La vita nuova

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Era notte fonda ed ero in dormiveglia, quando, dallo stato in cui ero, ho sentito la porta aprirsi e qualcuno entrare, singhiozzando. Ho aperto gli occhi: era Elia che in mano teneva la mia lettera. Bisbigliava per non svegliarmi:

"Rachele... anche io ti amo. Perdonami se non ho capito subito ciò che stavi tramando, perdonami se ti ho fatta sentire come se non mi potessi dire tutto. Scusa Rachele..." singhiozzava, tenendomi la mano.

"Elia..." sono intervenuta io. Il ragazzo ha fatto scattare la testa nella mia direzione, avvolgendo ancora più forte la mia mano con entrambe le sue. Il suo respiro era gravoso e stava aspettando solo che io gli dessi conferma di essere tornata quella di sempre, la sua Rachele.

"Ti amo."

L'ho quasi sussurrato, come se fosse un segreto. Lui ha sorriso e mi ha abbracciata così forte da farmi quasi mancare il respiro, per poi scioglierlo, guardarmi dritto dritto negli occhi e baciarmi. Baciarmi come non aveva mai fatto prima.

"Sei stata bravissima" ha detto sulle mie labbra: "ma non farlo mai più." ho ridacchiato sulle sue: "te lo prometto."

Ho interrotto il bacio: "ho bisogno di aria." ho informato Elia: "Lele, sono le 2 di notte e sei in un ospedale. Dove credi di andare?"

"Don Giovanni mi ha detto che c'è un balcone qua davanti." L'ho implorato con gli occhi e lui ha acconsentito, a patto che non mi alzassi, ma andassi in sedia a rotelle.

Elia mi ha spinta fino alla finestra che separava lo spazio chiuso da quello aperto, non appena ho sentito la brezza notturna sulla pelle ho fatto un respiro profondissimo, immettendo tutta l'aria fresca nei miei polmoni. Elia si è seduto su una sedia che aveva posto accanto a me.

"Sai Elia, mi è successa una cosa davvero strana mentre ero in quella basilica."

"Ah sì?" Ho annuito: "proprio nel momento in cui stavo per sparare ho sentito una voce, una voce calda e paterna che mi diceva che si sarebbe preso cura di me. Era talmente bella e limpida che mi ha convita in meno di un millisecondo. Proveniva dall'altare. Ma non so se era solo la mia coscienza o..." ho sospirato: "ma non fa nulla" Elia sorrideva mentre mi guardava con occhi sognanti.

"Era Lui" ho incrociato il suo sguardo innamorato: "Lui chi?" Il ragazzo ha indicato verso il cielo. Sono rimasta colpita dal fatto che Elia avesse immediatamente capito che cosa mi fosse successo.

"Amor ch'al cor gentil, ratto s'apprende..." ho sussurrato, per non farmi sentire da Elia: "cosa?" Ha chiesto lui. Guardavo il cielo e le stelle, mentre aprivo ad Elia il mio cuore per l'ennesima volta: "io desidero che qualcuno sia disposto a leggere Lancillotto e Ginevra con me, capisci?"

"In verità, no" ha sorriso, nei suoi occhi c'era tanta compassione nei miei confronti. Ho ricominciato io: "Paolo e Francesca sono morti leggendolo. Si amavano talmente tanto da non riuscire, nonostante l'incredibile paura di essere scoperti ed uccisi, a non rischiare per il proprio amore. Io desidero che qualcuno mi ami così, che per qualcuno io sia più importante della morte." Il mio interlocutore teneva la testa bassa, così ha alzato il capo per rivolgermi i propri occhi, e con loro, tutto il suo amore per me che ardeva nelle pupille.

"E tu sei pronta a quell'amore Rachele? È tanto forte quello che dici. L'amore può distruggerti, disintegrarti se gli lasci troppo spazio." Ho cominciato a ridere: "perché ridi?" Mi ha chiesto: "perché fai ridere Elia. Ma come? Proprio tu che ami incondizionatamente qualcosa che non vedi, non senti, e che non sai nemmeno se esiste, vieni a dire a me che l'amore non unisce ma distrugge?" Avevo gli occhi lucidi a causa di un'emozione irriconoscibile quanto incontrollabile al mio intelletto che mi stava facendo impazzire; ma non demordevo, volevo provare a sentirmi viva anche per un secondo solo, volevo amare, anche per un millesimo di mezzo millisecondo, anche a costo di distruggermi con le mie mani. Non avevo più paura, ero impazzita probabilmente, ma non avevo più paura.

"È diverso" ha ricominciato ad esporre la sua tesi lui: "se amassi Dio lo sapresti" ero sconvolta dalle sue parole: mi avevano ferita, ma non ero sicura del perché, era come se in quel momento avessi voluto rivendicare il mio diritto di amare Dio. Così, come una fontana dalla quale sgorga continuamente acqua non potabile, ho cominciato a sillabare, senza neanche accorgermene, una frase. Non avevo intenzione di dirla, ma ero inconscia, che proprio quelle poche parole, da lì a poco mi avrebbero per sempre stravolto la vita: "e se anche io amassi Dio?" Mi sono immediatamente coperta la bocca con entrambe le mani, come se mi vergognassi di quello che avevo appena enunciato. Elia mi ha sorriso e paternamente mi ha stretto la spalla, prima di dirmi con tono fiero: "Eccola" ho lentamente allontanato le mani dalle labbra, e nei suoi occhi ho sussurrato: "che cosa?" Elia mi ha preso le mani e dopo qualche secondo ha pronunciato la parola, quella parola che era tutto ciò che stavo cercando ma che non ero a conoscenza di averne estrema necessità, finché non ha finito di muovere le labbra affinché mi arrivassero all'orecchio quelle 10 lettere:

"La chiamata"

Ho sentito una stretta al cuore e un fuoco nel petto, ma non mi stava occludendo il respiro, me lo stava regalando. Quel fuoco diceva una cosa che io non ho potuto fare a meno di ripetere:

"Portami in chiesa" ho sibilato: "per favore"

L'ho guardato e ho riconosciuto nei suoi occhi la stessa scintilla che in quel momento si era accesa nei miei: "subito" ha sorriso lui. Si è alzato e ha cominciato a spingere la carrozzina. Direzione: cappella.

Eccoci, eravamo davanti all'entrata della cappella dell'ospedale. Elia si era fermato, non era sicuro che io fossi completamente cosciente e certa di ciò che volevo fare.

"Rachele, sei pronta?" Il cuore batteva all'impazzata e quel fuoco bruciava dappertutto: "non aspetto altro Elia" il ragazzo ha ricominciato a spingere. Siamo entrati. Mi mancava il respiro e provavo un amore immenso ed incondizionato che non riuscivo a riconoscere in niente mai provato prima. Mi sono alzata in piedi, guardando dritto dritto verso Gesù sulla croce e l'ho sentito, con il cuore, non con le orecchie.

"Benvenuta figlia mia. D'ora in poi non sarai mai più sola."

Sono caduta a terra in ginocchio, singhiozzando. Tenevo le mani strette al petto che stava esplodendo e sorridevo luminosamente. Elia rimaneva in silenzio dietro di me, sentivo che tirava su col naso: si era emozionato. Dalla mia bocca continuavano ad uscire ringraziamenti e scuse. Dopo poco più di un'ora che ero in questo stato di trance, sono tornata alla realtà, alzandomi in piedi sono andata ad abbracciare Elia.

"Sono viva, e per la prima volta sono felice"

E quello fu il giorno della mia rinascita, il giorno in cui il Cristo vinse la morte della mia anima e mi rese partecipe della sua vita immortale. 

Le carte della vita: esiste conversione nella morte dell'anima?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora