CAPITOLO 31 L' amore si manifesta.

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Ero tornata in hotel da mezz'ora e già volevo ributtarmi nel letto.
Louis mi stava cucinando qualcosa ma non avevo ancora capito bene cosa, sapevo solo che c'era un buon profumino nell'aria che mi avvolgeva.
Quando mi portò a tavola delle uova strapazzate, sospirò.
«E chi l'avrebbe mai detto...»
«Cosa?» chiesi.
«Che sarei passato da odiarti ad essere il padre dei tuoi figli.» mi scostò una ciocca bionda dal viso.
«Non lo so ma questi sono stati i mesi più intensi di tutta la mia vita.» dissi, ingoiando il primo boccone.
Erano buonissime.
«Pensa che a maggio non avevo la minima idea di cosa fosse l'amicizia e...»
Avrei voluto dire "l'amore" ma avevo capito quella stessa sera cosa voleva significare quella parola e non mi sembrava il momento adatto per dirlo a Louis.
«... ed essere fidanzati.» conclusi. «Ora è agosto: ho tantissimi amici, sono incinta e fidanzata.»
Guardai di fronte a me Louis che non stava mangiando.
Non aveva proprio preparato il piatto per sé.
«Tu non mangi?» chiesi con la bocca piena.
«No ho mangiato moltissimo a pranzo. Poi sono scombussolato, quando mangio e penso a qualcosa di importante vomito.» spiegò.
Non capii perfettamente il collegamento, però gli chiesi cosa incombesse la sua mente.
«Daphne.» disse, guardandomi dritto negli occhi. Il cuore iniziò a battermi più forte.
Era questo l'amore?
Guardare negli occhi qualcuno ed andare in tilt.
«La pillola era stata cambiata. Ti hanno messo quella per abbassare la pressione. Per questo sei incinta ed eri svenuta.» spiegò.
Qualcuno avrebbe potuto...
Anzi, qualcuno l'ha fatto...
Mi hanno fatta restare incinta apposta.
Mi guardai la pancia.
Non si vedeva nulla perché non era passata neanche una settimana, ma io già consideravo quella cellula una persona e non le avrei mai dato la colpa di esistere perché infondo era anche quella una forma di vita.
Ci spostammo sul divano.
«Non fa niente, Louis. Ormai è capitato, te l'ho già detto: non abortirò e non ha senso piangere sul latte versato. Solo... non capisco perché la gente gode nel vedere le disgrazie degli altri e rosica alle gioie altrui.»

"Godo nel vederti piangere, Daphne. Magari capisci che potresti avere un futuro e smetterai di concentrarti sulle cavolate."
Le lacrime scendevano a dirotto.
Non piangevo perché non riuscivo a fare quel passo, infondo avevo undici anni, avevo un futuro per impararlo. Piangevo perché ero stanca di sentirmi urlare addosso.
Certe volte avrei voluto essere nata senza un minimo di potenziale; così avrei potuto fare danza senza allenamenti extra.

Daphne, distraiti! Mi ordinai.
Mi alzò il mento e fece collidere i nostri sguardi.
Le sue iridi erano più profonde che mai. Il mix tra marrone e oro era ancora più notevole: aveva gli occhi lucidi di pianto.
Louis stava quasi... piangendo.
«Qualsiasi cosa succeda, la affronteremo insieme, ragazzina. Io e te. Contro tutti.» disse con una voce graffiante e rassicurante allo stesso tempo.
Appoggiai delicatamente la mia mano affusolata sulla guancia di Louis.
Lo baciai delicatamente e lui fece lo stesso, come se avesse paura di rompermi o di rompere la creaturina che era nel mio ventre.
Fece scivolare la mano sulla mia pancia ancora piatta e la toccò delicatamente.
Scese a baciarmi il collo, poi il petto, l'incavo del seno (perché indossavo solo il reggiseno) e poi l'addome.
Mi toccò il ventre con estrema cura e poi regalò un bacio al bambino attraverso la pancia esattamente all'altezza sotto l'ombelico.
Incrociò lo sguardo col mio.
«Io e te, Louis. Per sempre.»
Quando sì alzò, ci sedemmo sul tavolo e iniziammo a programmare la nostra ultima giornata a Los Angeles.
«Oggi vorrei andare a salutare i miei zii: Lucas e Zoe.» iniziai, sperando che il mio ragazzo non mi bocciò l'idea.
«Va bene... allora poi passeremo anche da Ariana e Lisa; le mie zie.»
«Perfetto. Allora oggi giornata zii. Da chi passiamo prima?» chiesi.
Louis abbassò lo sguardo.
Probabilmente voleva vedere prima lui i suoi parenti perché non li vedeva da sei anni e invece io da qualche mese.
«Va bene, tesoro passiamo prima da te.» dissi dolcemente.
«Tesoro? Ti sembro per caso un tesoro?» fece offeso.
Aprì un pacchetto di sigarette, ne estrasse una e l'accese.
«Vedi? Io non sono un tesoro.» indicò la sigaretta.
«Okay, tesoro, non ti incazzare.» continuai. Era bellissimo arrabbiato.
Si portava quel broncio infantile che mi faceva letteralmente morire e le gote si tingevano di un rosso delicato perfettamente abbinato ai suoi colori caldi.
«Sei bello quando ti arrabbi.» constatai, senza un minimo di contegno, infatti dopo mi afferrò di forza e mi portò sul divano.

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