18-Axton

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Perché non lo chiedo a Marcus? Sarebbe la scelta più ovvia, no? Ma c'è qualcosa che mi trattiene. Forse perché Pol mi dà più sicurezza, o forse perché non voglio complicare le cose con Marcus. Eira, invece... certo, mi piacerebbe portarla con me. Ma poi? Inizierebbe a fare foto a caso, magari a cercare angoli interessanti per i suoi scatti, e io? Io voglio solo un weekend tranquillo. Senza drammi, senza situazioni complicate.

E poi c'è Pol. Se mi porto Eira, quel tipo inizia davvero a pensare che ci sia qualcosa tra noi. È già successo l'altra sera, solo perché mi ha visto parlare con lei. O meglio, lei parlava con me, e io... io non parlavo con nessuno. Era solo una sigaretta, ma per Pol era abbastanza per saltare a conclusioni. Se solo sapesse quanto si sbaglia... o forse, quanto ha ragione.

No, non ci siamo proprio. Eira no. È sempre al centro dell'attenzione, come se ogni stanza fosse una passerella e lei la modella principale. Troppo estroversa, troppo aperta per i miei gusti. È tutto il contrario di me. In effetti, sembra lei la vera sorella di Zara, non io. Zara ed Eira si capiscono al volo, hanno quella complicità naturale che mi manca, come se fossero due parti della stessa anima. Io, invece, mi sento spesso come l'estraneo, quello che osserva da lontano senza mai davvero entrare nel loro mondo.

«Axton?» La voce di Zara mi scuote dai miei pensieri, e quando schiocca le dita davanti al mio viso, torno bruscamente alla realtà. «A chi pensi? Jenna? Marta? Emily? Dai, torna nel pianeta Terra.»

Scosto la sua mano, infastidito. «Nessuna. Smettila.» Cerco di scrollarmi di dosso l'irritazione che mi ha colto. Il suo tono scherzoso mi mette a disagio, come se non potesse capire quanto fosse lontano il mio pensiero dalle ragazze che nomina. Ma non ho voglia di discuterne, quindi cerco di distogliere l'attenzione, magari sperando che cambi argomento.

Mentre cerchiamo di decidere cosa fare con quei biglietti, sentiamo bussare alla porta dell'ufficio di Eira. Non è una visita programmata, quindi ci scambiamo uno sguardo confuso. Eira si alza per aprire, ma è Zara a fare un passo avanti.

Dietro la porta c'è un uomo con un'espressione seria, vestito in abiti civili, ma l'aria da poliziotto è inconfondibile. Non appena lo vediamo, capiamo che non è qui per una chiacchierata amichevole.

«Salve, sono il detective Owens» dice, mostrandoci il distintivo. «Devo parlarvi di una questione urgente. Riguarda la vostra abitazione.»

Ci scambiamo un altro sguardo preoccupato, e Zara prende la parola. «Cosa succede? C'è qualche problema?»

Il detective annuisce. «Abbiamo chiuso temporaneamente l'accesso alla vostra casa per ulteriori indagini. Non potete tornare lì al momento.»

La tensione aumenta immediatamente, e sento un brivido freddo lungo la schiena. «Che tipo di indagini?» chiedo, cercando di mantenere la calma.

Owens ci osserva per un momento prima di rispondere. «Non posso entrare nei dettagli, ma è legato a ciò che abbiamo trovato durante l'esplosione al magazzino. Stiamo cercando ulteriori prove e dobbiamo assicurarci che la casa non sia compromessa.»

Zara si passa una mano tra i capelli, visibilmente scossa. «Ma quanto tempo ci vorrà? Dove dovremmo andare nel frattempo?»

Il detective abbassa leggermente lo sguardo, come per scusarsi. «Capisco la situazione, ma non posso darvi una tempistica precisa. Potreste dover trovare un posto temporaneo per stare, almeno per qualche giorno.»

Mi incavolo, sento il sangue ribollirmi nelle vene. «È casa nostra quella. Ci abitiamo io e mia sorella,» dico, alzando leggermente il tono della voce.

Il detective Owens alza un sopracciglio, apparentemente impassibile. «Beh, per me potete andarci pure a dormire,» dice con un tono sarcastico e un mezzo sorriso. «Se c'è una bomba anche lì, mi dispiace per voi. Tanto i funerali non dovrò pagarli io.»

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