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Helena' s pov

Damon era davanti a lei, con quegli occhi blu cobalto, che la fissavano. Erano pieni di lacrime che non volevano scendere. Appena vide i suoi occhi che si aprivano, delle piccole gocce straboccarono dal blu rassicurante dei suoi occhi, ma lui non ci fece caso. Abbracciò Helena delicatamente, per paura di farle male. Lei lo ricambiò. Ma, appena lo strinse a se, una valanga di pensieri le occupò la mente. Un bacio, Matt, mamma. Il suo ultimo pensiero le causò un istinto di rabbia pazzesca e il suo subconscio associò la morte di mamma a Damon.

Se Damon non mi baciava, potevo salutare mamma. Se Damon non mi baciava ero ancora in buoni rapporti con Matt. Se Damon non mi baciava non ero in un letto di ospedale a poltrire.

Respinse il suo abbraccio furtivamente e aggiunse anche un accenno di spinta quando lui stacco il suo corpo da quello di lei. Mentre si staccava, Helena notò le unghie mangiate fino al possibile, i capelli sporchi e appiccicati alla cute, gli occhio blu stanchi e con delle enormi borse sotto. Era stanco e triste, chissà da quanto era sveglio e da quanto non toccava cibo. Ma era colpa sua. Di certo Helena non si sarebbe fatta fregare un altra volta.

- Da quanto è che sono qui?

Le parole uscirono un po' singhiozzanti. Era almeno 2 giorni che non parlava, lo intuì dalla gola molto secca. Cercò di fare la dura, di mascherare i proprio pensieri come aveva sempre fatto, ma con lui non ci era mai riuscita.

- Circa cinque giorni.

Lui parlò duramente. I suoi occhi erano come un obbiettivo di una fotocamera, ora erano coperti dall'apposito tappo. Niente entrava e niente fuoriusciva. Niente emozioni. Niente di niente. le lacrime cessarono di scendere e il volto assunse un'espressione sconosciuta. Forse quella di qualche giorno prima, dove lei non gli voleva parlare, mentre Damon si aspettava che lei si sfogasse. Si, forse era proprio quella l'espressione. Era uno perso, immaginatevi un deserto e lui che vaga, senza una meta, sicuro che nel mondo c'è qualcosa di bello, come i fiori, ma difficile da prendere. Perché è così che si dice no? Se ti piace un fiore lo raccogli e lo strappi dalla sua vita quotidiana, dalla routine, mentre se lo ami te ne prendi cura. Adesso Damon doveva decidere se gli piaceva o l'amava. E la scelta non era facile come sembra.

- Helena.

Questa parola mandò in fumo la mente di lei. Era la cosa che più odiava. Tutto quel sentimento concentrato in una parola. Solo una. Per lei era impossibile, era sempre stata un po' impacciata con le parole, ma lui. Cavolo, lui le sapeva usare. Poteva svelarti tutto dicendo solo una parola. Tutto il suo dolore era contenuto in quel nome. Tutto il suo dolore, ma anche tutto il suo amore.

- Damon.

Helena ci provò. Provò a racchiudere tutto in una sola parola, ma non era uscita tanto bene. Esprimeva pietà mista a gratitudine. Ma non era quello il significato che lei voleva associargli.

Un infermiere interruppe i suoi pensieri omicidi verso Damon. Era l'infermiere che gli aveva fasciato la mano. Aveva dei soldi in mano. Ma che ci faceva con dei soldi in mano?

- Ciao. Buongiorno.

Un sorriso le accese quel volto spruzzante felicità. Aveva capelli castani e gli occhi verdi... e che occhi verdi!

- Come ti senti? Va meglio?

Lui sembrava che volesse dire qualcosa ma non trovava le parole.

- Sto come dovrei stare dopo essere svenuta, in realtà.

Gli dissi la verità. Mi sentivo debole e stanca e lui era un infermiere lo doveva sapere. Quindi non aveva senso mentirgli.

- Si, certo. Scusa.

Abbassò lo sguardo per una frazione di secondo, poi lo rialzò improvvisamente e aprì la bocca mostrando dei perfetti denti bianchi.

- Sono venuto per renderti il resto, insomma, ... i soldi che mi hai dato in più per la caviglia rotta.

Stava sudando, cosa mi voleva dire di tanto importante?

- Chi si è rotto una caviglia? Mi dispiace penso che si sia sbagliato con qualcun altro.

Le feci un sorriso rassicurante. Poverino. Forse si era preso una bella strigliata da un suo superiore. Non so. Comunque lessi dal cartellino che portava appeso al camice che si chiamava Jackson. Jackson Harvey.

- No. Scusa mi sono sbagliato. Si, insomma. Eri tu la belliss ...

Si bloccò. Damon a quel punto si alzò e lo condusse fuori dalla stanza e chiuse la porta.

- Ma cosa voleva quel tizio?

Damon era frustato si notava molto bene. Forse era la prima volta da quando lo conosceva che stava lasciando trasparire le sue emozioni. Era una frustrazione strana, era quasi arrabbiato.

- Jackson Harvey

Lo corressi.

- Si, insomma. E' uguale.

Non era frustato o arrabbiato, era geloso. Si si, era geloso. All'improvviso, qualcosa mi tornò in mente. Mia mamma non c'era più, e la colpa era sua.

- Senti, Dam... o no, tizio, tanto per te non fa differenza, ora ho sonno. Se gentilmente te ne vai te ne sarei grata.

La mia voce suonò piena di amarezza, come volevo che fosse. Finalmente alzò il sedere da quelle sedie di legno e se ne andò senza dire una parola. Aveva la faccia sconvolta. Non se lo aspettava proprio una risposta così.

Chiusi gli occhi, mi stiracchiai un po' e mi misi comoda per un altra dormita. Quando un suono elettronico interruppe il mio sonnecchiare. Alzai il cellulare e lessi sullo schermo un numero sconosciuto.

- Buongiorno signorina Gilbert. Siamo gli assistenti sociali dello stato di Yale. La volevamo informare di un imminente colloquio.

Rimasi sbigottita. Un colloquio per cosa??

- Scusi, mi può spiegare meglio?

La donna fece un sospiro.

- Tu sei una ragazza ancora minorenne, e mi rincuora dirlo, ma hai perso entrambi i genitori. Dovremo affidarti ad una famiglia o ad un collegio. Mi dispiace, le mie condoglianze.

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Oh Oh. Che bel casino!!

Damon. Helena. Gli assistenti sociali. E, Jackson Harvey.

Domandina: Secondo voi quel Jackson cosa voleva? Si ripresenterà più avanti nella storia secondo voi?

Spero, come sempre che il capitolo vi sia piaciuto.

Un 💋

Aggiorno appena posso.

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