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POV'S KARPEr

L'aereo atterra qualche ora dopo e, appena scendo, faccio un sorriso di sollievo. Finalmente, lontana da Gevon e da tutta quella merda.

Ogni pensiero su Gevon accendeva in me una fiamma di odio così intensa che mi toglieva il respiro. Non riuscivo a dimenticare l'orrore che aveva portato nella mia vita, l'ombra cupa che aveva avvolto ogni mio giorno per così tanto tempo. Gevon non era solo un aguzzino: era il simbolo di tutto ciò che avevo perso, il mostro che mi aveva privato della mia libertà e della mia pace mentale.

Odiavo Gevon per la paura che mi aveva instillato, per ogni momento di terrore che mi aveva fatto vivere. Ricordo ancora le sue mani ruvide e spietate, il suono della sua voce che risuonava come un martello nella mia testa, le sue risate malvagie che echeggiavano nella mia mente anche quando era lontano. Ogni parola che mi aveva rivolto era una lama affilata, mirata a farmi sentire insignificante e impotente.

Odiavo Gevon per la solitudine che mi aveva imposto. Mi aveva strappato via dalla mia famiglia, dagli amici, da ogni volto familiare che avevo amato. Mi aveva relegata in un mondo di isolamento, dove le sue crudeli manipolazioni erano la mia unica compagnia. Ogni tentativo di ribellione, ogni grido di disperazione, era stato soffocato con una brutalità che mi aveva lasciato cicatrici invisibili, ma profonde.

Odiavo Gevon per ogni cicatrice che mi aveva inflitto, non solo sul corpo, ma soprattutto sull'anima. Mi aveva spezzato e ricostruito a sua immagine, cercando di plasmarmi in una versione di me stessa che potesse controllare. Ma non aveva capito che ogni tentativo di distruggermi alimentava la mia determinazione a resistere, a sopravvivere, e, infine, a scappare.

Ora, lontana da lui, uso quell'odio come scudo, come forza. Ogni volta che penso a Gevon, ricordo quanto sono forte, quanto ho sopportato e superato. Il mio odio per lui non è solo un riflesso del dolore passato, ma un promemoria costante della mia resistenza, della mia volontà di vivere una vita libera e piena di speranza.

Scendo dalle scale dell'aereo, mano nella mano con Jake. Ma, appena mi avvicino all'uscita, mi accorgo di qualcosa di strano. Mi tolgo gli occhiali da sole per guardarmi meglio attorno e rendermi conto che siamo ancora in Russia. Mi avvicino a una hostess e le chiedo informazioni. Quando mi dice che hanno fatto marcia indietro per un problema tecnico, mi crolla il mondo addosso. Mi guardo un'altra volta attorno, sentendomi come dispersa, e poi mi accorgo di una persona che mi fissa intensamente. È l'unica persona che non avrei mai voluto rivedere... Gevon.

Mi mescolo tra la folla velocemente, cercando di fuggirgli. Poco lontano intravedo un poliziotto e decido di avvicinarmi.

"Qualcuno mi sta seguendo, mi aiuti," dico con voce tremante.

"Cosa è successo, signorina?" risponde lui, con tono calmo.

"Un uomo mi sta seguendo. Mi ha rapito, sto cercando di scappare da lui."

"Stai tranquilla, ci sono io qua adesso. Riesce a dirmi chi è quest'uomo?" Mi guardo intorno e lo vedo, appoggiato a un palo. "Quello lì," rispondo, indicandolo. Il poliziotto lo fissa, abbassa la testa e, invece di andare verso di lui, prende fuori le manette e le mette ai miei polsi.

"No, c'è un errore! È lui, Gevon, è lui il rapitore!" urlo disperata, ma il poliziotto non ascolta. Il mondo sembra crollarmi addosso ancora una volta, e la mia unica speranza di fuga svanisce nel nulla

Il poliziotto mi porta verso l'uscita dicendo: "Adesso la porterò al comando, dove contatteremo i suoi genitori."

"Va bene," rispondo io, felice di essere finalmente in salvo e già tra le braccia della polizia.

Appena arrivati, fanno attendere me e Jake in sala d'attesa. Cerco di tranquillizzarlo in tutti i modi, cercando di scacciare dalla mia mente l'immagine di Gevon con la camicia nera sbottonata, gli occhiali da sole e quel suo maledetto sorriso. Dio mio, viene voglia di sbatterlo al muro , nonostante tutto quello che ha fatto.

AMORE MAFIOSO Pallottole di doloreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora