CAPITOLO 11

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Il Natale si avvicina.

Il ventitrè nevicarono grandi fiocchi bagnati, ma era chiaro che la neve si sarebbe fermata. Papà mi venne a prendere a scuola e andammo in centro, girammo per il mercatino di Natale e facemmo a gara a chi scopriva l'angioletto natalizio più kitsch. Alla fine ci mangiammo una salsiccia e bevemmo il vin brulè . Il cielo era torvo e opprimente e la neve si trasformò in pioggia. Cercammo riparo sotto la tettoia del banco delle salsicce, lui mi circondò con un braccio e mi strinse a sé e io m'irrigidì un poco e lui se ne accorse e mi lasciò andare e poi disse che ero di nuovo cresciuta e che probabilmente crescevo tre centimetri al giorno, dove volevo arrivare, e che lui si perdeva tutto il più bello.

"Mi perdo talmente tante cose di voi, condivido così poco della vostra vita" fece e la sua voce era tetra e io trattenni il respiro e non dissi nulla.

Un ubriaco ci passò accanto intonando una canzone natalizia.

"Perché non ci vediamo più spesso?" chiesi. "Perché non ci inviti mai da te?"

Mi fissò a lungo e sospirò. "Non è così semplice. Adesso non è possibile"

"Per via di Babsi?"

"Sì, per via di Babsi"

Sentivo in me drizzarsi degli aculei.

"Ma ci conosce" continuai. "Lo sapeva che avevi degli figli"

Lui abbassò la testa ed esitò. "Sì è vero. Ma al momento non sta benissimo, sai. Non posso pretendere troppo da lei. Lei..."

E non disse di più. Non sondai oltre.

"Vuoi ancora qualcosa?" domandò. "Una cosa qualsiasi?"

Volevo una palla rossa per l'albero di Natale. Rise sorpreso.

"Si" feci. "Sono le uniche che brillano".

Più tardi mi riportò a casa dalla nonna, presi il pacchettino che avevo appoggiato sul sedile posteriore e promisi di riferire ai ragazzi che l'indomani sarebbe venuto a prenderli per andare a pattinare sul ghiaccio.

"Glielo dici vero?"

Si allungò sul sedile accanto al suo e mi scrutò dal basso verso l'alto.

Annuii.

"Certo. Ho mai dimenticato qualcosa?"

Io sorrisi e lui sorrise e poi decise comunque di scendere e fece un giro intorno alla macchina e mi abbracciò stretta stretta e l'odore del suo dopobarba mi andò su per il naso.

"Ti voglio bene, primogenita" sussurrò tra i miei capelli. Poi la nonna uscì fuori dal portone e gli diede una scatola di biscotti fatti in casa e i miei fratelli gli corsero incontro e per un attimo intorno a noi fu illuminato da una luce rossa, rossa come la mia palla di Natale.


I giorni seguenti furono piovosi e parte questo non successe altro. Vacanze di merda. Feste di merda. Ma poi, il giorno di San Silvestro, Carlo m'incrociò per strada. Aveva il gel nei capelli e questo lo faceva sembrare un po' scemo.

"Ciao!" disse, e in qualche modo ebbi l'ipressione che gli facesse piacere. "Come stai?"

"Bene" feci. "Bene. E tu?"

Sorrise.

"Forse" dissi, "potremmo...."

C'era qualcosa nei suoi occhi m'infuse coraggio. Quel pomeriggio andammo alla pista di pattinaggio.

Non abito più quiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora