Angel with a shotgun

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Aveva tenuto l'Ipod nascosto nel reggiseno per così tanto che, a un certo punto, si era persino dimenticata di averlo. Il fatto che fosse ancora vivo dopo due giorni che veniva picchiata da Crono in persona la sorprese ancora di più, ma -sicuramente- quell'Ipod era una speranza alla quale aggrapparsi.

Sapeva che Percy, Talia e Luke sarebbero andati a prenderla. Sapeva che avrebbero fatto qualsiasi cosa per lei. Sapeva che erano addestrati e forti, ma aveva comunque paura.

Aveva mangiato la bistecca della sera a forza e, anche quella notte, Ethan Nakamura si era seduto sul bordo del letto a chiacchierare con lei. Era più teso, anche un po' più arrabbiato e Annabeth non riusciva ancora a spiegarsi il perché non fosse più il ragazzo che l'aveva picchiata il primo giorno che era arrivata alla Cronos.

Erano le otto e mezzo della mattina e doveva contare sul fatto che i suoi amici fossero già arrivati.

Aveva avuto il tempo di esplorare tutti i corridoi eleganti della Cronos e sapeva che c'era un'uscita di sicurezza per ogni piano, e i piani erano almeno trenta. La sua cella era al terzo piano e quell'uscita di sicurezza era pattugliata da due ragazzi armati.

Sarebbe stata una passeggiata farli fuori, ma doveva sperare che anche i suoi amici scegliessero quell'uscita.

Quello era il piano più rischioso e meno organizzato del mondo. Ma lei era comunque pronta.

Si alzò dal letto, stirando le braccia sopra la testa e poi batté il pugno sulla pesante porta bianca un paio di volte. – Ehi, Johnny Bravo – esclamò, chiamando il ragazzo che pattugliava la sua cella. – Devo uscire da qui dentro. – Sorrise davanti all'espressione malcelatamente offesa. – Oh, andiamo. Sono due giorni che ti chiamo Johnny Bravo. Ormai siamo diventati amici! – disse contenta, cercando i suoi occhi scuri insistentemente, rimanendo in punta di piedi per poterlo guardare oltre il piccolo vetro della porta.

- Devi rimanere nella tua cella fino a che il capo non mi darà nuovi ordini – le rispose a quel punto, irrigidendo la schiena un attimo dopo e posando distrattamente la mano destra sulla pistola che teneva nella fondina.

Annabeth sbuffò. Ignorò il cuore che batteva forte. Ignorò il fiato corto e la paura. – Ma io devo uscire! – esclamò, battendo i palmi della mani contro la porta.

Il ragazzo tentò di ignorarla. Mentenne lo sguardo storicamente fisso davanti a lui fino a che Annabeth non si stancò di aspettare.

- Allora, mi porti in bagno o devo pisciare tutti gli angoli della stanza come se fossi un cane?

Annabeth roteò gli occhi al cielo, sbuffando annoiata. – Devo rifare il discorso? – borbottò mentre il ragazzo stringeva tra le mani grandi un paio di manette. – Dunque, se solo volessi, potrei spaccarti la testa con le mani legate e seduta a terra. Le manette sono solo una convenzione. E mi danno anche fastidio! – aggiunse, cercando lo sguardo scuro del ragazzo che, adesso, sembrava star trovando molto interessante la punta delle proprie scarpe lucide.

Johnny Bravo allungò le manette verso di lei e Annabeth buttò la testa all'indietro. – Scusa, non volevo farlo adesso.

E prima che il ragazzo potesse osservarla confuso, Annabeth gli afferrò i capelli sulla nuca, sbattendogli il volto contro il suo ginocchio. Gli avvolse un braccio attorno al collo, repentina, e aspettò qualche secondo prima di sentirlo accasciarsi tra le sue braccia.

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