.Capitolo 42.

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Rimasi pietrificato, senza parole e senza respiro, con i peli dritti sulle braccia per i brividi. Solo una domanda mi passò per la testa: perchè siamo qui? Non è possibile....

Non feci neanche in tempo a realizzare la cattiveria, il piano malefico che avevano architettato contro di me che semplicemente..... rimasi lì, con gli oggi fissi sull'edificio. Era come se il mio cervello non volesse proprio elaborare pur di proteggersi dalla verità.
Era come essere in un sogno evanescente: ricordavo quel posto come se lo avessi visitato il giorno dopo i miei 18 anni, nonostante il decadimento e l'incuria.
Il mondo intorno a me svanì per un attimo, non sentii neanche i ragazzi entrare ed iniziare la visita, non vidi i sorrisetti dei miei colleghi stronzi ... niente. Tutto si era fermato ed eravamo rimasti solo io e quel posto fatiscente, che un pò purtroppo sentivo come casa.

Aprii il cancello gigolante come se fossi tornato indietro nel tempo, scrollandomi dalle mani i pezzettini di vernice che si staccavano ogni volta che qualcuno lo toccava, camminai lungo il vialetto di pietra e arrivai al portone, di solido legno scuro, sempre aperto solo da un lato. Il vento portò con sè l'odore della lavanda fiorita, facendomi crollare lo stomaco come un tempo. Tanti anni lontano, e nonostante tutto, una parte di me era ancora lì. E faceva ancora male....
Presi un respiro profondo ed entrai. Mai mi ero immaginato che sarei tornato lì dentro di mia volontà...
Sentivo il Bambino dentro di me stringersi forte, spaventato e confuso: "che ci facciamo ancora qui? Perchè siamo tornati??" Mi domandava.
...

....perchè le persone sono cattive, come lo erano un tempo le suore....

<<SIRIO?>> Mi scrollò Agnese con forza per il braccio, facendomi tornare con la testa nella realtà. <<Mighetti e la Bernardini sono già andati avanti con i ragazzi... ma che ti prende? Sei..."sparito" per 10 minuti abbondanti. Non hai sentito che hanno detto? A quanto pare è un vecchio monastero riconvertito e ...altre cose... non lo so Mighetti era strano pure lui. Ma che è 'sta isteria di massa?>> mi chiese, preoccupata e confusa anche lei del perchè fossimo in questo buco di posto.

"Stavolta non siamo soli.... c'e Agnese con noi..... non ci potranno fare del male, tranquillo" rassicurai il Bambino.

"Usciremo da qui, vero? Non restiamo intrappolati?" Mi domandò

"No... tranquillo. Usciremo insieme."

<<io conosco questo posto...>> dissi solo, guardandola serio. Lei mi guardò confusa, non avendo ancora carpito cosa stesse succedendo, forse perchè anche lei non riusciva ad immaginersi l'estensione della cattiveria dei nostri colleghi.
Mi guardai intorno, cercando un modo per farglielo capire senza doverlo dire ad alta voce, come se il pronunciare quelle parole potessero rendere tutto più reale.
Eravamo all'ingresso, dove da una parte c'era la sezione delle suore e dall'altra le aule della scuoletta che avevo frequentato, davanti a noi la scalinata.
<<vieni...>> dissi solo, salendo con passo veloce quelle scale di granito che avevo percorso forse migliaia di volte.

<<ma dove vai????>> sentii alle mie spalle, ma non le prestai attenzione. Arrivato al primo piano attraversai l'arco di pietra che faceva da ingresso ai dormitori. Guardai le transenne che bloccavano parzialmente l'accesso e le spostai, creando un passaggio.
Giusto! L'orfanotrofio era stato chiuso circa 15 anni fa per motivi ignoti, forse mancanza di fondi.
Svoltai subito a sinistra, percorrendo velocemente il corridoio lungo e tetro, pieno di finestre, uguale a un tempo, cercando quella stanza.
<<Sirio! Aspettami!!>> sentii, ma troppo lontano.

Entrai nella seconda porta a destra, una delle sale dei dormitori maschili, la "sala margherita". Ogni stanzone aveva un nome di fiore per identificare chi ci dormiva dentro, e io lì c'ero rimasto per 18 anni. Era ancora tutto come allora: 8 lettini con una cassapanca ai piedi per le cose personali distribuiti lungo le pareti, 4 per lato.
Mi incamminai lentamente verso il penultimo prima della finestra, nella fila di sinistra: il mio.
Mi fermai davanti ad esso, in un momento di nostalgia e tristezza, passai la mano sulla cassapanca impolverata, mio nascondiglio preferito dalle suore quando mi volevano punire e iniziai a scrutare la struttura del letto fatta in metallo, cercando una cosa.

Redamancy: &quot;L'Amore che ritorna&quot;Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora