CAPITOLO 6

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Mi ero presa un'insufficienza in francese, pigliai la bicicletta, pedalai fino alla nostra casa, mi fermai lì davanti, fissai il giardino.

E' colpa tua, pensai, e sapevo che era una scemenza. Sei tu, olmo, ad aver colpa, perchè sei tanto lontano, tanto.

Sentii che stavo per piangere. Era il mio albero delle fragole, avrebbe impedito che accadesse tutto quanto, non avrebbe mai dovuto lasciarci andar via dalla nostra casa e dal nostro giardino! Aveva fallito!

Di colpo mi spaventai. La porta di casa si era aperta e prima che potessi scappare, mi vidi Spinger dinanzi.

"Sei Susanne, vero? Susanne Seibold"

"Sì" dissi e sentì la rabbia nel mio cuore.

"Sono io e questa è la nostra casa"

"Già. Questa casa era la vostra casa, lo so. Fino a quando tuo papà non ce l'ha venduta".

Stupida, pensai, brutta stupida, e la fissai con sguardo astioso.

Non sembrò accorgersene, era ancora gentile

"Vuoi entrare? A guardare la tua vecchia cameretta?"

A quel punto scappai. Credeva che fossi scema o cosa? Magari ci aveva messo dentro un sofà rosa, uno di quello con fronzoli e fiocchetti, uno di quelli adatti alla loro Shophie, alla loro piccola, stupida Shophie tutta vestita di rosa!

Sarei dovuta andare a guardarmelo?

Il mio elegante papà che girava sempre in giacca e cravatta aveva venduto la casa senza neppure interpellarci. Mamma aveva detto che era stato costretto a farlo perchè aveva bisogno d soldi per offrire qualcosa alla sua tipa e poi per noi doveva pagare gli alimenti e tre figli non erano mica uno scherzo.

La casa però era la casa dov'era cresciuto papà. E dov'ero crescita anch'io" Il nonno si era trasferito dopo la morte della nonna in casa di riposo e da allora la casa era rimasta vuoto.

"Perchè" aveva chiesto il nonno,

"Non andate a starci voi? Sarà comunque vostra tra non molto e se resta vuota andrà in rovina".

Allora ci regalò la casa e noi ci trasferiremmo lì. Mamma aveva messo al mondo quel piagnone di Oliver e papà recitava ogni sera una preghiera di ringraziamento.

"Grazie a Dio nessuno può sentirci, qui tra i campi, e il nostro birichino può urlare quanto vuole! In città ci avrebbero cacciati da un pezzo".

I miei genitori facevano in continuazione lavori e migliorie. Passammo ore nei negozi di piastrelle e dall'IKEA e dal vivaio, e così diventò la mia casa.

Scavavo nei mucchi di terra che in seguito si trasformarono in una terrazza e scelsi il colore per dipingere le pareti della mia camera e, quando al mattino il sole entrava nella mia camera gialla e batteva sul letto, allora sapevo che lui doveva sentirsi a casa, nel proprio colore.

Il nonno si era più reso conto di tutte queste trasformazioni. Dimenticò la sua vita. Pezzo per pezzo. La casa e noi il mondo. Questo suo dimenticare la vita lo chiamavano Alzheimer.

Già, così è andata con la nostra casa. Mi ci ero affezionata e non avrei mai voluto andare via e non avrei mai voluto darla via. Ma papà...

In camera mia intorno alla finestra avevamo fatto una decorazione con le piastrelle. E a ogni modo la mia stanza era la più bella della casa. Si trovava sotto la cuspide e aveva il balcone che si affacciava in giardino, dove c'era il mio olmo.

Ogni sera mi sporgevo un po' dalla ringhiera per avvicinarmi a lui. Sentivo le sue foglie sfiorarmi, il suo verde e vi sussurravo dentro.

"Ti mancherò?" gli ho chiesto prima di andare via e mi sembra di aver visto che annuiva.

Lo so, nessun olmo sente la mancanza di qualcuno, o di qualcosa, ma forse... Il mio olmo era diverso. Era più come un animale domestico. Un gatto o qualcosa del genere, non saprei. Il mio albero delle fragole, insomma.

"Non è per l'eternità" aveva detto la mamma quando ci sistemammo dalla nonna.

"E' solo temporaneamente, finchè non abbiamo trovato qualcosa nel verde. Allora poi rimettiamo su casa per bene e intorno alla sua finestra facciamo di nuovo una decorazione di piastrelle in giallo, arancione, rosso e blu. Che ne dici, Susanne?". Annuì

"Sì, mamma, lo facciamo". Ma io vedevo più lontano.

Non abito più quiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora