CAPITOLO 15 - Emily

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Spalanco il portone di casa tutta pimpante.

«Sono tornata!» Grido, la mia voce che riecheggia tra le mura vuote. A quanto pare, i miei non ci sono.

Salgo in fretta le scale, varco la soglia di camera mia e lascio lo zaino ai piedi della scrivania, prima di buttarmi sul letto.

Evan se n'è andato pochi minuti fa e già mi manca.

Ripercorro mentalmente il fine settimana appena trascorso, senza riuscire a sopprimere un sorriso. Ho detto a Evan che avrei lasciato Brad, stasera. Prima, però, ho bisogno di andare a parlare con il nonno. Lui deve essere il primo a saperlo.

Non resisto e afferro il cellulare. Evan mi ha sempre mandato messaggi sull'universo che alludevano a noi due e, per una volta, voglio essere io a farlo.

Io: Arturo e Vega = Noi due. PS: Stavolta non ho scordato i nomi.

Sì, non sono brava come lui, anzi, al confronto sembro una scolaretta delle elementari per quanto la mia similitudine sia banale, ma nel mio piccolo mi sento comunque soddisfatta.

La sua risposta non tarda ad arrivare.

Evan: Le due stelle più luminose dell'emisfero boreale. Vedo che sei stata attenta a lezione, Lolita. Brava.

Io: Solo perché ho una cotta per il mio professore.

E da quella frase segue un lascivo scambio di messaggini tra noi due.

Evan: Sei proprio una monella.

Io: E chissà di chi è la colpa.

Evan: Ho già voglia di te, Em.

Io: Domani vado in biblioteca dopo le lezioni. Ti aspetto tra gli scaffali dove mi hai baciata il primo giorno di scuola.

Evan: Non mancherò. A domani, piccola mia.

Sorrido come una cretina. Mi alzo dal letto e mi cambio, pronta ad andare a Lake Forest.

Quando scendo le scale, però, trovo mio padre fuori dal suo studio, la testa china e le mani fra i capelli.

«Papà...» Mormoro, il cuore che di colpo si arresta. Lui alza il capo e mi fissa, lo sguardo vacuo. «Stavo andando a trovare il nonno...» Dico in un sussurro, le ultime parole che mi muoiono in gola, come se già sapessi...

«Andiamo nel mio ufficio, Emily.» Ribatte soltanto. E a me si serra la gola.

Seguo mio padre nella stanza, le gambe tremanti.

Una volta dentro, mi accorgo della presenza di mia madre. È in piedi, all'altro capo della scrivania, in un completo giacca-pantalone color crema, con la schiena poggiata contro lo scaffale a parete ricolmo di libri e lo sguardo travagliato.

Mio padre fa il giro del tavolo e la raggiunge, restando un passo avanti a lei. Incrocia le braccia sul petto, la stoffa della camicia bianca che si tende di conseguenza, e prende un respiro.

«Tesoro, siediti per favore.» Il suo tono freddo mi induce a pensare al peggio.

Non sono pronta a quella notizia è tutto ciò a cui riesco a pensare.

Prendo posto di fronte a loro, sedendomi sul bordo dell'elegante poltrona in pelle come se scottasse, poso le mani in grembo e trattengo il respiro. I loro occhi puntati su di me, che mi congelano il sangue.

«Purtroppo il nonno non sta rispondendo bene alle cure.» Esordisce mio padre, e, per quanto penoso possa sembrare, io tiro un sospiro di sollievo. Almeno non è morto.

PIANETA ERRANTE - CONQUISTA DI UNA STELLADove le storie prendono vita. Scoprilo ora