Incubo

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Sono in un bosco. O meglio mi sembra di essere in un bosco: c'è talmente tanto buio. Come sono finita qui?

Mi guardo intorno, ma non riesco a distinguere niente. Non c'è neanche un rumore, solo quello del mio respiro affannato. Cerco di percepire qualunque suono, ma niente. Stranamente ho i piedi scalzi e quindi sento perfettamente il terreno fangoso sotto i miei polpastrelli. Anche se l'idea di stare in mezzo al fango non mi entusiasma per niente, non mi resta far altro che camminare.

Sto procedendo alla cieca da quelle che mi sembrano ore, ma sembra che questo bosco sia infinito. Le gambe mi fanno male, credo anche di essere caduta un paio di volte e di essermele sbucciate. Il tatuaggio sul braccio brucia e non capisco il perché.

All'improvviso sento qualcuno urlare, ed è talmente inaspettato che credo di aver avuto un infarto. La persona che grida non smette e io decido di seguire quel suono spaventoso. Più mi avvicino a quei lamenti più capisco che è una donna.

Finalmente arrivo al limite del bosco: c'è un sacco di gente vestita in modo strano e c'è un odore terribile. La mia testa mi suggerisce che questo posto non è molto igienico.

Vedo un enorme fuoco in mezzo a quella radura circondata dal bosco e, incuriosita, decido di avvicinarmi. In mezzo al fuoco, legata ad un palo di legno, c'è una donna. Non riesco a vederla bene: le fiamme mi fanno cogliere solo una lunga gonna bianca.

Le persone che assistono parlano una lingua strana, che non riesco a capire. Indicano la donna e gridano. Un uomo sale gli scalini che portano più vicini al rogo e inizia a gridare. Sembra uno di quei cavalieri antichi con le armature di ferro che portavano quelle pergamene dove scrivevano gli ordini o le nuove tasse per i cittadini. Più parla e più forti sono le grida delle persone. Deve essere un uomo molto importante per avere quella influenza sulla gente.

Nessuno sembra vedermi. Guardo la donna e il rogo intorno a lei, cercando un modo per salvarla, ma appena la osservo meglio ... sbianco.

Quella ... quella sono io! Oh, Dio. Sono io! Scuoto la testa perché non è possibile, mi stropiccio gli occhi, ma niente, la donna è sempre lì. Adesso mi sta guardando: sta gridando: "Svegliati, Emma!". Svegliarmi? "Emma ... svegliati!"

Apro gli occhi e boccheggio. Sono in una stanza bianca, su un letto. Cerco di respirare più piano, ma credo che sto per avere un attacco di panico. Vedo mio padre che esce correndo dalla stanza, ma qui c'è ancora Derek. Si avvicina al letto e si siede di fronte a me, ai piedi del materasso.

«Emma? Emma, guardami!» mi prende il viso tra le mani. Lo sta facendo sul serio? Fa incrociare i miei occhi ai suoi. Cavolo se sono belli: sono di un castano scuro, quasi nero, ma verso la pupilla ha delle striature che sono ... oro? Sì, oro.

«Calmati. Non è successo niente: era solo un incubo. Va bene?» noto che il mio respiro sta rallentando e riesco a fare sì con la testa. Lui tira un sospiro di sollievo e il suo alito mi finisce dritto in naso: è buono, sa di menta e di qualcos'altro che non riesco a definire. Mi chiedo come sarebbe il suo sapore se lo baciassi. "Che cosa? Emma, riprenditi subito!". Scuoto la testa perché la mia coscienza ha ragione: non devo pensare a queste cose. Derek prende il mio gesto come se deve allontare le sue mani da me, e lo fa. Una vocina della mia testa dice che in realtà vorrei proprio il contrario. Si alza e raggiunge la sua postazione precedente, appoggiato al muro.

In quel momento mia madre entra e tutta trafelata si siede di fianco a me sul letto.

«Tesoro, tutto bene?» chiede, un po' preoccupata.

«Sì, è stato solo un incubo» nel dirlo guardo verso Derek, che se ne sta lì fermo a guardarmi. Era così calmo e sicuro di sé qualche secondo prima, pur essendo in una situazione davvero strana.

«Grazie» dico, rivolgendomi a lui.

«Dovere». Nella stanza cala il silenzio. Derek mi osserva in silenzio e il suon sguardo mi imbarazza: credo di essere arrossita.

«Andiamo, Emma. È tardi, andiamo a casa» dice mamma. Io annuisco e mi alzo dal letto. Ho le gambe stabili quindi inizio ad incamminarmi verso la porta, ma Derek mi ferma chiamandomi.

«Shane ti vuole qui domani mattina alle nove»

«Va bene». Esco dalla stanza e mi ritrovo in corridoio, i miei genitori sono dietro di me e mi seguono.

Sono a letto, in camera mia, ma non riesco a dormire: riesco a vedere quell' incubo a rallentatore e, più mi ricordo di qualsiasi dettaglio, più mi rendo conto di una cosa. Il cavaliere che urlava in quella lingua strana in mezzo a tutta quella gente era ... era Derek. Sì ... proprio Derek.

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