Riprendo il foglio che mi era caduto poco prima. Lo osservo ancora, cercando di decifrare quella scrittura. Ogni curva, ogni linea è così precisa da sembrare stampata, perfetta, come un messaggio scolpito in un codice impenetrabile. Ma non c’è nulla, nessun indizio che possa aiutarmi.
Rientro in casa e un capogiro improvviso mi fa vacillare. Mi aggrappo al bordo del divano, cercando di ritrovare l'equilibrio. Mi lascio cadere sul cuscino, con il respiro affannato, e chiudo gli occhi per un attimo. Ho bisogno di fermarmi, anche solo un istante, per riprendere fiato.
Poi il silenzio della notte viene spezzato. La porta si apre. Dei passi decisi riecheggiano nell’ingresso, avanzando verso di me. A quest’ora non può essere che Haru. La mia teoria si conferma quando la sua figura emerge nell’ombra, imponente e piena di quella solita, irritante sicurezza.
Non posso affrontarlo, non adesso. Il pensiero di un’altra conversazione con lui mi pesa come un macigno sul petto. Mi alzo in fretta, troppo in fretta, e mi dirigo verso le scale. Stringo il corrimano con forza mentre il mondo intorno a me si inclina. Un altro giramento di testa. Le pareti sembrano ondeggiare, e in un attimo tutto diventa nero. Il mio corpo cede, ma prima che possa cadere sento due braccia forti che mi afferrano. Mi trattengono salda, con un calore che mi avvolge e mi scuote al tempo stesso.
“Ivy, tutto bene?” La sua voce, solitamente così controllata, ora è intrisa di una preoccupazione sincera. I suoi occhi, scuri come la notte, sono pieni di tensione, qualcosa che non gli avevo mai visto prima. Quel cambiamento in lui mi disarma, mi confonde.
“Sto bene, faccio da sola, grazie.” La mia risposta è fredda, tagliente, ma so che è una bugia. Devo tenerlo lontano. Non posso permettermi di cedere, non ora. Eppure, mentre cerco di allontanarmi, le gambe mi tradiscono di nuovo. Questa volta, Haru non si limita a sostenermi. Mi prende tra le sue braccia e mi porta verso la camera, con una determinazione che non lascia spazio a proteste.
Il suo tocco è caldo, la sua presa sicura. Ogni muscolo del suo corpo sembra avvolgermi in una protezione che non sapevo di desiderare. È un contrasto straziante: il cuore mi batte forte per la vicinanza, ma dentro di me so quanto sia sbagliato. Quando mi posa sul letto, il suo sguardo incrocia il mio.
Rimango immobile, sentendo il calore di lui che ancora persiste sulla mia pelle. La voglia di riprovare quelle labbra morbide mi brucia dentro, come una scintilla che potrebbe diventare incendio, ma scuoto la testa. Non posso. Non devo.
Eppure, mentre chiude la porta alle sue spalle, lasciandomi sola nella penombra, il suo profumo mi resta addosso, come un ricordo impossibile da ignorare.
Chiudo gli occhi, stremata dalle emozioni che mi hanno travolta, e mi abbandono a un sonno profondo, quasi cercando rifugio. Ma non c’è pace. Improvvisamente mi ritrovo catapultata nella mia vecchia casa. Le pareti sono scrostate, impregnate di odori pesanti: alcool, fumo, rabbia. Il pavimento scricchiola sotto il peso del tempo, e l’aria è densa, soffocante. Mia madre è lì, davanti a me. La riconosco subito. La bottiglia di birra è nella sua mano, come un’estensione naturale del suo corpo. La sua presa è forte, nervosa, e i suoi occhi bruciano di collera.Quando il suo sguardo incrocia il mio, mi sento mancare il respiro. Il suo volto si contrae in un ghigno, e il terrore mi paralizza. Senza pensarci, corro verso la mia stanza. Chiudo la porta dietro di me con uno scatto, le mani tremano mentre giro la chiave nella serratura. Mi premo contro la porta, come se il mio corpo potesse sigillarla meglio. Fuori, i suoi passi pesanti rimbombano nel corridoio. Sbatte contro la porta, una volta, poi un’altra. Ogni colpo è una scossa che mi penetra fin dentro le ossa.
"Apri!" urla, e la sua voce è un’esplosione che mi travolge. Mi lascio scivolare lungo la porta, fino a rannicchiarmi in un angolo della stanza. Le mie ginocchia si stringono al petto, le braccia le avvolgono come se potessero proteggermi. È solo allora che mi accorgo: le mie gambe sono piccole, fragili, e le mie mani non sembrano più le mie. Sono di nuovo una bambina, intrappolata in un corpo troppo debole per difendersi.
La porta si spalanca all’improvviso, con un boato che mi strappa un grido soffocato. Il legno sbatte contro il muro, e mentre alzo gli occhi, mi accorgo di essere di nuovo me stessa, adulta, eppure intrappolata nella stessa posizione di quella piccola Ivy. Sono rannicchiata, impotente, e il terrore non mi ha mai davvero lasciata.
Mia madre entra nella stanza. È una presenza oscura, minacciosa. Il rumore della bottiglia che si infrange contro il muro è assordante, e le schegge volano come piccole lame che brillano alla luce fioca. Mi stringo ancora di più, ogni muscolo teso in un disperato tentativo di farmi più piccola, invisibile. Lei si avvicina, sempre più vicina, e il suo fiato mi brucia addosso.
E poi... mi sveglio. Il cuore mi martella nel petto, così forte che penso possa spezzarmi. Il sudore mi bagna la fronte, la maglietta incollata alla pelle. Ogni fibra di me è ancora intrappolata in quel sogno, ma sembrava così reale. Il buio della stanza mi circonda, ma non mi consola. Mi stringo le braccia attorno al corpo, tremando.
Che sia stata lei a scrivere quel biglietto? La domanda mi esplode in testa, e non riesco a scacciarla. Anche sveglia, il terrore resta. Forse non mi ha mai lasciata davvero.
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the eclipse
RomantikIvy ha vissuto un'infanzia spezzata: abbandonata in un'auto sotto il sole cocente dalla madre dipendente, il suo fragile destino è cambiato per sempre quando una sconosciuta l'ha salvata, portandola via dal suo incubo. Ma le cicatrici del passato no...