CAPITOLO 29 - Evan

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Stamattina ho saltato le lezioni per andare all'incontro con i dirigenti dei Chicago Blackhawks.

Dopo aver ascoltato per quasi tre ore tutti i loro discorsi e aver apposto qualche firma, il mio sogno ha finalmente preso forma.

Sono dentro. Giocherò come professionista nella National Hockey League.

Ancora non ci credo, cazzo.

Adesso aspetto solo il ritorno della mia meravigliosa fidanzata per festeggiare con lei questo traguardo.

Non appena sento bussare alla porta, mi precipito ad aprire come un razzo.

«Ehi!» Esclamo esaltato, pensando di trovare Emily dall'altra parte della soglia.

Ma non è lei e il mio corpo si irrigidisce come un tronco.

«Evan...» La voce appena udibile di mia madre mi serra la gola in una morsa, rendendomi difficoltoso respirare, e l'improvviso mutismo che mi impedisce di parlare le fa credere di avere il diritto di proseguire. «Non eri a lezione, così ho chiesto in segreteria dove potevo trovare la tua stanza.»

«Che cazzo vuoi, mamma?» Sbotto di colpo, non riuscendo a trattenere la rabbia repressa.

Lei sussulta e sgrana gli occhi, sbattendomi davanti quelle iridi rare, identiche alle mie e a quelle di mia sorella, e facendomi rammentare il dolore che ho provato quel giorno in ospedale quando mi ha cacciato via.

«Sei venuta a ripulirti la coscienza?» Le inveisco contro, adirato.

Lei inizia a torturarsi le dita delle mani e io mi soffermo ad osservare quel gesto nevrotico, mentre un particolare discorso affrontato con Emily qualche giorno fa, di ritorno da casa dei suoi genitori, mi ritorna alla mente...

«Perché non lasci in pace quelle manine, amore?» Le chiedo, una volta richiusa la porta della mia stanza.

«È il mio nuovo sostituto per non mangiucchiarmi le labbra.» Alza lo sguardo e mi fissa negli occhi, la sua fragilità un contorno dolce sul suo volto pensieroso. «Sto cercando di smettere.» Mi rivela piano. «Ma a volte l'ansia mi colpisce troppo forte e ho bisogno di sfogarla in qualche modo.» Confessa a disagio.

Faccio qualche passo verso di lei. «E se sostituissimo quel gesto con un abbraccio, invece? Ho dei poteri magici nascosti proprio qui.» Mi indico uno dei bicipiti fasciati da una semplice maglietta bianca. «Ma non dirlo in giro, eh.» Le scocco un occhiolino dei miei. «Allora, che ne pensi?»

Lei mi sorride timidamente. «Penso che potrebbe funzionare.» Dice, prima di lasciarsi avvolgere dalle mie braccia, abbandonando tutta l'ansia che la stava irrigidendo.

«Entra.» Ordino secco. «Ti do cinque minuti.» E può giusto ringraziare Emily se glie li concedo.

Lei avanza con passo malfermo e raggiunge il soggiorno, mentre io richiudo la porta con un tonfo.

Resta in silenzio, a pochi passi da me, concedendomi qualche secondo per osservarla meglio. È dimagrita, ha le guance scavate e la pelle smorta.

Se non provassi tanta rabbia nei suoi confronti, mi farebbe quasi compassione.

«Come stai?» Domanda, titubante.

Mi esce una risata di scherno. «È un po' tardi per chiedermelo, non trovi? Ho smesso mesi fa di sperare che tu e papà vi interessaste del mio benessere.» Sputo, risentito.

Mia madre annuisce piano, consapevole di non essere nella posizione di poter ribattere.

«Sono stata dimessa dal centro.» Mi informa con un filo di voce. «Ma forse non lo sapevi che ero lì.» Si interrompe.

«Sì, mamma, lo sapevo. Ma sinceramente non me ne fregava un cazzo.» Mento. «Sei stata chiara quel giorno in ospedale.» Sono costretto a fermarmi perché la voce mi si incrina. Da quando mi sono lasciato andare con Emily, sono tornato incline al pianto, ma non ho intenzione di versare neanche una lacrima di fronte a questa donna che per me ormai è al pari di una sconosciuta.

Le mie parole non sembrano scalfirla, o forse è solo brava a nasconderlo.

«Ho ascoltato le tue canzoni tutti i giorni mentre ero lì.» Mi fa sapere, senza mai smettere di torcersi le dita, e il mio cuore salta un battito. Ha ascoltato la mia playlist.

Restiamo in silenzio per qualche secondo, poi lei torna alla carica. «Evan, io-»

Un bussare incessante alla porta la fa interrompere.

Chiunque sia, comincia a battere in modo insistente, così mi rimetto in sesto e vado ad aprire.

PIANETA ERRANTE - CONQUISTA DI UNA STELLADove le storie prendono vita. Scoprilo ora