-gioia condivisa-

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La mattina seguente mi sveglio con un martellante mal di testa, il corpo ancora stanco e la mente piena di pensieri confusi. La luce del sole entra a fatica dalle tende della finestra, ma invece di portarmi conforto mi sembra quasi troppo intensa, invadente, come a voler scoprire tutto ciò che sto cercando di reprimere. Non voglio pensare a ieri sera, ma i ricordi continuano a riaffiorare, pungenti come schegge.

Sospiro profondamente e mi costringo a scendere dal letto. Un piede davanti all’altro. Come sempre. Mi avvolgo nel cardigan appoggiato sulla sedia, cercando un minimo di calore. Come ogni mattina, mi dirigo in cucina, dove so che troverò Tina intenta a preparare la colazione. La sua presenza è un punto fermo nelle mie giornate, un filo di normalità che mi tiene ancorata.

Scendendo le scale, il familiare profumo del caffè appena fatto e dei pancake mi dà un piccolo sollievo. Quando metto piede in cucina, la vedo lì, con il grembiule legato stretto, i capelli raccolti, indaffarata a disporre le ultime cose sul tavolo. La scena dovrebbe tranquillizzarmi, ma qualcosa mi sembra diverso. La tavola è apparecchiata con meno cura rispetto al solito, e soprattutto manca un piatto.

Mi fermo sulla soglia, aggrottando le sopracciglia. Dov’è Haru? La domanda mi sale spontanea, senza nemmeno pensarci troppo.

“Tina, dov’è Haru?” chiedo, forse con troppa ansia nella voce. Mi rendo conto solo dopo che non le ho nemmeno dato il buongiorno.

Lei alza lo sguardo verso di me, accennando un sorriso rassicurante. “Buongiorno, tesoro. Non lo sai? È rimasto a dormire da Kaden insieme agli altri,” risponde con una naturalezza che mi colpisce.

Resto immobile per un attimo, cercando di elaborare le sue parole. Da Kaden. Conosco bene quel nome. Kaden è l’amico più stretto di Haru, una presenza costante nella sua vita. Passano talmente tanto tempo insieme che ormai è normale vederlo in casa nostra almeno un paio di volte a settimana. Ma la mia mente si sofferma su un’altra parte della frase. “Insieme agli altri.”

Non ho bisogno di chiedere chi siano gli “altri.” È implicito, quasi scontato: si tratta di Harper e probabilmente di quella ragazza, Sophia, che ho visto un paio di volte. E cosa staranno facendo insieme? La mia immaginazione comincia a correre senza controllo, portandomi a pensare a situazioni che non voglio nemmeno formulare chiaramente. Una fitta mi stringe lo stomaco, ma cerco di nasconderla.

“Capisco,” rispondo brevemente, cercando di mantenere un tono distaccato. Non voglio che Tina si accorga di quanto queste informazioni mi turbino. Mi siedo al tavolo e comincio a mangiare, anche se non ho molta fame. Ogni boccone sembra pesante, quasi un obbligo più che un piacere. Finisco in fretta, sposto il piatto nel lavandino e mormoro un ringraziamento a Tina prima di ritirarmi in camera.

In camera mia, apro l’armadio e comincio a vestirmi senza troppa attenzione. Che importa cosa indosso oggi? Alla fine opto per un maglioncino a righe bianco e nero e un paio di semplici jeans. Qualcosa di comodo. Oggi ho bisogno di sentirmi al sicuro.

È domenica, e decido che vedere Noah e Grace potrebbe essere la distrazione di cui ho bisogno. La loro presenza è sempre un rifugio, un posto in cui posso sentirmi accettata senza dover fingere.

Un messaggio di Noah mi avvisa che è già arrivato, parcheggiato in fondo al vialetto. Lo trovo premuroso, sempre attento ai dettagli che potrebbero farmi stare meglio. Afferrata la borsa, scendo rapidamente le scale e mi dirigo verso di lui. Quando apro la portiera e salgo in macchina, mi accoglie con un sorriso caloroso.

“Allora, senza meta oggi?” chiede, accendendo la radio.

“Sì, senza meta,” rispondo con un sorriso appena accennato. Solo noi tre e la musica. Nient’altro.

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