Ad una settimana da quell'infausto giorno, nulla pare cambiato. Il professor Müller prosegue allegramente ad evitarmi e quando non può farne a meno, a trattarmi con distacco. Per di più, ha iniziato a tubare con una sua collega, si impegna a ridere più forte proprio quando nei paraggi ci sono io.
Ogni risata acuta è una freccia che colpisce il cuore, confermando l'allontanamento sempre più evidente. L'ambiente intorno a noi sembra ignorare la tensione palpabile, continuando il suo normale corso, ma per me ogni passo è una fatica.
Mi sforzo di concentrarmi sulle lezioni, sullo studio, di mettere da parte la confusione emotiva che continua a tormentarmi, eppure, ogni sguardo fugace verso il professor Müller è una bastonata alla mia determinazione. La sua complicità con la collega diventa una barriera impenetrabile.
Nelle giornate che seguono, il campus si converte in un groviglio di sentimenti discordanti.
Nonostante i miei sforzi di andare avanti, la ferita dell'ignoto rimane aperta. L'atteggiamento distante mi lascia confusa ed amareggiata, come se avessi perso il filo di un rapporto che aveva promesso di essere qualcosa di più.
Mi immergo nei libri, cerco conforto nella routine quotidiana, ma la sua presenza è un'ombra costante che si insinua nei pensieri negli attimi più inaspettati.
E alla fine ho fatto proprio come mi aveva chiesto: non mi sono lasciata andare alla distrazione.
Nelle aule affollate, cerco di evitare il suo sguardo, ma il destino sembra giocare a mio sfavore, facendoci incrociare in momenti imprevisti. Nei corridoi, in caffetteria, nell'atrio al mio arrivo e spesso anche quando me ne vado, nei pressi della mia auto o alla mia panchina preferita. Ogni volta che i nostri occhi si incontrano, c'è un silenzio carico di significato, un cancello che sembra crescere sempre di più.
E mentre le settimane si susseguono tutte uguali, il mio cuore rimane prigioniero di un capitolo in sospeso, di una storia che pare non avere una conclusione chiara.
L'esperienza con il professor Müller è diventata solo un ricordo sfumato, una pagina di un libro che ho voltato con rassegnazione.
La vita riprende la sua normale routine, e l'università, una volta teatro di emozioni proibite, ritorna ad essere uno spazio di apprendimento e crescita. Mi concentro sulle lezioni, sugli amici, il lavoro, i problemi di tutti i giorni e provo a lasciarmi alle spalle il passato incerto.
Penso di essere forte, quando, il fato ci rimette lo zampino, ed una mattina, diretta al terzo piano dell'edificio universitario, prendo l'ascensore per arginare il ritardo.
Sto per entrare, ma l'uomo al suo interno fa bloccare i miei propositi.
Il professor Müller è nell'ascensore, ed io non mi sento pronta a condividere uno spazio così angusto con lui. Non è il momento. Vorrei non trovarlo più così affascinante, invece da quel lato avrà sempre potere su di me.
<< Forza signorina Ferri, non la mangio mica? >>, provoca, non mostra un cenno di emozione. Siamo tornati a darci del "lei". Tiene aperte le porte dell'ascensore.
<< Sa, non ho portato con me gli occhiali da sole. >>. Vinco il primo round della battaglia verbale.
<< Me ne farò una ragione. >>.
Entro nell'ascensore a testa alta, non gliela do la soddisfazione di trionfare.
<< Che piano? >>. Ha la mano coperta dal guanto nero di pelle che sosta sul quadro elettronico.
<< Terzo piano. >>.
<< Che casualità, anche io. >>. Preme il bottone, le porte si chiudono e l'atmosfera diviene improvvisamente indigesta.
Profuma di tabacco, di un buon bagnoschiuma e di acqua di colonia.
<< Come stanno andando gli studi? >>. Dubito che gli interessi davvero, vuole solo occupare il silenzio. Forse è uno di quelli che davanti al silenzio, teme che i suoi demoni personali lo divorino.
<< Benissimo, grazie. >>, taglio corto. Le parole mi escono affilate.
Lui pare rilassarsi, quasi credo stia ridendo sotto i baffi.
<< Suvvia non sia così lapidaria. Possiamo sempre essere amici? In fondo lei è pur sempre una mia studentessa. >>, calca di proposito "mia" e vorrei non attribuirgli dei significati reconditi sessuali, però è esattamente ciò che faccio.
È impazzito?
O forse sono io ad esserlo?
Settimane che non mi rivolge la parola, che fa il cascamorto con un'altra donna e adesso vuole la mia amicizia?
Gli rivolgo un'occhiata in cagnesco.
<< Lei è il mio insegnante, non vedo il perché dovremmo essere amici. >>, sono più esplicita nel condire quel "mio", con un tono palesemente allusivo.
<< Voleva essere qualcosa di diverso fino al mese scorso. Le è già passata? Avevo ragione io allora. Era solo una sbandata tra studentessa e professore. Forse dovrebbe guardare meno serie tv romantiche. >>. Questa non è una guerra verbale, questo è un massacro a mie spese. È come se volesse farmela pagare per non essere andata fino in fondo ed aver desistito al primo ostacolo.
Boccheggio furibonda, e se non fosse il mio professore, l'avrei già ricoperto d'insulti, ma ha il coltello dalla parte del manico. Se è arrivato a cacciarmi fuori dall'aula solo perché mi sono invaghita di lui, non voglio considerare le conseguenze se adesso litighiamo.
<< La pensi un po' come vuole. >>, provo a buttare acqua sul fuoco.
<< Mi sbagliavo su di lei. >>, continua a provocare. Gioca davvero sporco. << Non è una persona così matura come credevo. >>.
Stringo i pugni, infilzo la carne con le unghie e quando faccio per aprire la bocca per subissarlo di insulti pesanti, con uno scossone forte l'ascensore smette di salire: bloccati tra il secondo ed il terzo piano.
<< Che succede? >>, chiede inquieto, addossandosi alla parete argentata, sembra un leone in cattività dentro la gabbia.
Mi avvicino ai bottoni, il riquadro elettronico è spento, provo ad azionare l'allarme, ma niente.
<< Si deve essere guastato. >>, appuro tranquilla. Non sarebbe la prima volta, l'edificio cade letteralmente a pezzi e i fondi per le manutenzioni necessari non ci sono mai. << Tra poco verranno ad aiutarci e poi potrà tornare ad insultarmi ed ignorarmi. >>.
Improvvisamente, un gemito soffocato giunge dall'angolo, e riconosco la voce del professor Müller. La solida presenza, così sicura e distante nei giorni precedenti, ora sembra crollare in prossimità il peso di qualcosa di più grande, un attimo di smarrimento si trasforma in un affanno disperato, e la sensazione di impotenza avvolge l'intero spazio ristretto.
<< Professore? Va... tutto bene? >>. Il repentino cambiamento non è rassicurante. Riconosco subito quello che è un attacco di panico: avevo un'amica alle superiori che ne soffriva.
Cerca di riprendere il controllo, ma la paura si fa strada incrinando la maschera di risolutezza. Sento il fruscio degli ansimi affannati, il corpo trema evidente sotto una pressione invisibile.
Si allarga il colletto abbottonato della camicia, è troppo coperto per essere Maggio.
<< Io non respiro. >>, ammette ansante. Le pupille dilatate, gli occhi annaspano frenetici in cerca di un'uscita.
<< Professore respiri con me. >>. Gli mostro come inspirare dal naso ed espirare dalla bocca. Con la mia amica funzionava, se ho fortuna andrà bene anche con lui. Dopo un paio di volte inizia ad imitarmi. << Non è da solo, ci sono io qui con lei. >>.
Sta sudando copiosamente e, con un gesto istintivo, prendo a sfilargli i guanti di pelle. È troppo tardi quando un barlume di discernimento torna a lui, ho già tolto l'indumento e resto scioccata da ciò che si presenta al mio sguardo impreparato. I guanti mi cadono a terra.
Sono mani completamente e terribilmente ustionate, la pelle disegnata da cicatrici in altorilievo rivelano di una spaventosa disgrazia che lo ha visto protagonista. La morbidezza della carne è stata sostituita da tessuto cicatriziale, un mosaico di segni, e sfumature violacee. È un incidente che risale a molto tempo prima.
Il professore Müller, sorpreso dal gesto impulsivo, cerca di nascondere le mani, ma è inutile. Lì, nel mezzo dell'ascensore, le sue mani esposte si rivelano, e prima che possa dire alcunché le prendo delicate tra le mie, la loro superficie è ruvida e fredda al tatto.
<< Professore continui a respirare, non smetta. >>. Non pongo domande stupide, anzi, non pongo proprio domande. Se ha nascosto le mani a chiunque in questi mesi, un motivo deve esserci.
<< Andreas, per favore. Andreas. >>. Non smette di tremare un solo istante, e in un contesto simile certe formalità suonano fuori luogo ed inutili.
<< Andreas continua a respirare. Non sei solo, guardami, ci sono anche io qui. Tra poco verranno a liberarci e ti offrirò una... un'aranciata fredda. >>, invento di sana pianta. È necessario che io tenga occupata la sua mente. << Ti piace l'aranciata? O sei più tipo da Coca Cola? >>. Dio, che domanda idiota! Non riesco proprio a fare di meglio che fare domande da terza elementare?
Schiude la bocca pallida, deglutisce e respira a fatica.
<< Preferisco l'aranciata. Sì. >>.
<< Ti ho mai detto che so cantare? >>. Su due piedi le idee da propinargli per distrarlo sono del tutto sparite. Ho le balle di fieno che rotolano nel cervello.
Scuote più volte il capo, i capelli castani gli finiscono sugli occhi. Con cura glieli scosto, azzardo a slacciare un paio di bottoni della camicia, ed altre ustioni fuoriescono dal tessuto. Alla fine riprendo le sue mani. Fingo che niente di quello a cui sto assistendo mi stia turbando.
Schiarisco più volte la gola, intono la prima canzone di cui ricordo le parole.
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Tra le pagine di Te // (Alunna-Professore)
Romansa[Completa] Elena, tu sei come un cerchio. Intero, perfetto, senza spigoli né angoli, non hai bisogno di niente e di nessuno, perché sei già completa. Io sono una scheggia, un frammento, che non si può adattare a te... dovrei spezzarti per entrare ne...