Capitolo 1

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Anno 1737 a.C., Tebe, Egitto sotto il regno del Faraone Nebmaatra.

Era già notte e per il deserto tirava una leggera aria calda, che smuoveva i vestiti dei cittadini e li portava a rilassarsi nelle loro case. Chi dopo una lunga giornata di lavoro, chi invece gli era toccata la vita da schiavo e per lui il lavoro non finiva mai, sempre a servizio dei loro padroni. Tebe, nonostante tutto, era una cittadina abbastanza tranquilla e per Sadiki anche il suo lavoro non era di certo male, aiutante dell'astrologo reale. Lui non aveva mai visto personalmente il Faraone ma dai racconti doveva essere un uomo piuttosto alla mano, chiacchierone e amante del vino e della buona compagnia.

Stava rimettendo a posto le enormi pergamene che si sarebbe portato a casa per studiarle, quando avvertì i passi del suo capo e mentalmente pregò che non gli chiedesse di restare fino a tardi.

"Ah, sei ancora qui Sadiki."

"Sì, maestro... dovevate dirmi qualcosa?" Chiese l'uomo, pregando con tutto se stesso che non lo incaricasse d'altro. Amava il suo lavoro ma, ora come ora, voleva solo tornare a casa e farsi fare le feste da suo figlio e da sua moglie.

"Vieni un po' prima domani, c'è qualche lavoro in più da fare. Buona serata."

"Anche a voi." Lo salutò e si affrettò a raggruppare le sue cose per uscire dallo studio dell'astrologo che era situato in una parte un po' isolata del palazzo del Faraone, da dove si poteva udire però chiacchiericci, risate, musica e divertimento. Un giorno gli sarebbe piaciuto sedere tra gli amici del Faraone, ma dubitava che sarebbe stata in questa vita quella fortuna. Non sarebbe mai diventato il primo astrologo di corte, neanche con l'intervento divino degli Dei.

Scese le lunghe scale del palazzo e senza dare troppo nell'occhio, uscì per il lungo cortile sorvegliato dalle guardie per poi riversarsi in strada. La sua realtà cittadina e forse l'ora che amava di più. Dove incontrava il pastore Asim rincasare con il gregge, il locandiere Nuru servire ai tavoli all'aperto, e fece un breve cenno di saluto a Onofre che si apprestava a chiudere la bottega di stoffe per tornare a casa dalla moglie prossima al parto. Quella piccola parte di Tebe era il suo paradiso e probabilmente era molto meglio di feste lussuose, oro, Faraoni e principesse.

La sua casa era proprio su una collina, da dove si poteva ammirare, dal balcone, il palazzo reale. Ed era anche il posto dove Seb, suo figlio, si metteva ad aspettarlo per poi urlare, quando lo vedeva rincasare e corrergli incontro.

"Papà! Papà!"

Sadiki fece appena in tempo a mettere a terra le pergamene che suo figlio gli saltò in braccio. Seb era la sua fotocopia. Pelle scura, occhi chiari dal taglio gentile e capelli neri come le ali di un corvo. "Ehi, ranocchio. Tutto bene?"

"Sì, papà. Non vedo l'ora di diventare grande per seguirti nel tuo lavoro."

"Un altro astrologo in famiglia, bene." Ironizzò Atifa, uscendo dalla tenda che ridava su una stanzetta dove preparava le cose da mangiare. Teneva in mano una ciotola di terracotta dove stava facendo riposare del pane.

Sadiki mise giù il figlio per salutare sua moglie con un casto bacio sulle labbra. Nel vederli, Seb fece finta di vomitare, scatenando le risate della madre e anche un po' quelle del padre.

"Vai a lavarti le mani, peste, fila." Gli disse Sadiki, teatralmente irritato.

Con un sorriso ampio, il bambino corse verso le brocche d'acqua all'aperto, salendo le rampe di scale che andavano in direzione del grande balcone pieno di fiori colorati, sui toni del lillà.

Atifa lo guardò con i suoi grandi occhi, dal taglio più allungato e perciò sempre attenta a ciò che la circondava. Teneva i capelli scuri raccolti in una lunga treccia e le vesti bianche erano un contrasto incantevole con la sua pelle d'ebano. Una visione che faceva sognare ancora Sadiki, e l'avrebbe fatto sempre. Anche dopo quarant'anni, se lo sentiva.

"Ora che siamo soli, dovrei dirti qualcosa d'importante."

"Grave?" Chiese l'uomo, alzando un sopracciglio e poteva vedersi la punta grossa del suo naso a patata.

La donna scrollò le spalle. "Dipende." Lo superò, mettendosi seduta su un piccolo sgabello vicino al fuoco. Ai piedi posò la ciotola con dentro il pane. Ogni gesto che faceva era un modo per trovare le parole giuste. Non attese che suo marito la incoraggiasse a parlare, era abbastanza forte da sé. "Sono stata al tempio con Seb, questo pomeriggio, a pregare la Dea Iside."

"E? Immagino ci sia altro?"

"Oh, Sadiki! Non puoi capire. Ho avuto una visione."

Il marito la guardò normalmente, del resto non era una novità. Sapeva che sua moglie aveva una specie di dono, ma dopo la nascita di Seb le cose si erano un po' arrestate. Aveva solo paura di eventuali shock che potessero turbare la moglie.

"E come stai? Bene?"

"Sì, bene... ma non immagini neanche. L'ho vista, Sadiki. Ho visto la Dea Iside."

"Non è che è stata la suggestione del luogo, Atifa?" Non era scettico, ma non voleva che sua moglie si illudesse troppo.

Atifa scosse la testa con forza. "No, l'ho vista! E ciò che mi ha detto mi ha... spiazzata."

"Cosa ti ha detto?" Ora c'era curiosità nelle parole del giovane astrologo.

La donna lo guardò dritto negli occhi. "Ascolterà le mie preghiere di diventare di nuovo mamma. Ma ad una condizione."

"Quale?"

"Non me l'ha detto, ma mi ha detto di fare attenzione alla prossima luna piena."

"Stanotte." Decretò Sadiki, guardando istintivamente fuori dalla finestra. La luce della luna piena, però, proiettò un'ombra scura che passò davanti alla loro casa con fare minaccioso, quasi da ladro. "Resta qui e fa stare sopra Seb." Le disse, prima che potesse dire qualsiasi cosa. Afferrò uno stiletto da cucina e aprì la porta principale di casa, non trovando nessuno, solo il buio e poche torce accese lungo il viale che conduceva giù per la collina. Un piccolo vagito, però, catturò la sua attenzione. C'era un neonato, avvolto in calde bende, in una cesta.

Atifa, intuendo che non c'era alcuna lotta tra suo marito e un ipotetico ladro, lo seguì fuori e quando vide il neonato quasi non ci credette. Si mise una mano sulla bocca, colma d'incredulità.

"Ecco qual'è la condizione." Disse Sadiki, prendendo il braccio il fagottello e notando solo allora che si trattava di una bambina, di una femmina. La porse alla moglie, che con amorevole espressione la guardò.

Scrutandola bene, Atifa notò un particolare. "E queste cosa sono?"

Sadiki allungò lo sguardo, affiancando la moglie. Alzò gli occhi sulla figura della donna. "Sembrano squame."

Atifa incamerò un gran respiro, tornando a guardare la piccola che aveva tra le braccia. Ora capiva quale era la condizione che Iside voleva in cambio della sua richiesta. Alzò gli occhi al cielo, annuendo con un sorriso nascosto tra le lacrime. "E' il tuo volere e così sarà." Disse in un sussurro al vento, rincasando con il marito e la bambina tra le braccia.

"Avrà bisogno di un nome." Le disse Sadiki, tornando ad alimentare il fuoco che si stava spegnendo all'interno dell'abitacolo.

Atifa guardò il marito, ridacchiando appena, nel mentre cullava la piccola che aveva tra le braccia.

"Perché ridi?" Le chiese, ridendo anche lui per la curiosità.

"Perché oggi mi sono fiorite le gelsomine. Proprio oggi, capisci?" Disse, tornando a prestare un'occhio alla piccola. "Yassmin. Si chiamerà Yassmin." Decise la donna, avvertendo poi dei passi sulle scale e il figlio fare capolino nella stanza con un'espressione incredula sul viso.

Hyksos - La danza del dragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora