Monsoon

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Monsoon

L'uomo sbatté forte i palmi delle mani sulla superficie spessa del tavolo e Ethan Nakamura strinse i pugni fino a che le nocche non divennero bianche, concentrando l'attenzione dell'unico occhio sulla cenere che era finita sul vetro.

- Cosa vuol dire che è riuscita a scappare? - sibilò sollevando lo sguardo di ghiaccio sul suo collaboratore. E quando Ethan scosse la testa, il suo urlo sembrò quasi in grado di far tremare le pareti. - COSA VUOL DIRE CHE NON SIETE RIUSCITI A FERMARE UNA RAGAZZA DI DICIOTTO ANNI COMPLETAMENTE SOLA?!

Ethan arretrò di un passo senza riuscire a trattenersi e l'uomo spinse il pugno contro il tavolo tenendo lo sguardo fisso sulle nocche e afferrando la sigaretta, prendendone una lunga boccata.

- Mi dispiace che non ti abbia spaccato la testa - confessò lasciando che il fumo scivolasse via dalle sue labbra mentre parlava. - Perché quello che ti farò sarà tremila volte peggio di ciò che ti ha fatto Annabeth Chase - sputò con disprezzo permettendosi un sorriso nell'osservare l'espressione terrorizzata di Ethan. - Voglio quella piccola puttana qui - ordinò.

- Ma Percy Jack..

E l'uomo ringhiò ancora afferando il posacenere e lanciandolo contro la testa di Ethan che riuscì ad abbassarsi velocemente, voltandosi poi per vederlo schiantarsi contro la porta di mogano spesso, crollando a terra in una pioggia di cenere e marmo. - NON MI IMPORTA DI PERCY JACKSON! - urlò. - NON MI IMPORTA! - continuò facendo strisciare le mani sulla sua scrivania con violenza, gettando a terra il computer, le scartoffie e la pistola argentata che aveva lì sopra. - Ho bisogno di quella formula, Nakamura - sibilò col respiro ansante. - Ho bisogno di quella formula e ho bisogno di Annabeth Chase. Trovala e predila, non mi importa come farai - ordinò accennando un passo per fare il giro della scrivania.

Ethan deglutì e si torturò i pugni sulla schiena. - Ho bisogno di quella piccola dea entro Natale. Ho bisogno di lei, di quella formula e di quella stramaledettissima bomba, chiaro? - sibilò puntando le mani sulla scrivania spoglia sporgendosi verso un Ethan che era sempre più lontano. - Anche le divinità commettono errori e tu -quando lo faranno- dovrai essere pronto. - Assottigliò lo sguardo e Ethan annuì con vemenza. - Per questa volta sei vivo, Nakamura, ma non ci sarà una prossima volta perché prima di torturo e poi ti uccido.

***

Annabeth si svegliò di colpo incredibilmente sudata e avvolta fastidiosamente tra le lenzuola e il piumone.

Non voleva gettare uno sguardo al suo telefono -impostato rigorosamente su modalità aereo- per sapere che ore fossero. Voleva solo uscire nel terrazzo, respirare l'aria di New York, osservare le luci e ascoltare i suoni della città che non dorme mai fino a che il cuore non avesse smesso di battere così velocemente.

Ma lo sapeva che la sua casa al quarto piano della ventisettesima strada doveva dimenticarla. E sapeva che, se avesse aperto la sua finestra avrebbe visto una foresta. E sapeva che fosse uscita dalla sua stanza non sarebbe andata in quella di Zia Marin esattamente affianco alla propria ma si sarebbe ritrovata in un corridoio ampio con foto di eroi veri e immaginari, con iscrizioni alle pareti in un bel corsivo che stava iniziando ad odiare perché le ricordavano costantemente quanto fosse lontano di casa.

Si passò una mano tra i capelli biondi sudati e scalciò via le lenzuola ignorando il sogno che aveva fatto e che le aveva mostrato per l'ennesima volta due persone che, trionfanti, gridavano "Magnesio!". Si alzò sistemandosi la felpa ampia con la quale aveva dormito lungo le cosce e poi aprì silenziosamente la porta della sua stanza per evitare che nessuna delle ragazze che vivevano con lei potessero svegliarsi.

Angel with a shotgunDove le storie prendono vita. Scoprilo ora