Capitolo 26

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"All the things you did
Well, I hope I was your favorite crime"

Favorite crime- Olivia Rodrigo

•JOSEPH•

Mi era sempre stato chiaro che, in ogni torneo, la rivalità tra le squadre sarebbe diventata palpabile. Era quasi un rituale. Ogni volta che si radunano atleti di discipline diverse, con la pressione che si accumula e le ambizioni che si incrociano, è inevitabile che esplodano delle tensioni. Ma mai avrei immaginato che si sarebbe arrivati a questo punto.

La rivalità tra le squadre era sempre stata una costante. Ogni competizione porta con sé un grado di competizione feroce, di pressione, di desiderio di essere la migliore. Ma quello che stava succedendo qui, durante questi Europei, era diverso. La rivalità tra le ragazze italiane e le rumene aveva superato i limiti della competizione sportiva. Ormai si trattava di vendetta, di dimostrare chi fosse la più forte, e non solo sul tappeto di gara.

Sapevo tutto questo. Non potevo fingere di non esserne al corrente. Le ragazze della squadra italiana erano sotto una pressione enorme. I loro occhi non brillavano più solo di ambizione, ma anche di una rabbia che non riconoscevo. La tensione si poteva tagliare con un coltello ogni volta che incrociavano le ragazze rumene nei corridoi dell'hotel o nelle palestre. Non erano più solo avversarie, erano nemiche.

Era come se qualcosa fosse cambiato. Ogni sguardo, ogni parola sussurrata, ogni piccolo gesto era carico di significati nascosti. E quando cominciarono a spargersi voci di sabotaggi – piccole cose, scarpe da ginnastica scomparse, attrezzature danneggiate – sapevo che la situazione stava per precipitare.

Non avrei mai immaginato che potessero spingersi così oltre, però.

Quella sera, dopo l'ennesima lite tra Giulia e Carola, non riuscivo più a stare in quell'ambiente soffocante. Le pareti dell'hotel sembravano chiudersi su di me, opprimenti, e avevo bisogno di aria. Così presi il giubbotto e uscii.

Fuori, il freddo mi colpì come una frustata, ma era esattamente ciò di cui avevo bisogno. La neve scendeva leggera, coprendo tutto con un manto bianco che sembrava quasi irreale, un contrasto con l'inferno che si stava consumando all'interno dell'hotel. Cominciai a camminare, lasciando che il rumore dei miei passi nella neve coprisse i pensieri che mi affollavano la mente.

Non riuscivo a smettere di pensare a Giulia. A quel bacio nel pub. Avevamo bevuto troppo, certo, ma c'era stato qualcosa di più, qualcosa che non volevo ammettere. Ricordo ancora il calore delle sue labbra, l'elettricità che mi aveva attraversato in quel momento. Non era solo l'alcol a parlare. Era qualcosa che avevo represso per troppo tempo. Lei mi aveva sempre sfidato, sempre guardato con quello sguardo di fuoco che sembrava voler scavare dentro di me. E quella notte, qualcosa si era spezzato. Non riuscivo più a nascondere il desiderio che provavo per lei.

Ma il mattino successivo, quando Carola mi aveva baciato, tutto era cambiato. Ero stato preso alla sprovvista, sorpreso dalla sua intrusione. Le sue labbra sulle mie non mi avevano dato alcuna emozione. Anzi, mi avevano lasciato con un senso di vuoto, come se mancasse qualcosa di fondamentale. E la cosa peggiore era che, in quel momento, avevo chiuso gli occhi, sperando, anche solo per un istante, che fossero le labbra di Giulia a baciarmi, non quelle di Carola.

Mi sentivo disgustato da me stesso per quello che provavo. Come potevo essere così confuso? Giulia e io avevamo passato mesi a litigare, a provocarci, e ora? Ora, mi ritrovavo a desiderarla come mai prima. Era assurdo, irrazionale. Ma non riuscivo a fare a meno di pensarla. Anche ora, mentre camminavo nella neve, il pensiero di lei mi tormentava.

Perso nei miei pensieri, quasi non mi accorsi di dove stavo andando. Era tutto troppo surreale. Mi fermai un attimo, cercando di riprendere fiato, quando qualcosa colpì la mia vista. In lontananza, nella neve, c'era una figura stesa. Il mio cuore si fermò per un istante, incapace di accettare ciò che stavo vedendo.

Avanzai lentamente, il freddo che mi penetrava nelle ossa sembrava svanire di fronte alla scena davanti a me. Il corpo di una persona, disteso nella neve, immobile. E quando mi avvicinai abbastanza, il terrore mi colpì con tutta la sua forza.

Era Giulia.

Il suo viso era coperto di sangue, una scia scarlatta che contrastava con il candore della neve. Il suo collo presentava un livido scuro, l'impronta inconfondibile di una mano che aveva cercato di soffocarla. Il mio respiro si bloccò, incapace di accettare ciò che stava accadendo. Era morta? Il pensiero mi trafisse come una lama, gelida e spietata.

Appena vidi il livido scuro attorno al collo di Giulia, il cuore mi si fermò per un istante. La mente corse subito a quel giorno, solo qualche giorno prima, quando Carola aveva perso il controllo e aveva provato a strangolarla. Non riuscivo a togliermi dalla testa quell'immagine: le mani di Carola strette attorno al collo di Giulia, la sua faccia contorta dalla rabbia. Era tutto successo così in fretta, troppo in fretta. La furia di Carola, la sua voce spezzata dall'odio, e poi quel gesto improvviso, terribile. Se non fossi passato lì per caso con Marco e Giulio... non voglio neanche pensarci.

Guardando il livido sul collo di Giulia, così simile a quello che Carola le aveva lasciato durante quella lite, mi montò dentro una rabbia sorda, bruciante. Carola. Era stata lei a fare questo? Era successo di nuovo? La sensazione delle mie mani che allontanavano Carola da Giulia quel giorno, il suo corpo che tremava mentre cercavo di riportare la calma, tornò a galla con una violenza inaspettata. Ma questa volta era diverso. Questa volta, non ero arrivato in tempo.

La paura che avevo provato allora – la paura di perderla, che qualcosa di irreparabile accadesse – ora mi attanagliava il petto con una forza nuova, quasi insopportabile. Mi inginocchiai accanto a lei, con il respiro spezzato e le mani che mi tremavano. Guardavo quel livido, il sangue che le macchiava il viso, e mi sentivo impotente, totalmente incapace di fare qualcosa. Quel giorno l'avevo salvata, sì, ma adesso non contava più. Questa volta era distesa a terra, inerte, e io non sapevo se l'avrei ritrovata.

Il pensiero che qualcuno – forse proprio Carola – potesse averle fatto questo mi stava distruggendo. Dovevo proteggerla. Dovevo tenerla al sicuro. E invece... invece l'avevo lasciata sola, e ora lei era lì, a terra nella neve, fragile come non l'avevo mai vista prima.

Il torneo, la rivalità, tutto si era trasformato in qualcosa di più pericoloso, ma mai avrei pensato che si sarebbe arrivati a tanto. E ora mi chiedevo se avessi ignorato i segnali, se avessi chiuso gli occhi davanti alla gravità della situazione.

Mi inginocchiai accanto a lei, tremante, il cuore che batteva furiosamente nel petto. "Giulia..." la mia voce era un sussurro, fragile come la neve che cadeva intorno a noi. La scossi leggermente, ma non ci fu alcuna risposta. Le mani mi tremavano mentre cercavo di toccarla, di sentirla viva sotto le mie dita.

Ma poi, quando toccai il suo polso, sentii un debole battito. Era ancora viva.

Un'ondata di sollievo mi travolse, ma era solo momentanea. Dovevo fare qualcosa. Dovevo portarla al sicuro. Senza pensarci due volte, la presi tra le braccia. Il suo corpo era leggero, fragile, e mi sembrava così sbagliato vederla ridotta così. Lei era sempre stata forte, sempre combattiva, ma ora... ora sembrava così vulnerabilei.

𝓒𝓸𝓻𝓹𝓸 𝓛𝓲𝓫𝓮𝓻𝓸 || Joseph CartaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora