Mamma cadde nella rete di Melchior. Proprio di Melchior!
Adesso la frittata è fatta, pensai. E poi pensai che avrei dovuto studiare chimica da sola e non avrei mai dovuto lasciarlo avvicinare a lei.
"Tranquilla" disse Carlo.
"Non te ne deve importare di quello lì. Te ne puoi strafregare. In un paio di settimane sarà out e arriverà il prossimo. Ti ci devi abituare. E' così. Ne sentono il bisogno".
Lo guardai perplessa.
"Beh" fece osservandomi con fare saggio e posato, "parli con un uomo che ha esperienza. Con mia mamma quanti tipi pensi che abbia visto andare e venire?"
Sospirai, me l'immaginavo benissimo, pensando a com'era Klara.
Di sera la mamma venne nel mio letto. Si accoccolò stretta a me e mi sussurrò sulla nuca. Che adesso lei era a posto. Che credeva di poter essere di nuovo felice. Che era passato abbastanza tempo. Magari Melchior, continuò a bisbigliare, probabilmente no, veramente no, ma che al momento con Melchior, con Rudi, era proprio bello e che certo si rendeva conto benissimo che non avrei capito, ma mi pregava di concederglielo comuqnue.
Disse: "Susina, sarai per sempre la mia Susina.
E io mi sciolsi e glielo concessi. Sapevo che dovevo concederglielo. E quindi glielo concessi e basta.
Alla Klara dei Rettenbach il marito non era scappato via, e Klara dei Rettenbach il marito era morto. Se n'era andato anche lui, certo, ma non nel senso vero e proprio del termine.
A ogni modo la Klara dei Rettenbach era stata sposata con italiano e aveva vissuto con lui sedici anni nel suo paese, e per questo Carlo si chiamava Carlo, come suo padre e suo nonno e bisnonno. Klara era stata in vacanza nel Sud, nel Mezzogiorno, e si era presa delle belle scottature e anche bella cotta. Lui l'aveva osservata da lontano e, poichè conosceva bene i "malefici" del sole, le aveva portatoun ombrellone, sotto il quale s'erano presi uno negli occhi dell'altra e così era accaduto.
Non c'era speranza che Klara tornasse. Non c'era speranza che tornasse alla sua vecchia vita. Era coraggiosa, la Klara, molto coraggiosa. Restò in quel paese in cui la vita era così nuova e così diversa.
Restò sedici anni e imparò la nuova lingua da zero. Si abituò a portare cappelli da sole e maniche lunghe e sottili. Andò all'università. Divenne professoressa di tedesco e di italiano. Sposò Carlo il Terzo. Mise al mondo Carlo il Quarto e basta.
E quest'ultimo si mise in testa d'insegnarmi la sua seconda lingua. Senza se e senza ma. Miblaterava costantemente in italiano, li che in certo qual modo era carino, ma anche terribilmente faticoso, perché lui se ne infischiava altamente se non capivo un accidente.
"Non capisci ancora niente" diceva sogghignando quando mi lamentavo. "Non capisci un corno" esclamava in italiano.
"E pensare che ci stiamo provando già da così tanto tempo! Inizia finalmente a studiare i tuoi vocaboli!"
Mi ribellai. Naturalmente nella sua lingua: "Sei insopportabile! Sei una peste!"
Ci divertivamo: era uno spasso, un gran divertimento, un gran piacere.
"Vieni!" e partiva e io dietro.
In bici attraverso i campi. Primi giorni di primavera. Primo baluginare del sole. Un giorno il discorso cadde sui nostri padri.
"Ero talmente arrabbiato con lui" disse e mi girò le spalle, e dalle sua voce capii che era ancora arrabbiato e allo stesso tempo triste, una sensazione che conoscevo bene.
"Ti posso capire" dissi.
A quel punto saltò su.
"Cosa?" urlò "Cosa? Non puoi capire proprio un bel niente! Un bel niente! Il tuo vecchio se n' soltanto andato. Alla prima occasione torna di certo. Non appena la sua amata gli dà il ben servito lui torna! Ma il mio è crepato! Quello stronzo! Crepato! E tu vuoi capire questo?"
Più tardi, dopo essersi calmato, mi raccontò tutto. Dopo aver dato calci e pugni sull'albero. Mi mostrò anche una foto. Suo papà era un bell'uomo. Capelli neri, occhi neri. Come Carlo.
"Gli assomigli" dissi, perché dovevo dire qualcosa, perché s'era fatto troppo silenzio.
Non mi sentì neanche.
"Mia mamma" continuò, "fa la forte, ma in realtà non si sente più a suo agio nella vita. E io so che devo aiutarla".
Rimase in silenzio per un attimo.
"Ma so anche che non sono in grado di aiutarla"
A quel punto gli sfiorai con una mano la schiena. Appena appena. Di più non osavo fare
"E'' folle" disse, " ma io lo aspetto. Aspetto che ritorni. Naturalmente so che non tornerà. Non sono mica scemo, per lo meno fino a questo punto. Ma lo aspetto, perché... non lo so perché"
In quel momento sentii che avrei voluto un pochino... che lo avrei consolato tanto volentieri.
"Sono così triste" disse, "e non voglio esserlo".
Sì, pensai, lo so. Lo so bene.
L'altro Carlo,il vecchio, il padre, si era schiantato a duecento all'ora contro un albero. Ed era morto sul colpo. Zac!
"Ce n'eravamo andati già da un pezzo dal Meridione" raccontò Carlo. "Vivevamo al Nord. A Milano".
"Meridione" pronunciai la parola lasciando fluire dolcemente dalla mia bocca. " E' da lì che devono provenire i sogni".,
"No" disse. "sogni?" Altro che sogni. Lì quasi nessuno ha un lavoro. Tutti se ne vanno via, vanno al Nord. Rimangono soltanto i vecchi. Ma se fossimo riamasti..." Si zitti.
Dopo la morte di suo padre, sua mamma era diventata inquieta. Non c'era più nulla che la trattenesse in Italia. Era tornata a casa, nella casa a schiera che i suoi genitori le avevano lasciato in eredità e che era rimasta vuota alcuni anni in mezzo al nostro quartiere. Carlo si mise a prendere a pugni l'albero e da quel momento qualcosa ci unì.
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Non abito più qui
RandomI genitori della quindicenne Susanne si separano, perchè il papà si è innamorato della segretaria.Così la loro bella casa con il grande olmo, che la protagonista guardava tutti i giorni della sua camera, viene messa in vendita e lei, la mamma e i du...