MALEDETTA PRIMAVERA

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Era in sere come quelle che Minerva si sentiva sola, tremendamente sola. Il cielo era sereno e le stelle sembravano brillare più del solito.
Non riuscì a soffocare un singhiozzo. Si volse verso il ritratto di Albus, appeso dietro la scrivania.
Due anni. Erano passati due terribili, insopportabili anni, dalla sua morte.
Eppure avevano ancora tanto da fare, da dirsi...
Con un sospiro, ignorò le lacrime che cominciavano a scorrerle sul viso e chiuse gli occhi, per lasciarsi andare ai ricordi.

Voglia di stringersi e poi
vino bianco, fiori e vecchie canzoni
e si rideva di noi
che imbroglio era
maledetta primavera.


Qualcuno si avvicinò di soppiatto, e da dietro, le coprì gli occhi con una mano.
- Chi è?- Non c'era bisogno di chiederlo, sapeva benissimo a chi apparteneva quel profumo di limone e cioccolata.
- Indovina...- disse lui, ridendo. Lei sospirò. A volte era talmente infantile...
- Uhm, fammi pensare.- Fece finta di pensarci su.
- Albus?- chiese, tentennando.
- Come hai fatto a indovinare?- domandò, girandola.
- Intuito.- rispose, abbracciandolo
Poggiò la testa sul suo petto, ascoltando i battiti regolari dell'uomo e respirando a fondo il suo profumo. Se solo avesse saputo cosa sarebbe successo dopo, che non avrebbe più sentito quei battiti...
Lui la prese a braccetto e cominciarono a camminare.
- Dove mi porti?-
- In un posto dove possiamo ammirare meglio questo cielo stellato e goderci la fresca aria primaverile.-
- Ovvero?-
- Lo scoprirai presto.-
Minerva si rassegnò e si avviarono insieme verso una rampa di scale.
- Non credi che qualcuno ci possa vedere? Qualche studente?-
- No, non credo. Conosci qualche studente che si aggira nel castello all'una di notte?-
- Beh, veramente sì...- ammise, pensando al trio Grifondoro.
- No, non ci sarà nessuno, fidati.-
- Nessuno? E se ci vedessero i nostri stimati e riservatissimi colleghi?-
Lui la guardò, divertito. Fissata fino all'ossessione dell'immagine che dava di sé agli altri.
- Probabilmente ci riderebbero dietro. Di solito fanno così...-
- Cosa?! Lo sanno?!-
- Come hai detto tu stessa, sono talmente riservati che ormai lo sa tutto il corpo docenti...-
Lei alzò gli occhi al cielo.
Salirono sempre più in alto. Giunti davanti a una porta, lui le ordinò di chiudere gli occhi.
- Ma, Albus, è ridicolo!-
- Fallo, ti dico!-
Minerva chiuse gli occhi, ma mentre sentì la porta aprirsi, li aprì leggermente.
- Non sbirciare!- la ammonì lui, richiudendo la porta.
- E dai!-
- Chiudili!-
Lei strizzò gli occhi. Albus la prese per mano e la condusse dentro la stanza.
- Ecco, ora puoi aprire...-
Fece quanto richiesto e rimase a bocca aperta.
Erano sulla Torre di Astronomia. Se solo avesse saputo cosa sarebbe successo, quello stesso anno, su quella torre.
C'era un tavolino rotondo, con una tovaglia bianca e due sedie. C'era un candelabro a cinque braccia; un vaso di fiori, i più belli che avesse mai visto, e la tavola era apparecchiata per due. C'erano anche petali di rosa sparsi qui e lì.
Sentì una melodia alle sue spalle, si voltò e vide un grammofono. Si commosse: era la loro canzone.
- Mi concede l'onore di questo ballo?- chiese Albus, con un inchino.
- Con molto piacere.- rispose Minerva, inchinandosi a sua volta.
Cominciarono a volteggiare nella stanza, dimentichi del resto.
- Come stai stasera, mia cara?- chiese lui, a un certo punto.
- Vorrei che non mi chiamassi "mia cara".- rispose lei con una smorfia.
- Perché?-
- E' così che mio padre chiamava mia madre quando era arrabbiato.- gli spiegò, ricordandosi della volta in cui suo padre era venuto a conoscenza della vera natura della moglie. Da allora, la chiamava sempre "mia cara", non con affetto, ma con disprezzo.
- Che appellativo dovrei usare?- domandò lui.
- Fammi pensare.- ci pensò un po' su. - "Minnie" quotidianamente. "Mia perla", la domenica. E "mia dolce consorte" nelle occasioni speciali.-
- E come dovrei chiamarti quando sono arrabbiato? Signora Silente?- chiese, divertito.
- No, no. - lo contraddisse, con un sorriso. -Chiamami signora Silente solo quando sei completamente, perfettamente e ardentemente felice.-
- E come state questa sera, signora Silente?-
- Benissimo!- e scoppiò a ridere.

Se a mani vuote di te,
non so più fare
come se non fosse amore,
se per errore
chiudo gli occhi e penso a te.


Il giorno dopo, si svegliò da sola, nel letto. Trattenne a stento le lacrime. L'aveva fatto di nuovo: se ne era andato senza dirle nulla. Se ne andava e tornava tardi, di notte, ogni volta con qualche ferita.
- Dov'è che vai? Cosa fai per ridurti così?- gli aveva chiesto una volta, spazientita.
- Non posso dirtelo.- Poi, osservando le occhiaie della compagna, le aveva chiesto:
- Come stai?-
Lei, a quel punto, scoppiò:
- Come vuoi che mi senta! Mi sveglio tutte le mattine da sola, non trovandoti, sapendo che rischi la vita ogni santissima volta! Come credi che mi senta vedendoti tornare in questo stato?! Come credi che mi senta, sapendo che rischi di morire e non so nemmeno il motivo?! Come credi che mi senta, ad aspettarti sveglia tutte le notti, sapendo che potresti anche non tornare?! E tu ora avresti anche il coraggio di chiedermi "Come stai?"- urlò, scossa dai singhiozzi.
Albus a quel punto, l'aveva abbracciata.
- E' per una giusta causa, fidati.- le aveva mormorato.
- Non voglio perderti, Albus. Ho già perso troppe volte qualcuno a cui tenevo.-
- E non mi perderai.- la rassicurò lui, ma senza guardarla negli occhi.
- Me lo prometti?- chiese, speranzosa.
Albus sospirò. Lei l'avrebbe perso, e molto presto, anche. Sentiva la maledizione scorrergli dentro, lo divorava lentamente dall'interno. Sarebbe morto comunque nel giro di un anno.
- Te lo prometto.-

Minerva si asciugò le lacrime. Non aveva mantenuto la promessa, l'aveva abbandonata. Non ce la faceva a stare nel suo studio, non sopportava il fatto di sedersi alla sua scrivania, non sopportava il fatto di aver il suo ritratto dietro di lei, non sopportava il fatto che Albus fosse morto. Chiuse gli occhi, per ricordarlo ancora una volta. Conosceva il suo viso a memoria e, senza volerlo, appena chiudeva gli occhi, quell'immagine si presentava prepotentemente di fronte a lei, facendola soffrire ancora di più.

Che imbroglio se,
per innamorarmi, basta un'ora .


Si voltò per guardare il ritratto del suo ex-professore. Si ricordava ancora la prima volta che l'aveva visto.

-Buon giorno, ragazzi. Io sono il professor Albus Silente. Probabilmente molti di voi mi conoscono già. Per tutti gli anni che passeremo insieme, sarò il vostro professore di Trasfigurazione e anche il Capocasa dei Grifondoro. Ora, se volete prendere le bacchette, inizieremo col trasfigurare un fiammifero in un ago. -
Indossava una veste blu notte, decisamente in contrasto con i suoi capelli rossi. Gli occhi, azzurri come il cielo, brillavano e guardava i ragazzi attentamente, come per capire il loro carattere, la loro personalità.
Minerva si concentrò e fu l'unica che riuscì nell'impresa. Il professore le sorrise.

Quella lezione durò un'ora, ma era bastata per far innamorare quella ragazzina del suo sorriso, dei suoi occhi, della sua stravaganza. Si disse che avrebbe sempre cercato di renderlo fiero, e ci era riuscita, sia da insegnante che da studentessa.
Minerva si mise le mani al petto. Ricordarlo le faceva male, eppure non riusciva ad impedire ai ricordi di fermarsi.

Che resta dentro di me
di carezze che non toccano il cuore.
Stella una sola ce n'è
che mi può dare
la misura di un amore,
se per errore
chiudi gli occhi e pensi a me.


Si sfiorò distrattamente una guancia e rabbrividì. Si ricordava ancora di quando era Albus a compiere quel gesto, si ricordava del suo tocco leggero, che però bastava per farla arrossire come una ragazzina.
Si voltò di nuovo a guardare le stelle. Brillavano nel cielo e le ricordavano tremendamente il luccichio dei suoi occhi azzurri. Quando era felice, scherzava o stavano insieme, brillavano a tal punto che lei era certa che potessero illuminare l'intero cielo.
Chiuse di nuovo gli occhi. Era semplicemente più forte di lei. Non voleva dimenticarlo, non voleva dimenticare il suo viso.
Lui se ne era andato, se ne era andato per il bene del mondo magico. Se ne era andato, le aveva mentito, l'aveva abbandonata.
- E' accaduto troppo presto.- sospirò la donna. - Ma un giorno, ci rincontreremo, lo so.- aggiunse, sorridendo.

Che fretta c'era,
maledetta primavera.
Che fretta c'era
lo sappiamo io e te.

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