CAPITOLO 25

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Papà si fece desiderare,non si fece vivo per molto tempo ed era irraggiungibile persino per Oliver e Felix.

Alla fine nacque il suo terzo figlio maschio e allora si riprese. Il nano lo chiamarono Julian e papà venne di persona a darci la buona notizia.

La mamma non c'era, il che secondo me fu una felice coincidenza, e Melchior andò ad aprire la porta. Così papà si ritrovò in salotto e aveva l'aria esausta e distrutta, ma ci guardava raggiante e pareva felice.

"Dai, Max" disse Melchior.

"Beviamoci una birra. Hai fame?"

Ce l'aveva e io gli feci un toast con un uovo al tegamino e brindammo al nuovo nato e lui fece promettere di andare presto a trovarlo per vederlo. Sembra proprio che la nostra vita stesse iniziando ad andare di nuovo per il verso giusto.

Andai a vedere il nano, ci andai spontaneamente, senza preannunciare la mia visita, perchè pensavo che in fondo ero pur sempre sua sorella.

Babsi fu piuttosto sorpresa.

"Tuo padre non c'è" disse.

"E non so nemmeno quando tornerà. E' ancora in ufficio".

"Non fa niente" risposi.

"E' lo stesso. Voglio solo dare un occhiata al nano. Ci metto pochissimo".

"Si chiama Julian" fece lei ancora sulla soglia, studiando probabilmente come potersi sbarazzare di me.

"Ma lo so benissimo" dissi io.

"Ho un compagno di classe che si chiama Julian. Un vero stronzo".

Accennò un sorriso che non le uscì.

"Ah!" mi fece entrare, volente o nolente, e mi offrì persino un tè. Al finocchio. Io rifiutai ringraziando.

"Beh, allora no" disse scrollando le spalle e cominciò ad allattare al seno.

"Desideri qualcos'altro?"

"No".

Il nano era come tutti gli altri nani, carino ma alla resa dei conti cagone. Quando se lo staccò dal seno iniziò a frignare. Lo prese e lo cullò fra le sue braccia camminando su e giù per la stanza. Non era più una Barbie, non era truccata, sul mento era fiorito un brufolo e sulla maglietta il nano aveva rigurgitato.

Me ne andai. In ufficio da mio padre. Passando davanti a una nuova segretaria, che mi seguì con lo sguardo restando a bocca aperta.

Lui era almeno tanto sorpreso quanto lei, ma fece segno che era tutto a posto e allora lei si chiuse la porta dietro.

Mi spaparanzai sul divano che aveva nel suo ufficio, lui si avvicinò e mi accarezzò i capelli.

"Che c'è?"

"Ho visto tuo figlio" feci.

"Ah" si stupì

"Che bello!" E sorrise. E aveva l'aria un po' stanca.

Bussarono alla porta. La segretaria infilò la testa nella stanza e glirivolse unosguardo interrogativo.

"Non ora" disse.

"Fra quindici minuti".

Lei annuì e chiuse la porta talmente piano che non si sentì quasi. Allora capii che adesso era il momento giusto.

Adesso o mai più. E allora glielo chiesi. Se fosse felice. Ora.

Se era sorpreso non lo diede a vedere.

Mi guardò a lungo, poi sospirò un po'.

"Eh, figlia mia!" disse.

"Cosa ti aspetti di sentirmi dire adesso?"

A quel punto esplosi. Finalmente esplosi. Ma per bene.

Se ne fosse valsa la pena, ringhiai, volevo sapere se ne fosse valsa la pena, maledizione, di averci piantato in asso!

"Valsa la pena!" esclamò

"Che espressione!" Mi si sedette accanto e mi cinse un abbraccio.

"Lo so" continuò

"Che non riesci a capire tutto questo. Forse un giorno capirai. Di sicuro. Più avanti, quando sarai grande e avrai a tua volta dei figli e..."

Non stetti più ad ascoltare. Le solite merdate da adulti. Mi alzai. Lui continuava a parlare. Le volevo sentite troppe volte, quelle cose.

Quando mi ritrovai in strada lo sguardo verso le finestre del suo ufficio e mi venne da scuotere per un bel po' la testa.

Quindi adesso non sono nemmeno veramente felici, pensai, e non è che sia da schioccare la lingua soddisfatti e dire:

"Sì! Certamente!Super!"

Me ne andai.


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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 14, 2015 ⏰

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