CAPITOLO 21

6 0 0
                                    

Carlo aveva nostalgia di casa. Ogni anno ad aprile aveva nostalgia di casa e più di tutto quando si avvinava la data in cui era morto suo padre. Sua mamma aveva cominciato una storia con il preside della nostra scuola e questo lo rendeva certo la situazione più semplice, per lui. L'unica consolazione era che probabilmente non sarebbe durata a lungo, perché questo non accadeva mai.

Quindi nemmeno stavolta.

Un giorno quando arrivai a scuola se ne stava là, il preside, alla finestra del corridoio, e guardava fuori con lo sguardo fosco.

"Allora ci siamo?" chiesi a Carlo.

"Lo ha mandato a far benedire?"

Carlo annuì.

"Sì" fece.

"Domani è il giorno X. Se uno riesce ad arrivare fino a questo punto, viene liquidato al più tardi a questa scadenza".

"Quanti ce ne sono già stati?" chiese Sulzer che si era unito a noi e aveva sentito quello che avevamo detto.

"Non so" rispose Carlo.

"Ho perso un po' il conto. Magari però prima o poi riuscirà a elaborare il lutto e allora forse qualcuno avrà una vera opportunità".

Quel che aveva detto suonava tutto triste che mi fece male al cuore. Anche Sulzer se n'era reso conto.

"E tu? Tu sei riuscito a elaborare il lutto?"

Carlo alzò le spalle.

"Non saprei".

Annuimmo senza osare guardarlo.

"A volte ripenso al uso aspetto e mi accorgo di non ricordarlo più e allora devo andarmi a riguardare delle foto".

Masticavamo in silenzio i nostri panini. Fuori uscì improvvisamente il sole e io girai il viso verso la finestra socchiudendo gli occhi e lasciando che la luce passasse attraverso le mie palpebre.

"Un tempo" disse Carlo piano,

"a volte mi immaginavo che mia mamma potesse succedere qualcosa e che allora sarei rimasto completamente solo, senza nessuno. E che per questo mi avrebbero messo in un istituto. Insieme ad altri ragazzi senza nessuno".

Aprii gli occhi. Annuimmo di nuovo. Eravamo al centro di una macchina di sole in corridoio. Eravamo come seduti sull'ovatta e le voci degli altri arrivavano a noi come se uscissero dall'ovatta. La mamma di Carlo comparve in fondo al corridoio con dei quaderni sottobraccio e sparì nell'aula insegnanti.

"A volte" fece Carlo, "mi chiedo se sarebbero restati insieme. Cioè, non è mica scontato. Chissà, forse si sarebbero scannati proprio come i tuoi genitori, Susanne".

Tacemmo, seduti in cerchio così ovatta e baciati dal sole, e poi Sulzer, proprio Sulzer, se ne uscì con una cosa terribilmente strappalacrime e mi venne da piangere.

"Forse" disse Sulzer, "forse Dio ama quelli che separa così presto in modo particolare, perché il loro amore così non invecchia mai".

Lo guardammo stupiti e io mi commossi, sorpresa del fatto che per il duro Sulzer esistesse come Dio, e a quel punto Sulzer s'imbarazzò tremendamente e diventò rosso come la mia palla per l'albero di Natale.

"E' una stupidata, naturalmente! L'ho letta da qualche parte. Non frignate!"

"No" feci io e piansi di nuvo.

"C'è forse qualcuno che frigna qui?"

"Allora?" domandò Yvonne in tono derisorio.

"La riuscite a fare, la frittata? Tu e l'italiano? O ti servono delle ripetizioni?"

Io e Hanna avevamo incontrato Yvonne a una festa, era già un po'brilla e al suo nuovo amichetto, che andava mostrando in giro tutta fiera, la cosa imbarazzava e si vedeva.

"Grazie" feci.

"Non no ho bisogno"

Sorrise compiaciuta.

"Va beh, se sei contenta così. Pensavo soltanto che fra poco compio gli anni e avrei potuto fare una buona zione"

Allungò la mano e mi diede con colpetto sulla fronte.

Deficiente, pensai, ma non dissi nulla.

"Allora ri decidi a venire?" disse Mario di quinta e tirò Yvonne via con sè.

"Perché predi tempo con questi bambinetti dell'asilo?"

Guardai Hanna e Hanna guardò me. Ci sorridemmo e pensammo entrambe la medesima cosa. Era proprio carino, bisognava ammetterlo, suo padre un famoso avvocato di città e sua mamma lavora come conduttrice televisiva. Però... parlava bleso. Si sentiva chiaramente. Batteva con la lingua contro gli incisivi come un piccolo criceto. Questo ci faceva piacere.

Yvonne tracannò gli ultimi sorsi di birra. Oscillò in modo preoccupante. Mario la tirò per la manica senza taanti complimenti.

"Quanto penfi di ftartene ancora qui?!" fece.

"Sì" rispose Yvonne.

"Vengo, tesorino".

Tesorino! Era il suo tesorino! Adesso potevamo già gioire in vista della pace universale.

Non abito più quiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora