CAPITOLO 3

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Ce ne andammo. Subito. Lei lo chiamò "Stronzo" e poi scoppiò a piangere. Una cosa così non si scorda più. E pensare che era iniziato tutto in modo tanto inoffensivo.

"Che cos'è?" aveva chiesto lei porgendogli in punta di dita qualcosa e lui:

"Ah, quello. Quello appartiene a Babsi. Dammelo, glielo porto"

E lui aveva allungato la mano e voleva fare l'innocente. Ma lei non ci era cascata.

"Quale Babsi?" aveva domandato, e di colpo fu evidente che aveva capito tutto.

Quando ci radunò, i miei fratelli e io, era bianca come un cenio. Ci fece salire in macchina e quando voltammo la curva uscendo dal giardino continuai a guardare il mio olmo, che mi aveva donato frescura in estate e neve in inverno - ineguagliabile albero delle fragole.

Sentii le lacrime solcarmi il viso quando uscimmo dalla vita che avevamo condotto dino ad allora. Vidi come la casa si faceva sempre più piccola e come il mio albero spariva e il verde estivo delle sue fronde sfumava in un indefinibile grigio, e pensai con singolare certezza che ormai era fatta e che sarebbe stato più probabile che crescessero delle susine sull'albero delle fragole, piuttosto che noi tornassimo e ci ricongiungessimo a nostro padre.

Andammo da mia nonna e lei ci fece entrare e restammo lì.

"E' così con gli uomini che girano in giacca e cravatta" disse quella prima sera a mia mamma

"E' così. Vieni, tesoro, metti a letto i bambini e poi ci beviamoun bicchierino"

Io non andai a letto, in fondo avevo quindici anni e quindi non ero più una bambina. Mi sedetti davanti alla porta e origliai.

Mamma disse che il fatto che papà girasse in giacca e cravatta non c'entrava nulla ed era una scemenza se la nonna lo pensava e doveva smetterla di pensarlo. La nonna disse che forse papà stava attraversando una crisi di mezza età e che la mamma non doveva disperarsi, perchè spesso le cose si rimettevano a posto.

E stavo già tornando di buonumore (tanto che tirai fuori il cellulare per messaggiare un po'), quando la mamma ricominciò a parlare la sua voce si fece bassa e bisbigliante, e allora tesi nuovamente l'orecchio.

"Non ci amiamo più" disse.

"Io e Max non ci amiamo più. Semplicemente non ci amiamo più e Babsi non c'entra poi molto, in realtà"

Poi vi fu un lungo silenzio nel soggiorno e io tratteni il fiato in modo che non sentissero il mio respiro, e mi venne caldo e freddo e rimasi incollata alle mattonelle dell'ingresso e per un attimo il mio cuore si arrestò, quasi dovessi morire.

Che l'amore era semplicemente finto, sussurrò la mamma. Per questo era così triste, triste come non mai. Perchè aveva creduto che l'amore fosse eterno, che durasse per sempre, per tutta la vita. E com'era terribile dover improvvisamente prendere atto del fatto che c'è un vuoto in noi. Un vuoto che cresce e cresce e divora tutto come un gigantesco tritarifiuti, divora tutto quello che si era creduto dovesse durare per tutta la vita e oltre. Com'era possibile che accadesse una cosa del genere?

Sentii il mio cuore battere veloce e pulsarmi sul collo. Allora non è così rapido, pensai, morire, anche se tutto intorno a te crolla. Maledetto amore, pensai, maledetto amore di merda!

"Vieni Susanne" chiamò improvvisamente la mamma.

Stava sulla porta e aveva spalancato le braccia, che erano calde e morbide come sempre, e mi sorrideva piangendo e per la prima volta desiderai che mi chiamasse Susina.

Una volta infatti eravamo andati in un mercato dove c'era un'ifinità di frutta e verdura ovunque si posasse lo sguardo.

Stavamo camminando lungo i banchi, quando improvvisamente la mamma andò fuori di testa.

Non abito più quiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora