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Helena's pov 

- Hey, mamma. 

 Helena pronunciò quelle parole lentamente aprendo con delicatezza la porta della stanza d'ospedale. Era blu chiaro. Sbiadito. Come lei. Sbiadita. Forse era questo l'aggettivo che la rappresentava al meglio.

- Tesoro.

 Sua mamma era così dolce. Semplice. Una mamma. Helena la amava così tanto! Passava sempre i suoi pomeriggi liberi seduta accanto a lei, in quelle sedie di legno molto scomode. Quando tornava a casa erano poche le volte che non piangeva, però. Sua mamma, così giovane, in ospedale in attesa di un trapianto di fegato. Ormai i medici non osavano mandarla a casa per paura che potesse succedere qualcosa. Aveva i giorni contati. 

- Come stai? 

 La domanda che Helena le rivolgeva tutti i giorni ormai era diventata priva di senso. Era normale che stesse male. Altrimenti non era in ospedale. Ma voleva sentirla parlare. Voleva tenerla sveglia, almeno queste poche ore che lei stava con sua madre. 

- Come sempre, amore. Tu? 

 Si preoccupava sempre di lei. Perché, mamma? Sei tu quella malata. Dobbiamo preoccuparci di te, non di me. 

- Oggi a scuola un ragazzo mi è venuto addosso e invece di scusarsi, ha pronunciato solo il mio nome. Quello e basta... 

- Hel, rifletti. 

 Sua madre era sempre così, un po' misteriosa. Non le piaceva dare subito la soluzione. Dovevi sempre arrivarci da sola. 

 Solo il mio nome. Cosa può significare? Analfabeta? Ebete? No, altrimenti non veniva a un liceo. Allora cosa? Non ci sarebbe arrivata. Almeno non senza un minimo di indizi. 

- Non ci riesco, mamma. 

 Helena pronunciò quelle parole sinceramente. Non riusciva veramente a capire la stupidità di certa gente. 

- Amore, non te lo dico. Ci puoi arrivare. Ti dico solo che non ti devi allontanare. Prova a parlargli un giorno. Non lo evitare. 

 Sua mamma, qualche volta, le dava sui nervi. Ma come faceva a parlargli? Non lo sopportava. "Helena", ma chi si credeva di essere. "Scusa" non riusciva a dirlo? No, non gli parlerà mai. 

- Ci proverò.

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 Damon's pov

- Sei uno stronzo! Ma non capisci veramente niente? Muoviti vieni qui! Devo fare sempre tutto io in questa casa, non è vero, demente? 

 Suo padre aveva di nuovo bevuto un po' troppo. Adesso avrebbe dovuto pulire tutte le bottiglie rotte in terra. Damon prese una scopa dallo stanzino. Ormai anch'esso completamente al buio. Suo padre andava a lavoro le poche volte che non era sbronzo. E i soldi mancavano. Mentre le bollette continuavano a venire imperterrite. 

- Arrivo papà.

"Papà". Lo chiamava ancora così. Come quando era piccolo. Gli mancava il modo in cui suo padre lo prendeva in collo e gli faceva fare il giro del mondo. Gli mancavano gli immensi prati, nella periferia Fiorentina, dove il suo papà lo portava galoppare su Freccia. Il suo adorato cavallo nero con piccole chiazze bianche sulla pancia. 

 Si decise a iniziare a pulire. In fondo, ci stava male, altrimenti non beveva. Era depresso, e sfogava il suo sentimento in modo sbagliato. 

- Muoviti. 

 Giorgio, il padre di Dam, rimase sulla poltrona in soggiorno, continuando a bere e ruttare. Era uno spettacolo disgustoso.

 Mentre spazzava Damon continuava a pensare alle estati che aveva passato con la sua famiglia. Una famiglia felice. 

 Tutti insieme, su un isoletta in Toscana. Come si chiamava? Ah, Isola D'Elba. Suo padre continuava a stringere sua madre. Non la lasciava un attimo. Jeremy era con lui. Giocavano insieme ad acchiappino. La sabbia gli entrava dappertutto. Quanti anni avevano? Non si ricordava precisamente, ma le sembrava 5 o 6. Insieme avevano riempito il il bordo della spiaggia di castelli di sabbia. Erano capolavori. Per essere fatti da bambini di 5-6 anni. Passavano i loro giorni così. Giocando, rincorrendosi, diventando architetti della sabbia. Ricordava che quando era piccolo, sbirciava da camera sua, Giorgio e Katherine, stare sul divano abbracciati insieme. Fin da piccolo, l'amore, per lui era la cosa più importante. Amava persino i suoi giocattoli. Ma insieme a sua mamma, ogni anno, decideva 3 macchinine o soldatini da dare in beneficenza. Era come un addio per lui. Ma sapeva che era amore. Amore per gli altri. Quindi lo faceva lo stesso. 

 Ricordava tutto questo con nostalgia. Gli mancava così tanto provare quel sentimento. Un sentimento così pieno. Gli mancava così tanto.

 E adesso aveva rinunciato. Rinunciato a provarlo. Voleva, così tanto, che Helena, gli facesse provare il sentimento che a lui tanto mancava. Ma doveva fare così. Sarebbe stata LEI a dimostrarli il vero amore. Solo lei poteva. Non aveva nessun altro.

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 Buonasera, fanciulle. 

 In questo capitolo ho deciso di descrivere meglio la vita dei due protagonisti, con un minimo di accenno l'una verso l'altro. E viceversa. 

 Ora sappiamo anche meglio un minimo della vita privata di Helena. E il motivo della sua tristezza. Delle sue mura.

 Domandina time: Cosa pensate della mamma di Helena? Cosa pensate intendesse con "rifletti" ? 

Spero vi sia piaciuto, tanto tanto!!

 Un bacione, come sempre!

 Aggiorno appena posso   

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