La bambina bionda rise e lo fece con la spensieratezza dei suoi quattro anni appena compiuti, sporgendosi tra i sedili dei suoi genitori e sollevando la manopola della radio della macchina per alzare il volume.
- Stai sul seggiolino! - esclamò la mamma voltandosi verso di lei e allontanandosi la cintura dal petto mentre lo faceva, rivolgendole un sorriso.
Frederick, il papà, sorrise guardando la figlia dallo specchietto retrovisore osservando un'espressione corruciata e adorabile alla quale non poteva resistere. Non ci sarebbe mai riuscito, a dire la verità.
Fece saettare lo sguardo dall'autostrada che li avrebbe portati sulle spiagge di Malibù alla figlia, e solo quando fu certo che si fosse assicurata al sedile, dedicò l'attenzione totale alla guida.
- Brava bambina - sorrise Atena spostando gli occhi grigi sul profilo del marito, posando una mano sulla sua, mentre cambiava la marcia.
Frederick sorrise mentre guidava, ascoltando i gridolini eccitati di una bambina di quattro anni che ancora non riusciva a comprendere il legame che univa i suoi genitori.
- Tra quanto arriviamo? - domandò la piccola puntando le mani sui braccioli e sporgendosi verso sinistra per poter vedere la strada e il paesaggio che sfrecciavano accanto a lei.
Frederick incrociò ancora una volta gli occhi grigi che aveva preso dalla mamma e sorrise, sollevandosi gli occhiali che erano scivolati lungo il naso. Riportò la mano al volante e cambiò marcia con quella sinistra. - Fra po..
- Frederick!
-Papà!
E l'uomo non riuscì ad evitare il van scuro che aveva cambiato corsia, andando dritto verso la loro utilitaria.
Lo schianto fu l'ultima cosa che sentì.
Annabeth si alzò di scatto, la fronte imperlata di sudore e il respiro corto.
Chiuse gli occhi passandosi una mano tra i capelli biondi nel tentativo di calmarsi, stringendo il piumone bianco in un pugno e ignorando il cuore che minacciava di bucarle lo sterno.
Aveva paura, come al solito.
Aveva sognato quell'incidente, come al solito.
E la cosa che più la destabilizzava era il non riuscire a collegare niente a quel sogno. E lei riusciva a collegare e capire sempre ogni cosa. Era stata ammessa al City College di New York col massimo dei voti. Aveva il QI più alto di tutti i diciotenni che avevano fatto l'esame con lei. Aveva vinto talmente tante gare di matematica e scienze da aver finito lo spazio sulle mensole e aveva collaborato con professori universitari per nuove scoperte scientifiche. E si, forse un po' ce l'aveva nel sangue perché i suoi genitori -scomparsi nel nulla e dei quali non si ricordava niente, se non qualche risata- erano scienziati eppure, quel sogno che la faceva svegliare nel bel mezzo della notte tormentandola per tutta la giornata, sembrava non avere risposte o soluzioni.
Ed Annabeth Parker aveva sempre risposte e soluzioni. Ogni volta lei sapeva quello che sarebbe stato giusto fare. Ogni volta sapeva quale sarebbe stato il piano migliore o la strada giusta da prendere. Ma quel sogno, quel sogno era il suo cruccio più grande e si, ne aveva parlato anche con zia Marin che era psicologa ma che, oltre a un'espressione un po' tesa che un occhio meno attento del suo non avrebbe notato, non le aveva detto altro che un:"sarà qualche film che hai visto, non preoccuparti piccola dea".
E lei, come faceva ormai da quattordici anni, continuava a fidarsi di lei. Perché si, aveva Talia e Luke e le loro erano presenze da non sottovalutare. Aveva Piper che la faceva ridere ed Hazel che la ascoltava ogni volta ma zia Marin era l'unico legame di sangue che aveva. E si, Annabeth Parker aveva diciotto anni, la media scolastica più alta dello stato di New York e un gancio destro che avrebbe steso di chiunque, ma aveva paura. Paura perché quel sogno era sempre vivido in quelli che non potevano essere solo sogni, ma zia Marin glielo aveva promesso che non l'avrebbe mai lasciata sola.
Annabeth spalancò le persiane della sua camera, ignorando il freddo di fine novembre e limitandosi a incrociare le braccia sotto al petto mentre usciva sul terrazzo. Sorrise, osservando New York sotto e davanti a lei, osservando i colori e le luci, ascoltando i suoni della città che non dorme mai.
La osservò per secondi, minuti, ore che non si preoccupò di calcolare continuando a sorridere e ignorando i brividi di freddo. Andava bene così, quella era New York, quella era la sua città e solo guardandola dall'alto, guardando lo spettacolo di luci che le sembrava si mostrasse ogni volta più bello solo per lei, riusciva a capire quale fosse il suo posto, o per cosa valesse la pena lottare.
***
L'uomo aprì i palmi ruvidi delle mani contro la superficie in cristallo della sua scrivania. Lanciò un'occhiata di ghiaccio alla Marlboro Light adagiata sul posacenere di marmo scuro accanto a lui, e poi si premurò di osservare il ventenne davanti alla sua scrivania.
- La voglio qui, e la voglia viva - ordinò in un sibilo, nascondendo un sorriso perverso quando vide il ragazzo a un metro dalla sua scrivania, rabbrividire. - Non mi importa se ha quei figli di puttana della C.M. della sua parte, io la voglio qui.
Il moro davanti a lui deglutì, ignorando la goccia di sudore freddo che colò lungo la tempia. - Se posso permettermi.. - tentò, mosso da una più che naturale e inopportuna curiosità.
- No. Non puoi permetterti, Nakamura. Voglio la Chase qui. La voglio entro una settimana e la voglio viva.
Ethan Nakamura corrugò la fronte nel tentativo di analizzare il volere del suo capo. - Ma signore, se la C.M. intervi..
E solo in quel momento, l'uomo sorrise. Fece scintillare gli occhi di ghiaccio e raddrizzò la schiena, prendendo la sigaretta e stringendola tra due dita mentre se la portava elegantemente alla labbra senza nascondere un sorriso di intesa, quella volta.
Ethan sorrise. Sorrise assottigliando lo sguardo dell'unico occhio buono e piegò la testa una sola volta in avanti in segno di congedo. - Perfetto, signore. - Disse senza smettere di sorridere. - Posso portare degli uomini con me? - domandò tornando ad analizzare lo sguardo, adesso nascosto dal fumo denso, del suo capo.
- Massimo due. Deve essere una cosa veloce.
- Come desidera, signore - rispose obbediente, voltandosi per poter uscire dall'ufficio all'ultimo piano che dava su New York.
L'uomo dietro di lui lo chiamò, costringendolo a fermarsi nel mezzo della stanza, con un piede in procinto di poggiarsi sulla moquette scura. - Nakamura - disse, poggiando nuovamente la sigaretta nel posacenere quando incrociò l'occhio scuro del suo collaboratore. - Se è Percy Jackson ad intervenire - esordì, aprendosi in un sorriso disumano, - Fallo. A. Pezzi.
E solo a quel punto, Ethan si sentì libero di andare via.
Angolo Autrice:
Ehiiila<3
Sono tornata e con la famigerata long che vi avevo promesso con la fine di Princess e con la shot "I think I wanna marry you".
In verità, se ho pubblicato oggi dovete ringraziare solo _AnnabeThalia_ che dopo una chiacchierata al telefono mi ha convinto a farlo ahahah fosse stato per me, avrei pubblicato fra qualche secondo.
Spendo qualche parola per commentare questo breve prologo: parto con l'assicurarvi che il resto dei capitoli sarà moooolto più lungo ma questo è solo un inizio che vuole stuzzicarvi un pochino^-^
Tutto avrà una spiegazione già dal prossimo capitolo e spero che, per quanto breve, vi abbia attirato abbastanza per lasciarmi qualche parere e proseguire nella lettura.
Il rating è rosso perché ci sarà molto violenza e perché, si, ci saranno anche scene parecchio divertenti (a buon intenditor poche parole).
Tutto avrà una risposta al prossimo capitolo, giuro! E prometto che gli aggiornamenti saranno sempre regolari ahahaha
A prestissimo, fiori di campo!
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Angel with a shotgun
Фанфіки* QUI E SU EFP, DOVE HO LE STESSO NOME AUTORE, SONO GLI UNICI FORUM IN CUI TROVERETE LE MIE STORIE. SE DOVESTE TROVARE UNA MIA STORIA SU QUALCHE ALTRO PROFILO, SEGNALATE. È UN PLAGIO * Scattò verso la porta, sbattendo il fianco contro il mobile app...