Ester ed Ulisse

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Un'altra settimana era passata, e più passava il tempo più ero grata di essere ancora viva, per combattere contro l'assassino di mio fratello. Avevo una strana sensazione però, come se avessi una malattia terminale, una data di scadenza segnata sulla fronte. Sentivo che avevo poco tempo per sciogliere la matassa che si era creata attorno a quella maledetta morte.

Per quel momento eravamo ad un buon punto, se così si può dire:

Avevamo trovato dei bonifici, capito che la mia diagnosi era falsa, controllato entrambe le autopsie svoltasi sul corpo di Jacopo e ci eravamo accorti che mio fratello era malato. Ma ora che ci stavo ripensando, Elia aveva dato a suo padre i bonifici da controllare, ma ancora non avevo ricevuto notizie su questi ultimi. Ho allora deciso di chiamarlo, giusto per fare il punto della situazione.

"Elia, ciao. Scusa se ti disturbo."

"Lele! Ma che disturbo! Dimmi tutto"

Ho sorriso. Elia mi faceva venire così tante farfalle nello stomaco da farmi quasi sentire una parvenza di nausea.

"Senti, ti volevo chiedere se riguardo a quei bonifici tuo padre ha scoperto qualcosa."

"Ah. Sì...ehm... te lo stavo per dire. Vorrebbe incontrarti per parlarne in verità..."

"Incontrare me?"

Dall'altra parte del telefono Elia ha fatto un mugolio di assenso.

"Va bene... allora dimmi quando posso venire."

"Anche adesso se vuoi."

Elia non è mai stato uno che perde tempo, ne ero cosciente, e in quella situazione era meglio così.

"Dammi un quarto d'ora e sono da te."

Ho messo giù. Ho sospirato.

"Andiamo a conoscere il padre del mio pseudoragazzo." Ho bisbigliato tra me e me.

Ero davanti al cancello di Elia, pietrificata, non riuscivo a citofonare e non ne capivo il motivo. In quella casa c'era un altro indizio, un'altra carta e io dovevo fare in modo di scoprirla. Rachele, non si torna indietro.

Ho citofonato. Mi hanno aperto. Sono entrata.

Ad accogliermi è stato Elia che mi ha fatto accomodare sul divano del salotto, in attesa di suo padre. Ero curiosa di conoscere un pezzo della sua famiglia , ma allo stesso tempo rimanevo concentrata sull'obbiettivo: i bonifici.

"Eccomi ragazzi." ha fatto la sua entrata il padre di Elia. Era molto giovane, non avrà avuto più di quarant'anni, molto alto, biondissimo e sembrava quasi un body builder per quanto era massiccio. Ma stessi occhi e stesso sorriso di Elia, uguali, identici, spiccicati.

Sono scattata in piedi per presentarmi, Elia è invece rimasto seduto.

"Rachele." gli ho stretto la mano

"Gioele, molto piacere." ha ricambiato la stretta.

"Prego, accomodiamoci." Mi ha indicato il divano. Mi sono seduta, speranzosa.

"Allora" ha cominciato: "ti devo dire Rachele, la situazione è veramente molto delicata. Sui bonifici non vi era un mittente ed è stato davvero difficile risalire a quest'ultimo, ma ci sono riuscito. Però...."

"Però?"

"È sotto falso nome. È un certo Armando Acabi, ma non riesco a risalire a nessuna informazione che lo riguardi. Insomma, se non vi fossero questi bonifici, direi proprio che quest uomo... è inesistente."

"Ma" ho ripreso io con voce tremante: "è impossibile. Cioè lei..."

"Tu." mi ha interrotto con un sorriso che io ho ricambiato.

Le carte della vita: esiste conversione nella morte dell'anima?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora