Andreas
"Questa ragazza mi turba, mi seduce, m'inquieta, mi attira e mi spaventa.
Diffido di lei come di una trappola, e ho voglia di lei
come del gelato quando si ha sete.".
Le parole in francese presenti nel racconto breve del 1884 redatto da Guy de Maupassant: "Yvette", sono un viluppo in fondo allo stomaco, trafiggono dentro l'anima, una turpe fisima che traina nelle sinuosità di seta nera degli Inferi.
Distraggo l'interesse dall'inchiostro nero stampato su carta ruvida, perfino il mio cervello si nutre della sua presenza, anche prima di guardare, non ho bisogno di vederla per riconoscerla. Io la sento dentro.
Lei.
L'ombra insaziabile che si insinua nei recessi più oscuri dell'anima.
Danza provocante sulle macerie di un cuore colmo di orrori, ed io, come un Erode famelico sono pronto a donarle qualsiasi cosa desideri. Una Salomè Infernale.
Sono vittima di un rito oscuro, ogni pensiero diviene un'offerta sacrificale sull'altare di una fiamma che brucia senza consumarsi mai.
Artigli invisibili si aggrappano all'illusione di un cupidigia che si nutre delle tenebre, l'anima si perde in un vortice di passioni contorte, l'ossessione d'amore diventa una sinfonia di note dissonanti, una cerimonia di perdizione che logora ogni ragione. Nell'ombra dell'assillo, il confine tra passione e follia si sfuma, il cuore batte in un crescendo di tormento, prigioniero di un sentimento che avvampa come il fuoco eterno di un'oscura fiamma.
I suoi occhi mi cercano, vogliono, spogliano, divorano nella carne, si prende tutto senza far commenti, nel silenzio tra di noi e nella confusione del mondo che circonda.
Bevo un sorso di acqua fresca per calmare il tremito, fingo di continuare a leggere, non riesco a concentrarmi sulla trama, la caffetteria dell'università brulica di studenti che non sanno del mio desiderio selvaggio, di quanto affonderei più e più volte nelle pieghe umide e sconosciute che immagino fino allo sfinimento, per perdermi nel vizio scandaloso dell'erotismo. Vedrei il biasimo effigiato nel volto di tutti, di come ho fatto a farmi soggiogare il cuore da una Incubus.
Respingerla è servito a ben poco, perché sono io che l'anelo affamato.
Il mio è un peccato sporco per la quale implorare perdono: sono vivo in un corpo morto. Soffoco le emozioni, loro però stanno straripando da ogni dove, non riesco a contenerle, tracimano dalle crepe, dalle ferite, da ogni fenditura che non sapevo di avere.
Lei non mi vorrebbe se potesse vedermi davvero, non le mostrerei mai l'indecenza sulla pelle. Provo vergogna, una profonda vergogna che sussurra crudeltà. La vergogna sa che la mia Salomè mi esecrerebbe come la peggiore delle piaghe.
Mi guarda di nuovo. Lei. Non può farne a meno, mi vuole con la stessa passione che nutro malsana. Basterebbe un mio assenso e lei mi farebbe a pezzi con il godimento, anche qui, anche ora, sotto gli occhi di chi non capirebbe ed ostacolerebbe. Non teme giudizio, mentre io sono soggiogato dall'istituzione.
È ancora offesa dal modo in cui l'ho cacciata dalla classe, ma devo porre un taglio netto, l'odio è preferibile, eppure in quegli occhi incisivi scorgo voglia spietata. Ho solo incitato la Furia.
Ogni sguardo diventa un'invocazione, un malia in cui il tormento si materializza in una presenza palpabile, un respiro umido di un incubo avvolto nella notte eterna.
Spezzato a metà dal bisogno incessante e l'abbandono della solitudine, è sbagliato avvicinarmi a lei, lambire la pelle di velluto, il profumo dei suoi capelli, il calore del corpo. La voglio con una disperazione incessante, mi inabisso nelle viscere del delirio come un naufrago abbandonato in un mare senza fine.
Sfoglio una pagina, non sto leggendo: fingo.
Non faccio altro da settimane, mesi. Fingo. Fingo che lei non sia una spina piantata dentro di me, fingo che non sia già parte di me. E sento che sto tradendo la donna a cui ho giurato amore eterno davanti a Dio, e che adesso, assieme a Dio, sta condannando questo insano impulso deleterio.
Il cervello è un camposanto di ricordi putrefatti, dove ogni momento condiviso con chi ora non c'è più, si trasforma in una tomba aperta.
Non ho più il coraggio delle mie azioni, i pensieri sono incontrollati, ho bisogno di bere dell'alcool, ma sto tentando di smettere. Di nuovo. L'ennesima.
Vorrei essere io quello forte, invece azzardo un'occhiata e lei sta chiacchierando con la giovane ragazza con la quale segue le mie lezioni. Parla, sorride, la luce del giorno la ossequia, rendendola una chimera di luna dalla lunga chioma corvina. Non bada a me, ma io so che si sta sforzando per non guardarmi.
Stremato dalla lotta interiore, richiudo il libro di cui ho dimenticato anche il titolo, finisco l'acqua ed il caffè oramai gelido e, provando a non cedere al richiamo imperativo, vado via dalla sala affollata diretto al terzo piano, per passare a salutare Giulia, la collega d'informatica, prima di tornare a casa. Una sciocca distrazione che non fa tacere il tramestio intimo.
La mia Salomè, è l'incarnazione dei miei tormenti, una Pandora che ha scoperchiato il vaso di tutti i miei mali, ed io, nella mia debolezza d'uomo, continuo a brancolare nell'oscurità, sperando di trovare una via d'uscita da questa spirale di autodistruzione.
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Tra le pagine di Te // (Alunna-Professore)
Storie d'amore[Completa] Elena, tu sei come un cerchio. Intero, perfetto, senza spigoli né angoli, non hai bisogno di niente e di nessuno, perché sei già completa. Io sono una scheggia, un frammento, che non si può adattare a te... dovrei spezzarti per entrare ne...