CAPITOLO 22 Una settimana di ferie.

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Stavamo in aula magna ed ascoltavamo il discorso di Madame Dubois che ci dava il saluto delle buone vacanze.
Io sarei andata con Louis nella nostra città natale: Los Angeles. Gennaro e Aleandro a Napoli e degli altri non ne avevo idea.
«Sapete che dopo questa settimana di vacanze ci sarà lo spettacolo di ferragosto e non voglio delusioni... quindi: divertitevi ma non troppo!» si raccomandò soprattutto con noi protagonisti. «Potete andare a fare le valigie!» decretò.
Il brusio degli allievi si fece più rumoroso.
Los Angeles, sto arrivando!

LA SERA SEGUENTE...
Mi stavo preparando per andare a mangiare a casa dei miei genitori.
Non li vedevo dall'inizio di giugno ed oggi era il primo agosto.
Alloggiavo a Los Angeles in un hotel insieme a Louis.
Era troppo figo.
«Louis, andiamo?» chiesi al mio ragazzo.
«Shh, aspetta!» mi fece, mentre applicava prodotti a me sconosciuti sul ciuffo riccio e ramato.
Io avevo sul viso solo un gloss. A Louis piacevo di più naturale.
Chiamammo un Uber che ci portò a casa dei miei. Naturalmente alla cena era presente anche Makaila, la madre di Louis.
Ero anche entusiasta di rivedere i miei fratelli; chissà che disastro avranno combinato in mia assenza!
Eravamo giunti a destinazione.
La mia casa era rimasta uguale a come la ricordavo. Sembrava che il tempo lì si fosse congelato e stava a me rimetterlo in moto.
Gli occhi mi si inumidirono.
Pensare che in due mesi sono passata da essere la ragazza dura con tutti e soprattutto con sé stessa ad essere una ragazza fidanzata, con degli ottimi amici alle spalle.
«Ragazzina, che succede?» mi chiese premurosamente Louis.
«È che... sono cambiata così tanto in soli due mesi che non mi sembro io.»
«Mi raccomando; mangia tanto.» si raccomandò, mentre suonava il campanello.
Mi scappò una risata.
«Sembri mia nonna.» scherzai.
«Sicuro sono più bello.» si atteggiò, agitando i capelli rossi.
Mio padre aprì la porta.
Mio padre.
Mi fiondai tra le sue braccia.
«Papà!» esclamai.
Mi era mancato.
«Daphne!» sospirò sui miei capelli.
Mi staccai da lui e corsi da mamma. La abbracciai calorosamente.
Lei era il mio punto di riferimento.
Lei era tutto ciò che io non sarei mai stata.
Louis era alle mie spalle immobile che mi osservava. Arrossii. I suoi occhi scivolavano su di me pesanti.
Mi guardava con una sorta di adorazione.
I nostri sguardi si incrociarono scatenando una reazione chimica palpabile. «Louis...» parlò Makaila.
Non vedeva suo figlio da sei anni...
In un momento di coraggio, si buttò tra le braccia del figlio.
Nel vedere quella scena, mi strinsi a mia madre.
I suoi occhi verdi erano lucidi.

A TAVOLA...
Alla mia sinistra era seduto Louis e alla mia destra mia madre.
Il tavolo ricolare era rimasto uguale a come lo ricordavo.
Mamma aveva cucinato le sue straordinarie cotolette con patatine e poi tanti altri innumerevoli contorni e antipasti.
«Ragazzi, a voi come va la danza?» chiese Makaila.
Risposi io. «Tutto benissimo. Faremo una coreografia a ferragosto e mi trovo molto bene con le amicizie perché, sì, ho fatto delle amiche!» spiegai.
«Oh, Daphne sono super felice che hai un minimo di vita sociale!» esclamò mio fratello Mathias.
«Senza offesa, Daph, ma non potevi essere nostra sorella senza un po' di amici!» gli diede manforte il suo gemello, Thomas.
«Ah-Ah. Divertenti.» finsi di ridere.
La cena proseguì spensieratamente.
Era stato bello rivedere la mia famiglia dopo molto tempo e portare anche Louis in veste da mio ragazzo era speciale.
Ce ne stavamo tutti sul divano del salotto, a guardare un programma televisivo che non avevo mai visto in vita mia.
Ognuno chiacchierava per fatti propri a parte mio padre.
Ero seduta vicino a Louis, la sua mano aveva una presa salda sul mio ginocchio e sulla sua spalla sinistra pendeva la mia testa.
Mio padre non smetteva di fissare quella mano sul mio ginocchio. Ed io me ne accorsi subito perché so benissimo come e cosa vede mio padre.
«Louis...» bisbigliai. «La mano.»
«Eh?»
«Togli la mano dal mio ginocchio.» gli ordinai sussurrando.
Piano, lasciò scivolare via la mano in un modo talmente sensuale che con un pubblico come quello risultò imbarazzante.
Mio padre si alzò dal divano a braccia conserte e si avvicinò a noi.
«Louis ti posso parlare un attimo?»
Okay, io avrei avuto paura.

Louis
E ora che cazzo vuole quest'altro.
Forse non sapeva che il ginocchio di sua figlia è la parte meno intima che avevo toccato di lei. E vi assicuro che l'avevo toccata ovunque, quella ragazza.
Forse era meglio non dirglielo, però!
Mi portò nel loro giardino.
Quella casa era rimasta come la ricordavo. Enorme. «Allora vuoi fare la monella?» Aveva gli occhi identici a quelli di sua figlia. Un marrone così caldo e tendente al colore del cioccolato.
Passammo degli istanti ad osservarci.

Edward
Quanto era uguale al mio migliore amico?
Troppo. La fotocopia.
Se avessi fatto una foto ad Henry pochi giorni prima che morisse e l'avessi messa a confronto con suo figlio non avrei notato differenza.
Saremmo potuti andare anche d'accordo se solo non fosse il fidanzato di mia figlia.
Mia figlia.
Mia e di Ashly.
Basta.
Ero sempre stato un tipo geloso delle proprie cose e se pensavo che avrei dovuto condividere Daphne con un altro uomo che non sia io o gli altri miei due figli... mi fa salire la rabbia.

Louis
Visto che non avevo ancora capito cosa voleva Edward Brown da me e non avevo assolutamente intenzione di dire "ti dai una mossa!" al padre della mia ragazza, aspettai ancora (se pur esausto) che parlasse.
«Clark...» mi appellò.
Wow, addirittura i cognomi!
«Cosa hai intenzione di fare con mia figlia? Portarla a letto o all'altare?»
Avrei risposto "tutte e due" però dovevo contenermi.
«Portarla all'altare.» risposi.
«Tu la ami?» mi domandò con la voce dura e lo sguardo al giardino di casa sua.
Ma dove siamo, nel Medioevo?
Non mi andava di confidarmi con il padre della mia ragazza di sentimenti che non avevo neanche espresso a parole a lei.
«Sì. La amo.»
Si lasciò scappare un ghigno.
Cosa molto strana, se si sta parlando di Edward Brown.
«Puoi andare.» mi invitò a congedarmi.
Menomale, mi ero già rotto il cazzo!

ALL' HOTEL...
Daphne
«Dai, però non è andata male!» constatai sdraiata sul letto con Louis affianco.
«No, no. Infatti non ho detto nulla a riguardo. Mi ha fatto piacere rivedere mia madre e i tuoi fratelli sono simpatici; io me li ricordo da bambini, rompevano il cazzo quasi più di te.»
«Io non rompo il cazzo!» feci la finta offesa mentre mi mettevo sopra di lui.
«Invece sì. Soprattutto i primi giorni che eri arrivata.» spiegò, con una punta di sarcasmo.
«E io non ti sopporto.»
«Lo stai dicendo quando sei sopra di me.» mi fece notare.
«Lo stai dicendo con un'erezione.» controbattei.
Mi sciolsi letteralmente su di lui.
Era di una bellezza allucinante.
I ricci ramati erano di un arancione più vivo, e quei fottuti occhi...
Quei fottuti occhi avevano le sfumature del tramonto, con le luci calde della stanza che gli si adagiavano addosso regalandogli punti di luce e di ombra lo facevano sembrare un dipinto, tanto che era perfetto.
Ancora faticavo a credere che sarebbe stato sempre mio.
Come è andata a finire quella notte, già si sa.
Sapevo per certo che il nome di Louis non l'avrei mai scordato per il numero esagerato di volte in cui l'avevo pronunciato in quella notte. «Andiamo a vedere l'alba?» mi chiese il mio ragazzo.
Avevamo appena finito di fare sesso e mi chiedeva di vedere l'alba.
La mia vita si era letteralmente trasformata in un film.
«Sì.» accettai.
Come si poteva non accettare? Mentre quelle sfumature color caramello scivolavano perfettamente su Louis, i miei occhi notarono un foglietto di carta, ben piegato sul tavolino del balcone.
Lo presi e lo aprii.
"Gradi e primi, longitudine e latitudine non serviranno a dirvi che sono lì con voi. Mi percepirete. E ora dimmi, Daphne Brown, com'è provare la sensazione di essere perseguitati?"
Porca di quella puttana.
«Louis... dici che è chi penso io...
Afferrò il biglietto in tutta velocità.
Il mittente era stato astuto: scrittura stampata. Niente calligrafia manuale.
«È lui.» affermò Louis.
«Kiish Kaur?» chiesi.
«Esattamente.» disse mentre si accendeva una sigaretta.
«Non posso credere che sia venuto qui per spiare te perché ti invidia e non essere in India da sua sorella con il cancro.» sospirai mentre scrutavo il sole; una sfera rovente che pian piano si alzava nel cielo. «Sai, Daphne, quando invidi qualcuno, non fai altro che idealizzarti in quella persona che la osservi in tutto, prendi come esempio le sue abitudini e non riesci a fare a meno di immedesimarti in quella persona. Lui vuole così tanto essere me che andrebbe ovunque io vada, cosa che fa, e farebbe di tutto pur di prendere il mio posto.
Ma sai perché queste cose non me le dice in faccia e si palesa così? Attraverso questi giochetti?
Perché lui vive con la consapevolezza che non sarà mai e poi mai me.»

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