Quest'anno è stato il più strano di tutta la mia vita.
È iniziato a rilento, quasi sospeso, una routine consolidata, una solitudine onnipresente, un inverno perpetuo che non voleva saperne di sciogliersi, più che sicura di avere tutto ciò di cui avevo bisogno e non volessi null'altro.
Le giornate si susseguivano senza grandi cambiamenti, come se il tempo stesso avesse deciso di congelarsi in un limbo senza fine.
E succede sempre così, tu te ne stai per fatti tuoi e il destino si compie, all'insaputa di ogni tua previsione o ambizione. È come se il grande orologio della vita avesse deciso di accelerare improvvisamente, mettendomi di fronte a scelte e opportunità che non avrei mai immaginato.
Sono sbocciati incontri inattesi, occasioni che si sono materializzate dal nulla, come se il destino avesse deciso di giocare a carte scoperte. Nel corso di questo anno straordinario, ho imparato che anche quando credi di avere tutto sotto controllo, la vita può ancora sorprenderti con una trama intricata e imprevedibile.
Quello che sembrava un inverno eterno ha ceduto il passo alla primavera della rinascita, portando con sé una consapevolezza nuova e un senso di gratitudine per ogni singolo istante. Nel caos apparente, ho scoperto la bellezza della spontaneità, la magia di lasciarsi andare al flusso della vita, senza cercare di controllare ogni singolo dettaglio.
È un anno che non torno a Solantica, una paese che detesto con ogni fibra di me, il teatro nella quale ho inscenato il peggiore dei ruoli, mi sono sforzata in una recita fasulla per essere ciò che non voglio mai più essere.
Non sono mai stata quella che si può definire una bambina felice. Da piccola ero silenziosa, passiva, ingenua, parlavo poco, non mi opponevo mai. Fluivo inerme nelle acque nere, trasportata dal vento.
Il ritorno qui risveglia ricordi che ho cercato di seppellire, fantasmi sepolti che emergono dal passato. Ogni strada, ogni angolo, è intriso di quella stessa atmosfera indigeribile, intrappolante. Solantica è una trappola di ragnatela, intessuta di inganni e tradimenti, e la mia presenza qui è un viaggio indesiderato nel labirinto dei ricordi dolorosi.
Cammino su vie familiari, ma ogni passo è imbevuto di un senso di estraneità.
Non sarei qui se Andreas non avesse insistito per conoscere mia madre, un'idea malsana tutta sua sull'essere vecchio stampo, qualcosa sul voler fare le cose come si deve se veramente voglio andare fino in fondo con il matrimonio.
È stato inutile dirgli che mia madre non è come me, che non ci parliamo per... così tanti motivi che non saprei neppure da dove iniziare a raccontargli. Che non voglio la sua approvazione, ancor meno che sappia cosa voglio fare. E soprattutto non desidero per niente che conosca Andreas, preferirei lanciarmi da un aereo senza paracadute. Voglio tenerlo lontano da lei e da tutta la merda che mi porto dietro, lui è il mio porto sicuro, l'angolo di paradiso alla quale nessuno deve avere mai accesso, il mio sole nella notte, non voglio che niente possa sporcarlo.
Io sono sempre stata la pecora nera della famiglia e di tutto l'albero genealogico.
La ribelle, la diversa, la straniera persino tra le mura di casa mia. Mia madre e io, siamo due pianeti che girano discordanti, senza mai convergere. E lui, Andreas, insiste nel voler gettare un ponte su quel vuoto siderale, come se il fatto di conoscerla potesse risolvere tutte le complessità e le stranezze che mi definiscono.
Ma io so che è impossibile. Non voglio che Andreas venga contaminato dalla mia storia familiare, da un passato che è pieno di ombre e incomprensioni, vorrei proteggerlo da quel lato oscuro di me, ma sembra che lui non capisca che ci sono mondi che è meglio che non si incontrino mai.
La paura di aprirgli la porta del mio passato è come un boomerang che continua a tornare indietro, e mi chiedo se alla fine sarà capace di sopportare il peso di tutto ciò che ho cercato così a lungo di nascondere.
Parcheggio la Peugeot scassata all'imbocco del viale recintato di una grande villa in mattoni color sabbia. Tolgo la marcia, non spengo il motore, l'idea di tornare a Roma non è del tutto bocciata.
Andreas mi guarda demoralizzato, non sono stata molto loquace durante la tratta, ogni discorso che ha provato ad intavolare è morto nell'arco di qualche mugugno, parecchi "no" ed occhiate per nulla felici.
<< Vorrei che tenessi bene a mente che mia madre non sono io, che tutto quello che dirà sono solo problemi suoi, che non condivido, non apprezzo e non accetto, è chiaro quello che ti sto dicendo? >>. Più che una domanda, la mia frase risuona nell'auto come una minaccia efferata. << E che soprattutto non approvo minimamente questa tua richiesta sbagliata, stupida e fuori da ogni grazia divina di conoscerla per farle sapere di noi... e no, non è perché mi vergogno di te o qualsiasi altro concetto assurdo che sei riuscito a pensare. >>.
La mano avvolta dal guanto nero di pelle trova la mia, ancora ferma sul cambio.
Il contatto è un segnale di tregua, un tentativo di placare le tensioni che fluttuano nell'aria. La tempesta non è nemmeno iniziata e sono già stanca di doverla affrontare.
<< Elena io mi sono fidato di te, ora tu devi fidarti di me. Se non conoscessi bene i miei punti deboli, non sarei qui. >>. La voce è un sussurro, carico di una vulnerabilità che, in questo momento, non so se sono pronta ad accogliere.
Le parole penetrano la mia corazza, ma la resistenza è ancora viva dentro di me. La paura di aprirmi completamente, di condividere le parti più oscure, è un'ombra che persiste.
Litigherò con mia madre, è una cosa ovvia, perché avrà parole dure contro Andreas.
Non importa se ferirà me, ma l'idea che possa fare del male a lui, è un pensiero insopportabile.
Poi, senza dirlo a voce alta, decidiamo entrambi che è giunto il momento di combattere ciò che ci attende. Apro la portiera e il fresco di inizio autunno fa rabbrividire, niente in confronto al gelo che ho dentro.
Andreas esce dal lato opposto dell'auto e il suo sguardo incrocia il mio. C'è una promessa silenziosa tra noi, una dedizione a proteggerci a vicenda, a resistere alla burrasca che si scatenerà. Stringo la sua mano con forza, come se volessi trasmettergli il coraggio che ho faticato a trovare in me.
<< Andrà bene. >>. Ci crede davvero, io proprio per nulla.
<< Te lo potevi risparmiare come incontro, non era per niente fondamentale per noi, invece sei proprio masochista. >>. Ancora non riesco a capire perché diavolo deve fare queste cose che crede siano romantiche, invece non lo sono affatto.
<< Ricalchiamo i cliché della storia del mondo. >>, prova a scherzarci su, mentre ci avviamo verso il patibolo.
<< Professore e alunna, e suocera rompicoglioni. E dire che pensavo di essere una persona alternativa. >>.
Ci sono troppi ricordi in questo posto, la maggior parte fanno schifo, ed io speravo, speravo davvero, non doverci mai fare i conti un giorno in questo modo.
C'è una nuova collaboratrice domestica alle dipendenze di mia madre, probabile che farà scappare anche lei nell'arco di qualche mese. L'unica che ha resistito di più è stata Maria, perché sapeva tenerle testa, ma è venuta a mancare a causa di un cancro, dopo c'è stata solo una lunga processione di povere sventurate che non sapevano in che guaio si stavano andando a cacciare.
All'interno, la casa, è come l'ho lasciata un anno fa. Un museo in stile barocco di ordine e ricchezze sfoggiate con arroganza, come se ogni oggetto avesse un posto assegnato e ogni centimetro quadrato fosse uno specchio riflettente della perfezione maniacale di mia madre. I quadri alle pareti sembrano ancora più austriaci, le porcellane più fragili, e ogni passo che faccio risuona nell'atmosfera carica di tensione: mia madre è ricca, non io. Mai visto un euro.
Non è mai stato posto per dei bambini, non è mai stato posto per me.
Andreas è al mio fianco, il suo sguardo si posa con risolutezza su ogni dettaglio dell'abitazione. Nonostante la sua audacia apparente, posso percepire un lieve tremito nei suoi movimenti, una consapevolezza che siamo entrati in un territorio sconosciuto e potenzialmente ostile.
Mia madre è seduta su una poltrona nella sala degli ospiti, beve a rilento un liquido caldo da una costosa tazza di porcellana e ci squadra dall'alto al basso. Il silenzio è carico di tensione, un temporale in arrivo che sazia l'aria.
Colgo il suo giudizio penetrante, il modo in cui i suoi occhi maligni scrutano ogni dettaglio di Andreas, come se cercasse di discernere la sua vera natura da un solo sguardo.
Non mi lascio intimidire, d'altronde non l'ho mai fatto prima e non inizierò di certo adesso. Mantengo uno sguardo saldo, fiero, pronta a difendere la mia scelta fino alla morte e la nostra relazione.
<< Il figliol prodigo è dunque tornato. >>, commenta piccata. Poggia la tazza sul piattino, le sue azioni sono volutamente lente, misurate, calcolate per innervosirmi.
Si è sempre comportata così, lo fa per irritare chi ha di fronte, è un trucco psicologico che di continuo ha avuto campo fertile con la sottoscritta. << Hai abbandonato i tuoi sogni di gloria? >>.
<< No, mi piace ancora fare come cazzo mi pare. >>, è solo il pallido riflesso delle furiosi liti che avvenivano un tempo. Nel senso, io mi arrabbiavo, lei si divertiva ad istigarmi.
La risposta di mia madre è un cenno di testa leggermente impercettibile, volto a denigrarmi.
<< D'altronde non hai fatto altro fin dalla nascita. >>, pronuncia le parole con una malizia sottolineata, lasciando che il sarcasmo s'insinui nelle pieghe della voce. Sono nata di sette mesi, anziché a fine termine della gestazione e lei lo ha sempre interpretato come un atto di ribellione, come se io avessi davvero scelto di venire al mondo prima di quando lei volesse.
Da allora per lei, qualsiasi mio gesto o parola, lo ha definito come una disubbidienza.
<< E continuerò fino alla morte. >>. Siamo in una partita di scacchi, ognuno cerca di muovere le pedine con astuzia e intelligenza, per uno scacco matto senza precedenti.
L'attenzione si sposta annoiata su Andreas, ma non è un segno che vuole dargli la parola.
<< Vedo. Beh, vedo anche che i tuoi discutibili gusti sono perfino peggiorati. >>.
Il confronto è palese, si scrutano come duellanti pronti a misurarsi. Non sono sicura di quale sia l'obiettivo di mia madre, se metterlo alla prova o semplicemente metterlo in imbarazzo.
Andreas porge cordiale la mano per presentarsi, sorride per giunta nel vano tentativo di calmare i toni.
<< Salve signora, sono Andreas Müller, è un piacere conoscerla. >>.
Lei non si scompone minimamente, è come se lui non avesse neppure aperto bocca e la sua mano fosse composta da aculei velenosi.
<< No mamma, sono i tuoi gusti che hanno fatto sempre schifo. >>, rilancio tenace, adirata dalla sua maleducazione. Se Andreas non fosse qui con me gli avrebbe riservato un trattamento molto diverso, il problema sono io, lui ne paga solo le conseguenze. << Non per altro hai sposato papà. >>. In realtà ho sempre pensato che si compensassero, entrambi inadatti al ruolo di genitori.
Non si altera, non lo fa mai d'altronde, sorseggia il suo liquido caldo con un sorriso di sufficienza dipinto sulle labbra, eppure in quegli occhi c'è qualcosa, una scintilla che tradisce un interesse poco chiaro. Sento che si sta godendo la scena, che sta pianificando qualcosa nei suoi meandri psicologici.
La trazione sale, e il peggio deve ancora venire.
<< Sei venuta qui oggi per informarmi che vuoi fare la badante a quest'uomo? >>.
Andreas si irrigidisce, stringe più forte la mia mano, ed è lui a prendere la parola.
<< No signora, sono io ad aver insistito a venire qui oggi per informarla che intendo sposare sua figlia. >>, afferma con calma, però deciso. Gli manca solo il vestito da principe, il pennacchio, il cavallo bianco e può far concorrenza ai principi della Disney.
E, per la prima volta da quando siamo arrivati, lei lo guarda con un lampo d'ira. Continua a fissarlo per un attimo che sembra un'eternità, la stanza si riempie di un silenzio tirato, rotto solo dal ticchettio dell'orologio sulla parete.
Poi, come se qualcuno avesse appena fatto una battuta divertente, mia madre scoppia a ridere a crepapelle. Non è una risata normale, c'è crudele asprezza tra le note ilari.
<< Non avrà un euro da me per questa pagliacciata. >>, è con me che parla, ma è lui che si riferisce.
<< Perché tu pensi che sia venuta qui a chiederti i soldi? Preferisco andare a prostituirmi, che chiederti qualcosa! >>, sputo beffarda. Sapevo che avrebbe messo in mezzo la questione economica.
<< No, signora. >>, si intromette Andreas. << Posso coprire le spese dell'intera cerimonia senza alcun aiuto esterno, ma la ringrazio del pensiero. >>. È sottilmente tagliente, pur restando garbato.
Mia madre inarca un sopracciglio, i lineamenti sono arcigni, fissa Andreas come se volesse fulminarlo seduta stante.
<< E cosa pensa di poter offrire a mia figlia?>> chiede con una voce che tradisce una curiosità mista a scetticismo. Adesso sono sua figlia?
<< Amore, rispetto, e un impegno sincero. >>, risponde senza esitazione.
<< Cose di poco conto. >>, minimizza lei. Non ha mai elargito un briciolo d'affetto, è ovvio che non ritiene i sentimenti rilevanti per un matrimonio felice. << È visibilmente molto avanti con gli anni e, per quanto possa essere in salute -cosa che peraltro non mi sembra- lascerebbe mia figlia vedova nell'arco di venti, massimo trent'anni. È questo che vuole? Farle del male? >>.
Lui s'intirizzisce, perché sì, ci ha già ragionato su tutto questo, ma un conto sono i pensieri, un'altra è la realtà sbattuta in faccia senza pietà.
<< Non sono cose che a te riguardano! >>, prorompo furibonda.
<< E allora perché sei venuta Elena, a chiedere il mio permesso? >>.
<< Te lo sogni! >>.
<< E allora vai, figlia, vai! E quando quest'uomo ti lascerà da sola, non tornare qui, perché non ci sarà posto per te! >>.
<< Sei tu che vuoi che io torni, cara mamma! Ma io, qui, non ci tornerò mai. Resterai da sola, perché è questo che meriti e questo che avrai! >>, sono un fiume in piena, la rabbia mi acceca, dico tutto ciò che mi passa per la testa. << Cosa ti da fastidio? Il fatto che qualcuno possa amarmi? Che io possa essere felice? Che sono sopravvissuta nonostante tu pensassi che sarei tornata da te entro un anno? Che non sei così indispensabili come credevi di essere? >>. Batto forte le mani sul tavolo, quel suo essere impassibile è difficile da accettare, io sono mossa dai sentimenti impetuosi, lei dalla freddezza. Come si fa a non essere gioiosi per la contentezza della propria figlia?
Con un colpo d'ira faccio volare la tazza di porcellana che si schianta in mille pezzi sul pavimento.
Andreas mi prende per le spalle, per farmi arretrare.
Scuoto la testa con rabbia. È proprio questo che non capisce. Questo non è solo il mio cuore che parla, è la mia vita. Andreas è la mia scelta, e se dovesse essere difficile o complicato, sono pronta ad affrontarlo, preferisco rischiare e vivere autenticamente piuttosto che morire in una bolla di freddezza.
Lei si alza con eleganza, le mani incrociate davanti a sé, non la impressionano i miei scatti di collera. È abituata.
<< Sei solo uno sbaglio, Elena. Un conto fatto male. Dovevo abortire quando tuo padre me lo ha consigliato, lui lo aveva capito che eri un affare che non poteva fruttare. >>.
Trattengo il respiro, ma è più di questo, è come se stessi trattenendo il dolore, le sue parole mi colpiscono come una lama, e il mio sguardo si riempie di una mistura di dolore e incredulità. L'aria esce fuori in uno sbuffo rumoroso: è riuscita a farmi male. Di nuovo.
Lui si frappone tra me e lei per spezzare lo sguardo pieno di rancore che le rivolgo.
<< Andiamo via Elena. Ti prego, andiamo via. >>, sussurra al mio orecchio, il calore della sua presenza cerca di dissipare la disumanità delle parole di mia madre, ma sono intrappolata in un vortice di emozioni, e la rabbia sale in me come un'onda inarrestabile.
Ancora una volta è riuscita a tirarmi dentro ad un vortice di rabbia, vendetta e rancore.
A passo di carica esco fuori da quella casa maledetta, trascino letteralmente Andreas per una mano, sono troppo arrabbiata per rivolgergli la parola, finirei per litigare anche per lui, e non è questo che voglio.
Al ritorno non vola una mosca all'interno della macchina, la brezza fresca della sera cerca di lenire la tempesta che infuria dentro di me. Andreas mi guarda con preoccupazione, ma rispetta il mio bisogno di silenzio, la strada scorre sotto di noi come un nastro d'asfalto, mi sforzo di mettere ordine nei pensieri.
Sono immersa in un mare di emozioni, le onde tumultuose dell'ira si scontrano con un'oscurità fuori dal comune, quando aziono la freccia per uscire dalla superstrada e fermo la macchina in un parcheggio isolato. C'è solo un lampione, la visuale è ridotta.
<< Che succede? >>, chiede Andreas impensierito.
Non gli rispondo nemmeno, sollevo la leva per tirare indietro il suo sedile, e poi lo inclino il più possibile. Gli salgo addosso a cavalcioni, il vestito lascia scoperte le cosce nude, ho bisogno di sentirlo dentro di me.
Non vi sono preamboli, la passione ribolle, le mani cercano frenetiche il suo sesso per niente pronto. Lo stimolo impaziente, lo inumidisco con la saliva, la carne è congestionata, turgida, sta guadagnando lesta l'erezione. L'ardore cresce, ogni tocco è un intensificare la voglia. Gli occhi divampano di lussuria, i gemiti sussurrano promesse di piacere.
Sposto l'intimo per fargli spazio e nell'istante in cui ci uniamo divento irrefrenabile, siamo soli in un mondo di sensazioni smodate. Mi prende per i fianchi, cerca di adattarsi al mio ritmo, non riesce a controllarmi, sono senza ritegno, priva di freni inibitori, lo sto stimolando troppo e troppo in fretta, non resisterà a lungo, voglio provare dolore e piacere. È sesso rabbioso, un'esplosione di smania incontenibile, una litania di voluttà selvaggia. I corpi si scontrano con forza primitiva, la tensione si accumula e si scioglie in un crescendo di sensazioni.
Ogni respiro è un gemito soffocato, ogni tocco è una scintilla che accende il fuoco della lascivia. Il dolore si fonde con il piacere, una sinfonia erotica che s'attorciglia in un turbine di emozioni.
Siamo due esseri prede dell'istinto, persi nel frastuono della passione. Il connubio carnale è un incontro senza regole, una fusione di ingordigia che ci trasporta in un mondo di piacere senza confini. Nel vortice del momento, non esistono limiti, solo il ruggito del desiderio che ci incatena e trascina in un abisso di eccitazione.
<< Elena lascia che io... >>, inarca il bacino, getta la testa indietro, la frase si sgretola in gola, <<... sto per... Elena... fammi togliere! >>.
Aumento aggressiva la penetrazione, gli peso addosso, non gli do spazio di manovra, si contrae una, due volte, e viene dentro di me, schiacciandomi sull'orlo di un orgasmo feroce, una scossa elettrica che attraversa ogni fibra del mio essere.
Il respiro pesante è l'unico suono in questo momento di intimità cruda, spezzato solo dal rumore veloce delle macchine di passaggio.
Il primo a rendersi conto delle conseguenze di ciò che ho fatto è lui, ma non reagisce con rabbia, lanciando altra legna sul fuoco, lambisce i miei capelli e poggia indulgente la bocca sulla fronte, come se cercasse di placare la furia che sono.
<< Io ti amo. >>, dice sulla mia pelle, prova a colmare l'immenso vuoto che s'è spalancato nel torace.
Chiudo gli occhi, nascondo il viso nell'incavo del suo collo e scoppio nel più terribile dei pianti, un fiume incontenibile di emotività opposte che sradicano ogni barriera, dissolvendo la maschera che ho indossato finora. La mia anima si riversa fuori, nuda e danneggiabile.
Andreas schiarisce appena la voce, poi con un tono flebile, molto stonato, eppure perfetto, canta una canzone che non conosco, dalla soave armonia malinconica, quasi una ninnananna. L'accento francese è eccezionale.
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Tra le pagine di Te // (Alunna-Professore)
Romance[Completa] Elena, tu sei come un cerchio. Intero, perfetto, senza spigoli né angoli, non hai bisogno di niente e di nessuno, perché sei già completa. Io sono una scheggia, un frammento, che non si può adattare a te... dovrei spezzarti per entrare ne...