Capitolo 22

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"Lights will guide you home, and ignite your bones, and I will try to fix you."

Fix you- Coldplay

•GIULIA•
Mi svegliai quella mattina con una strana sensazione, come se qualcosa fosse fuori posto. L'aria era gelida, e la luce pallida del sole invernale filtrava debolmente dalle tende della stanza. Tutte noi ragazze ci eravamo abituate a questi risvegli, con il freddo che ti penetrava le ossa non appena uscivi dalle coperte. Eppure, c'era qualcosa di diverso in quella mattina. Non lo dissi a voce alta, ma sentivo una sorta di tensione sospesa nell'aria, come un presagio.

Ci preparammo in silenzio, ognuna concentrata sui propri pensieri. La routine era ormai un rifugio, qualcosa di prevedibile in mezzo al caos della nostra vita da atlete. Dopo la colazione veloce, ci mettemmo in cammino per la lezione all'aperto, il campo che ci aspettava ricoperto da uno spesso strato di neve fresca. Camminavamo in fila, ognuna avvolta nei propri pensieri e nei propri cappotti pesanti.

Mentre ci avvicinavamo al campo, notammo un gruppo di persone ferme in un angolo, attorno a qualcosa che non riuscivamo a vedere bene. Tra loro c'era la polizia. Fu Sara la prima a vederli e a segnalarlo, con un cenno del capo.

"Che diavolo ci fa la polizia qui?" chiese sottovoce, ma abbastanza forte da attirare l'attenzione di tutte.

La curiosità prese il sopravvento e ci avvicinammo un po' di più, facendo attenzione a non farci notare. Fu allora che vedemmo quello che cercavano di nascondere: la neve era macchiata di rosso, grosse macchie di sangue che si estendevano come ombre scure sulla superficie bianca e incontaminata.

"Cos'è successo?" chiese Carola, con un tono che oscillava tra la curiosità morbosa e la paura.

Claudia, la nostra allenatrice, si girò verso di noi con un'espressione seria. Non ci stava mai a spiegare troppo le cose, ma questa volta sembrava inevitabile. "Hanno ucciso il cane della proprietaria," disse con voce piatta, quasi indifferente.

Ci fu un attimo di silenzio, poi Elena scoppiò a ridere nervosamente. "Beh, almeno non abbaiava più tutta la notte," scherzò, cercando di alleggerire la tensione.

Ci fu un momento in cui alcune di noi risero, più per il nervosismo che per la battuta in sé. Ma l'umorismo nero non durò a lungo. Claudia si girò verso di noi con uno sguardo che avrebbe potuto congelare il sangue.

"Basta con queste sciocchezze," ci rimproverò severamente. "Non è una cosa di cui ridere. Ricordatevi che siamo qui per lavorare, non per fare le stupide. Vi voglio concentrate."

Il senso di colpa mi colpì immediatamente. Anche se non avevo detto nulla, mi sentivo complice delle risate, come se fossi parte di quel momento di superficialità. Mi strinsi nel cappotto, cercando di far passare quella sensazione.

L'allenamento iniziò subito dopo, e come sempre Claudia non ci risparmiò nulla. Il freddo pungente non faceva altro che rendere tutto più difficile, ogni movimento più faticoso, ogni respiro più doloroso. Ma non potevamo fermarci, non ci era concesso.

Facevamo esercizi a terra, flessioni, addominali, ripetizioni senza sosta. Il sudore cominciava a colare, gelandosi quasi subito sulla nostra pelle esposta. Mi concentrai sul movimento, cercando di ignorare il dolore che iniziava a diffondersi nei miei muscoli. Ma ogni volta che pensavo di essere al limite, Claudia ci spingeva oltre.

"Ancora una serie," ordinava, con quel tono che non lasciava spazio a discussioni. "Se vi mettete a piangere, ricominciamo da capo."

Sentii il mio corpo tremare sotto lo sforzo, ma non potevo cedere. Nessuna di noi poteva permetterselo. Così, stringemmo i denti e andammo avanti, fino a che non ci ordinò di metterci in posizione plank.

I minuti passarono lentamente, ogni secondo sembrava durare un'eternità. Le braccia mi bruciavano, ma sapevo che se avessi ceduto, ci sarebbe toccato ricominciare da capo. Guardai di sfuggita le altre: tutte sembravano lottare con se stesse, con il proprio corpo, ma nessuna osava mollare.

Finalmente, dopo quello che sembrava un tempo infinito, Claudia ci diede il permesso di fermarci.

"Ricomponetevi," disse fredda. "E ci vediamo a pranzo."

Se ne andò senza voltarsi, lasciandoci lì, sole, nel freddo.

Martina fu la prima a crollare. Si sedette a terra, stringendo le ginocchia al petto, e cominciò a singhiozzare. Il suo pianto era straziante, quasi animalesco, come se avesse tenuto tutto dentro fino a quel momento.

Ci girammo tutte verso di lei, spaventate. Non era da Martina lasciarsi andare così, non davanti a noi, non in quel modo.

"Martina, che succede?" chiese Sara, inginocchiandosi accanto a lei e mettendole una mano sulla spalla. "Cos'hai?"

Martina scosse la testa, le lacrime che scendevano inarrestabili lungo il suo viso pallido. Per un attimo sembrò che non volesse parlare, come se le parole fossero bloccate dentro di lei. Poi, con voce rotta, sussurrò: "L'ho fatto io... Ho ucciso il cane."

Il silenzio che seguì fu pesante, opprimente. Nessuna di noi sapeva come reagire. Il mio stomaco si contorse, una sensazione di nausea mi assalì all'improvviso. Guardai Martina, incapace di credere a ciò che aveva appena detto.

"Che cosa stai dicendo?" chiese Carola, incredula. "Di che parli?"

Martina alzò lo sguardo, i suoi occhi pieni di lacrime e di una disperazione che non avevo mai visto prima. "Non so cosa mi sia preso," confessò tra i singhiozzi. "Abbaiava, continuava ad abbaiare... Non riuscivo più a sopportarlo. Volevo solo che stesse zitto."

Sentii un brivido freddo percorrermi la schiena. C'era qualcosa di selvatico in lei in quel momento, qualcosa di oscuro e inaspettato. Non riconoscevo la mia amica, la ragazza con cui avevo condiviso così tanto. Era come se fosse diventata un'altra persona.

Carola fu la prima a rompere quel silenzio soffocante. Si avvicinò a Martina e la abbracciò stretta, come se volesse proteggerla da se stessa. "Deve rimanere il nostro segreto," disse, con una voce ferma. "Nessuno deve sapere."

Le altre ragazze annuirono lentamente, una dopo l'altra. Ci stringemmo tutte in un abbraccio silenzioso, il freddo della neve che ci circondava sembrava quasi attenuarsi mentre ci tenevamo strette, come se solo così potessimo proteggerci da ciò che avevamo appena scoperto.

Ma dentro di me, qualcosa si spezzò.

𝓒𝓸𝓻𝓹𝓸 𝓛𝓲𝓫𝓮𝓻𝓸 || Joseph CartaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora