Andreas parcheggia la macchina sotto il palazzo del mio appartamento e spegne il motore.
Siamo arrivati a destinazione, ma la fine del viaggio è solo l'inizio di una nuova terribile realtà, alla quale non so darmi pace.
Non osiamo guardarci negli occhi, temendo di trovare riflesso in essi una decisione sconsiderata che non rispecchia i nostri sentimenti. Ma forse, proprio in quel riflesso, possiamo scorgere la verità nuda e cruda. Forse è giunto il momento di affrontare la realtà, anche se il dolore che accompagna questa consapevolezza è una lama che taglia attraverso le speranze che avevamo intrecciato con cura. Non era così che avevo immaginato questo fine settimana, terminato ancor prima di iniziare. Eppure, il silenzio tra di noi è più eloquente di mille parole non dette. La tensione nell'aria è densa come un nebbione che ci separa, malgrado ciò nessuno di noi ha il coraggio di dissiparlo.
Non osiamo parlare, il tumulto delle emozioni intrappolate nelle nostre gabbie toraciche ci soffoca.
Per due volte apro la bocca, ma da lì non ne viene fuori niente.
Vorrei che mi dicesse qualcosa. Vorrei dirgli qualcosa.
Un ultimo bacio, una preghiera incessante di non lasciarmi andare, potrei supplicare in maniera patetica, ma il mio orgoglio è troppo ferito, non mi lascia pronunciare alcunché.
Avverto il peso delle emozioni non dette, delle promesse infrante, ogni parola rimane imprigionata nella gola. Il cuore urla, ma le labbra restano sigillate.
Prolungo l'istante, vorrei congelare il tempo, ma so che la realtà è inesorabile.
Senza un abbraccio, senza un addio, scendo dall'auto e senza proferir parola, mi allontano lentamente, lasciando che la distanza tra noi cresca come un abisso insormontabile.
Il dolore si fa tangibile, avvolge il mio corpo in una bruma gelida, e la realizzazione della perdita mi stringe il petto con un abbraccio crudele.
Quando rientro a casa, spero che Francesca non ci sia, di avere il tempo necessario per metabolizzare l'accaduto, di poter piangere tutte le lacrime che ho in corpo.
Chiudo la porta dietro di me, raccolgo quel minimo di forza che mi resta, le emozioni straripano come un fiume in piena, e sento che è giunto il momento di sgretolare la corazza che ho indossato di fronte al mondo.
Poggio le chiavi sul mobiletto dell'entrata, quando un rumore strano, come un botto ovattato cattura la mia devastata attenzione.
<< Fra? >>, chiamo la mia coinquilina. << Sei tu? Sono tornata prima. >>.
Un silenzio sinistro ingloba l'intera casa, ho la pelle d'oca ed un sentore terribile mi urla di fuggire a gambe levate. A passo felpato vado diretta verso la fonte del frastuono, spero che non sia lei che sta facendo sesso con quel viscido con cui sta adesso. Dato che sarei dovuta tornare domenica sera, avrà pensato di avere la casa a sua complete disposizione.
La porta è socchiusa, non vi sono rumori equivoci, quindi la spingo e la visione d'insieme mi scombussola.
Francesca è riversa sul letto, ha gli occhi chiusi, il viso tumefatto, il naso pieno di sangue rappreso, la bocca è aperta in modo innaturale. Le lenzuola bianche sono sporche di cremisi, deve esserci qualche altra ferita che non scorgo ad un primo sguardo.
<< Francesca! >>, prorompo sgomentata a morte. Avanzo spedita verso il corpo privo di sensi, ma prima che possa raggiungerla, vengo sbattuta in malo modo al muro ed un dolore sordido si staglia al basso ventre.
È il tizio che sta frequentando Francesca, il viscido dai capelli di platino che assomiglia a Spike di Buffy. Non discerno subito cosa sia quella fitta insopportabile, poi lo vedo, il coltello della cucina, quello dalla lama affilata e seghettata che usiamo per la frutta a scorza dura, sporco di sangue: mi sta pugnalando.
Provo a scrollarmelo di dosso, è troppo forte, mi tiene bloccata dal torace sulla parete. Forse urlo, forse no, provo a colpirlo, graffiarlo, niente pare arginare la furia assassina. La confusione e la paura si cibano della mia mente.
Seconda pugnalata.
Il mio corpo reagisce con una lotta spasmodica per sopravvivere. Gli occhi del mio aguzzino non riflettono pietà, solo una fredda determinazione, e nel suo sguardo vedo la rabbia e la follia mescolarsi in un'oscura sinfonia.
Terza pugnalata.
La vita mi sfugge come la sabbia tra le dita, il suono del coltello che si insinua nella carne è un'eco che si fonde con il respiro affannato. Vorrei gridare, chiedere aiuto, ma il tormento rimane un dramma silenzioso. La stanza si restringe intorno a me, e il dolore diventa un abisso senza fine.
Quarta pugnalata.
Tento di resistere, di trovare la forza di combattere, il mio corpo sta cedendo all'agonia.
Quinta pugnalata.
Mentre la realtà si dissolve, mi aggrappo all'immagine del volto di Andreas, sperando che il suo ricordo sia la mia ultima compagnia. Dicono che quando stiamo per morire, sono le persone che abbiamo amato di più che rammentiamo. Le lacrime scorrono silenziose lungo il viso, si mescolano al sangue che inizia a inondare il pavimento, la mente vaga tra i momenti felici con Andreas, i sorrisi che sapevano illuminare anche i giorni più bui. Desidero ardentemente che questo ricordo mi guidi oltre il confine della vita, che la sua presenza immaginaria mi offra un po' di conforto nell'oscurità imminente.
Sesta pugnalata.
La voce di Andreas risuona rassicurante nelle orecchie, e per un crudele gioco della fantasia mi sembra quasi di vederlo qui, ancora una volta. L'ultima, prima che chiuda gli occhi.
Settima pugnalata.
Nel buio la vita mi abbandona, mentre la sofferenza e la violenza si intrecciano in un finale tragico.
Il dolore nel corpo si fa sempre più distante, la presenza immaginaria di Andreas mi avvolge in un senso di pace. Gli sussurro un addio silenzioso, come se la mia anima si stesse staccando lentamente dal quel corpo martoriato che non riconosco più come mio.
La vita, la morte e l'amore si uniscono in un'esperienza surreale e mi abbandono all'inevitabile.
Note:
Capitoletto piccino piccino, per questo vi dico subito che tra 3 giorni pubblicherò il 18esimo capitolo che è un pochetto più lungo, perché una settimana mi sembra troppo, soprattutto che vi ho lasciato in sospeso sul più bello (o sul peggio che dir si voglia).
Beh inZomma che direBBi bella gente, sono la regina del melodramma, perché io ci infilo le esperienze limite, altrimenti che amore è se i personaggi non soffrono come cani?
E se vi state chiedendo se questo capitolo è una denuncia sulla violenza sulle donne, ebbene sì, sono molto sgamabile lo so, ma era da un bel pezzo che avevo in mente di fare una cosa del genere.Il titolo del capitolo è dato da Karl Jaspers e l'Esperienza Limite: Jaspers ha esplorato l'esperienza limite, situazioni che sfidano la nostra comprensione esistenziale. Un evento limite può mettere in discussione le nostre certezze e spingerci a cercare un significato più profondo.
La storia può presentare errori ortografici.
Un abbraccio.
DarkYuna.
STAI LEGGENDO
Tra le pagine di Te // (Alunna-Professore)
Romance[Completa] Elena, tu sei come un cerchio. Intero, perfetto, senza spigoli né angoli, non hai bisogno di niente e di nessuno, perché sei già completa. Io sono una scheggia, un frammento, che non si può adattare a te... dovrei spezzarti per entrare ne...