14. 𝙇𝙞𝙜𝙝𝙩 𝙢𝙚 𝙪𝙥 𝙞𝙣 𝙛𝙡𝙖𝙢𝙚𝙨

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"Ed io, proteso come folle, bevevo
la dolcezza affascinante e il piacere che uccide
nel suo occhio, livido cielo dove cova l'uragano. - Charles Baudelaire".


Non avevo ancora deciso se fosse stato un segno divino, o la prossima minaccia di morte la chiamata che illuminò lo schermo del cellulare di Harry.
Con il nome di mio padre in bella vista.
Sapevo solamente che aveva distrutto la bolla in cui ci eravamo persi per qualche istante che era durato decisamente troppo poco.
La realtà dei fatti tornò davanti ai nostri occhi, fastidiosa e incombente come uno schiaffo in pieno volto.

Ci guardammo in silenzio per qualche istante, fino a che non vidi Harry sospirare prima di portarsi il telefono all'orecchio.
Non fece in tempo nemmeno a parlare, la chiamata si chiuse dopo l'ordine breve e coinciso di mio padre: Venite subito qui.

«Non era per niente amichevole.» gli dissi.

«Sai che novità.» replicó freddamente facendo roteare la sua mano a mezz'aria. «Andiamo.» mi ordinò iniziando ad incamminarsi verso la sua auto.

Quando salimmo sulla Bentley, l'orologio segnava le due e undici del mattino.
Mi resi conto di quanto in realtà il tempo fosse trascorso lentamente quella sera, in quanto ero quasi certa che fossimo già vicini alle prime luci dell'alba. Rimasi in silenzio guardando il riccio al mio fianco che sembrava tutto tranne che intimorito, e mi domandai come facesse.
Mio padre incuteva timore a chiunque e non c'era nessuno che fosse immune a quella forma di violenza psicologica... fino a quel momento.
Mi stava bene che Harry non ne fosse intimorito, ma allo stesso tempo sperai che non fosse tanto stupido da sfidarlo.

Ci immettemmo sul ponte per attraversarlo e la nostra parte di città si avvicinava sempre di più, immersa nella nebbia, mentre le ultime parole del ragazzo che avevo ucciso risuonarono nella mia mente.

«Secondo te a chi si riferiva William quando ha detto che loro non erano gli unici a volermi?» gli domandai sovrappensiero.

Harry abbassò l'aria calda e iniziò ad arrotolarsi la camicia sopra ai gomiti. Ci guardammo in silenzio per un istante come se avessimo pensato alla stessa cosa, fino a che uno dei due non lo disse.

«So solo che la merda si nasconde sempre dietro a quei grattacieli perfetti.» disse facendo un cenno con il capo guardando dritto davanti a sé.

«Siamo noi il male della società.» confermai guadagnandomi una veloce occhiata da parte sua.

Non parlammo più per tutto il resto del tragitto, ognuno con i suoi pensieri per la testa.
Mi resi conto ben presto del fatto che non avrei potuto impedire in alcun modo ad Harry di spifferare tutto a mio padre, non in quelle circostanze e non quando mi era stato detto esplicitamente che avevo più pistole puntate alla testa di quante ne immaginassi.

Non riuscivo ancora a capire bene cosa stesse succedendo e quali fili avesse mosso il destino, quale trama intricata stesse tessendo in mezzo alle nostre famiglie... ma di sicuro era già iniziata una partita a scacchi dove probabilmente non avrebbe vinto nessuno, eppure la tavola era già stata sporcata dal sangue di persone che avevano pagato la loro parcella in anticipo.
Nessuno poteva sapere quale sarebbe stata la prossima mossa, né di chi sarebbe stato il prossimo cadavere che avrebbe contribuito a marchiare uno scenario già tinto dalle sfumature più scure del rosso.
Il vetro della bolla aveva iniziato a frantumarsi facendo volare le sue schegge qua e là, e la verità era che non eravamo mai stati veramente al sicuro, e nessuno di noi era invulnerabile.

***

L'odore dei sigari spenti e il fumo che usciva dal posacenere aleggiavano in tutta la stanza, accentuando la nausea che già sentivo per l'ansia della situazione.

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