudere gli occhi e respingere questa realtà si rivela inutile.
<< Oh, Andreas, non far finta di non volerlo.>>. Il suo sorriso è un ghigno che mi gela il sangue. Si avvicina, sfiorando il mio corpo, lascia un sentore di profumo pesante e invadente, si calca energica su di me, le sue mani sono dappertutto, mi tocca, stimola feroce, l'erezione fa capolinea in breve tempo. << Guarda qui, sei già duro. >>.
Mi sento intrappolato, costretto a partecipare a questo gioco malato che ha messo in atto.
<< Giulia, per favore... >>, imploro, ma le parole sembrano perse nell'atmosfera carica di tensione. La sua risata beffarda riempie la stanza, sovrastando ogni mio tentativo di resistenza. << Io la amo. >>, è l'ultimo tentativo per farla smettere.
Sento la mia resistenza cedere sotto il peso di un'alcolica nebbia che ottenebra il giudizio. Un senso di nausea cresce dentro di me, misto a una profonda repulsione, è come se il corpo fosse separato dalla mente, osserva passivamente questa scena surreale.
Prego per trovare una fuga, una via di uscita da questo labirinto di inganni e manipolazioni. Il cervello cerca disperatamente una soluzione, mentre sono intrappolato in questa oscenità depravata, privato di controllo e dignità.
Il buio cala d'improvviso.
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Tra le pagine di Te // (Alunna-Professore)
Romance[Completa] Elena, tu sei come un cerchio. Intero, perfetto, senza spigoli né angoli, non hai bisogno di niente e di nessuno, perché sei già completa. Io sono una scheggia, un frammento, che non si può adattare a te... dovrei spezzarti per entrare ne...