Capitolo 37

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ascoltare "dimmi che non è un addio"


Non dimenticherò mai quel giorno, il giorno in cui abbiamo vinto il torneo. Ci eravamo preparate per mesi, lavorando fino allo sfinimento, e poi, quando la tragedia ha colpito, ci siamo trovate a dover gareggiare con un peso sul cuore che sembrava insopportabile. Angelica non c'era più. Era morta, e ancora adesso non riesco a dirlo senza sentire un nodo in gola. Era una di noi. Una rivale sì, ma anche una compagna di avventure, una ragazza con i nostri stessi sogni, che viveva quella passione per lo sport che ci accomunava tutte.

Eppure, nonostante tutto, siamo riuscite a vincere. Abbiamo gareggiato con il cuore e con l'anima. Abbiamo vinto non solo per noi stesse, per la nostra squadra, per l'Italia, ma soprattutto per lei. Per Angelica. Ogni volta che una di noi saliva sull'attrezzo, sapevamo che non eravamo sole. Sentivamo la sua presenza, come se in qualche modo lei fosse lì con noi. Era una sensazione strana, ma reale. Avevamo deciso di dedicarle quella vittoria, di combattere anche per lei, e lo abbiamo fatto. La nostra squadra ha brillato, contro ogni previsione.

Ricordo quel momento perfettamente. L'ultimo esercizio era finito, eravamo tutte in cerchio, le ginocchia che tremavano dall'adrenalina, ma anche dal nervosismo. E poi, l'annuncio. Italia, prima classificata. Ce l'avevamo fatta. Ce l'avevamo davvero fatta. Un'ondata di emozioni mi ha travolta. Piangevo, ridevo, mi abbracciavo alle mie compagne. Le nostre mani si stringevano con una forza che non sapevamo di avere. Era la realizzazione di un sogno che portavamo nel cuore da anni, ma era anche qualcosa di più. Era il nostro tributo ad Angelica.

Non so come abbiamo fatto a restare in piedi quando siamo salite sul podio. La fatica, la stanchezza, il dolore. Eppure, in quel momento, non importava. Eravamo invincibili. Con la medaglia al collo, mi sentivo come se nulla potesse fermarmi. Ero orgogliosa di noi, di quello che avevamo raggiunto insieme, e sapevo che Angelica sarebbe stata fiera di noi.

Joseph era lì, tra il pubblico, e quando i nostri occhi si sono incrociati, ho visto in lui una luce che non avevo mai visto prima. Era felice per me, davvero felice. Aveva sempre sostenuto che avrei potuto farcela, anche quando io stessa avevo dei dubbi. Nei giorni precedenti alla finale, mi aveva incoraggiata, supportata, e mi aveva dato quella spinta emotiva di cui avevo disperatamente bisogno. E adesso, con quella medaglia al collo, sentivo che, in parte, quella vittoria era anche sua.

Lui stesso aveva vinto con la sua squadra, e quel giorno era stato un trionfo anche per lui. Quando ci siamo incontrati dopo la cerimonia, entrambi con le nostre medaglie, non servivano parole. Ci siamo abbracciati forte, come se volessimo trattenere quel momento per sempre. Il suo sorriso era così sincero, così pieno di orgoglio, che mi ha scaldato il cuore. Per un attimo, tutto il resto è scomparso: la competizione, l'adrenalina, perfino il dolore per Angelica. Eravamo solo io e lui, due persone che avevano condiviso un'esperienza che ci avrebbe legati per sempre.

Il nostro rapporto era diventato qualcosa di profondo, di autentico. Non era solo una questione fisica, anche se la chimica tra di noi era innegabile. Era come se ci fossimo trovati in mezzo a quel caos, due anime che si erano riconosciute e che si erano aggrappate l'una all'altra. Joseph era stato il mio rifugio, il mio confidente. Nei momenti in cui il mondo sembrava crollarmi addosso, lui era lì, con il suo modo di fare a volte scontroso, ma sempre presente. Mi faceva sentire al sicuro, anche quando non c'erano certezze.

Mi ricordo di una sera, poco prima della finale. Eravamo seduti sul letto della mia stanza, la tensione nell'aria era palpabile. Tutti erano preoccupati per l'andamento del torneo, ma io avevo anche il peso della tragedia. Angelica mi mancava, e la pressione di prendere il suo posto nella squadra era insopportabile. Joseph, come sempre, riuscì a leggermi dentro senza che io dovessi dire nulla. Mi prese la mano, stringendola tra le sue. Non disse niente, ma non aveva bisogno di farlo. Sentivo la sua presenza, il suo sostegno, e quello bastava.

𝓒𝓸𝓻𝓹𝓸 𝓛𝓲𝓫𝓮𝓻𝓸 || Joseph CartaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora