Capitolo 1- Cesar

39 3 26
                                    

Molta gente vive serenamente, in una famiglia la maggior parte delle volte "normale". Ma nel mio caso non è così: sono Cesar Volkov, ho 19 anni e sono orfano.
Da quando ho 3 anni abito nell' orfanotrofio di S. Calogero, nel nord della Russia con mio fratello maggiore Dimitri Volkov. Quel posto è stato soprannominato "l'inferno dei bambino", il motivo di questo soprannome? È un posto orribile, con regole rigide e persone insensibili. Per farvi capire, se qualcuno sbaglia , viene picchiato. Questo spiega tutte le cicatrici sul mio petto e sulle mie braccia.
Comunque, partiamo con l'estetica del posto: prima di entrare c'è un cancello di ferro, alto più di tre metri per non far uscire nessuno. Dopo c'è un giardino fantastico, pieno di fiori dove si va a giocare solo la mattina dopo colazione, dopo le lezioni e tutte le domeniche pomeriggio. Andando avanti si vede quella grandissima struttura in legno d'abete con un portone in pietra. L'orfanotrofio. Ormai da anni le proprietarie sono Suor Tityana e Suor Olga.
Entrando dentro quell' inferno di posto, c'è un corridoio enorme con in centro una scala che pota di sopra, ai lati è pieno di foto dei vecchi proprietari, fino alle due stanze che sono la mensa e le aule. Tutte le pareti sono piene di crocifissi e cose simili. Iniziando a salire le scale due lunghi corridoi portano ai dormitori. A destra quello dei maschi, a sinistra delle femmine. Con al centro dei corridoi i bagni.
In quell' edificio, quando si diventa maggiorenni si hanno due possibilità: andarsene da lì oppure fare da "babysitter" ai bambini. Io ovviamente faccio da babysitter. Ad un bambino di nome Anthony, un bambino magro, con i capelli neri e due occhioni marrone scuro che è stato portato qui pochi mesi fa, quando aveva appena compiuto due anni. I suoi genitori erano violenti, e sua sorella è morta un' anno fa.
Ma tornando all' orfanotrofio, ci ricordate che vi ho detto delle rigidissime regole del posto? Ecco, quelle "fantastiche" regole erano: alle 21:30 le luci spente e si andava a letto, alle 8:00 massimo tutti svegli a fare colazione, mangiare ogni cosa che ci veniva messa nel piatto e non fare amicizie online. Possiamo dire che ho sempre rispettato tutte queste cose, o almeno, fino ai miei 14 anni. Quando mi ero rotto il cazzo di tutte queste regole e mi creai un account su Instagram , dove conobbi due ragazzi: Xavier Henderson e Elliot Walker. Xavier era un ragazzo della mie età, con i capelli marroni e gli occhi verdi. Invece Elliot ... Elliot era un ragazzo italo-americano di un' anno più piccolo di me, con i capelli ricci di un arancione acceso e anche lui gli occhi verde smeraldo.
Tutti e due sono i miei migliori amici ancora oggi, è da ormai 5 anni che gli conosco e ho capito che forse, Elliot per me è più che un'amico.
Sono proprio un cretino, non potrò mai avere una storia con lui.
Penso solo a lui, è il mio unico pensiero. E non avrei mai pensato che questo pensiero mi avrebbe fatto finire in una situazione del genere. Ma partiamo dall' inizio. È un giorno come tanti, il mio telefono sotto il cuscino, io in giardino a giocare con Anthony e Dimitri a sistemare le camere. Peccato che, avevo lasciato la suoneria al telefono.
Dimitri sbatte la porta e si avvicina a me. «Cesar, chi cazzo è Elliot?!»
Ok, sono fottuto. «Ecco... Dim...» inizio a tremare, sempre più ansioso.«era un ragazzo che veniva qui, che è stato...»
Non mi ha fatto finire una frase che mi dà uno schiaffo così forte da lasciarmi l'impronta della mano.
«Non dire cazzate, qui non c'è mai stato uno di nome Elliot.»
Cazzo, cosa devo fare? Mio fratello mi farebbe ancora di peggio se gli rispondo. Quindi faccio la cosa più sensata: scappo in bagno a piangere. Sono stato umiliato davanti a tutti. E ho fatto star male Anthony. Ho un' idea. Inizio a guardare in giro, finché non trovo un pacchetto di lamette da barba. Non c'è neanche da dirlo, dopo neanche 5 minuti sia le mie braccia che il pavimento sono pieni di una tinta rossa. Mi manca, mi manca Elliot. Mi manca Xavier. Mi mancano tutti. Passarono ore, e dalle 16:30 diventarono le 19:45. Cosa ho fatto in tutte quelle ore? Ho pensato ad Elliot.
I miei pensieri vengono fermati da una vocina dietro alla porta. Anthony. «Cesar, sei qui? Posso entrare?» si sentiva benissimo che era successo qualcosa, ha la voce tremolante. In fretta e furia pulisco tutto il sangue dal pavimento e mi butto dell' acqua sulle braccia, per poi andare sa lui. Stava piangendo.
«Anthony, che è successo piccolo?» gli accarezzo i capelli mettendomi in ginocchio davanti a lui.
«Dimitri, ha detto che domani ti fa andare alla "marina militare"...» si asciuga le lacrime. «Che cos'è?»
Ma è serio? Solo per quello mi manda a fare il militare? «Nulla piccolo, però ascoltami: se domani non mi vedi, non preoccuparti. Verrò a trovarti.» abbraccio il piccolo, per poi iniziare a pensare a cosa fare. Sarei scappato. Anthony mi prende il braccio, per poi domandarmi «anche tu sei un' Angelo?»
«Un' Angelo, in che senso?»
«Mia sorella Lizzy era piena di ste righe sulle braccia, quando le chiedevo mi diceva che erano gli angeli ad averle, perché così poi tornano da dove solo venuti. Tornano da Gesù!» alza le braccia, e io ne approfitto per fargli il solletico.
«ora andiamo a tavola, Anthony.» lo prendo in braccio e lo porto fino al tavolo, fortunatamente siamo seduti vicini. Eppure la fortuna non era dalla mia parte. Proprio oggi c'è l'unico cibo che Anthony odia: il passato di verdure.
«Dai, Anthony mangialo.» prendo col cucchiaio un po' di quella poltiglia. «Se lo fai, tra un po' di anni divento tuo papà, va bene?»
Direi che c'è l'ho fatta. Prende subito il cucchiaio e io 5 secondi ha già finito tutto!

Il modo in cui ti ho iniziato ad amareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora