Little less conversation

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JUDITH

On Barking Road on an autumn day

I saw him first and knew that his blond hair

would weave a snare that I might one day rue.

Lavoravo da qualche anno, ormai, nell'ambiente dei pub. Il padre di uno dei miei amici di Nottingham gestiva una di queste bettole e mi aveva assunta durante gli ultimi due anni di liceo, nonostante non avessi ancora 21 anni. Passai ad un pub di York quando cominciai il college, lavoricchiando i fine settimana, perciò la mia esperienza ce l'avevo. Mi gestivo il bancone autonomamente e sapevo come tenere in una mano 4 boccali di birra, ma il mio problema erano le relazioni con i clienti. In tutti quegli anni nei pub, tra domande indiscrete e curiosi, avevo imparato ad amare la segretezza. Sembrava l'unica cosa che potesse rendere misteriosa e piana di fascino la vita moderna. La più banale delle cose diventava deliziosa se la si sapeva tener nascosta. E, in qualsiasi caso, io non ero una persona molto espansiva a prescindere. Avevo bisogno di conoscere almeno un po' una persona prima di aprirmi e non ero una chiacchierona. E a nessuno, fino ad allora, era venuto in mente, o si era interessato, di scassinare le mie saldissime porte blindate e spiare oltre il mio muro. Per questo, la maggior parte delle volte, mi limitavo a raccogliere le ordinazioni e a servire, senza essere troppo prolissa e curando l'efficacia piuttosto che la simpatia. Diciamo pure che non ero mai stata la barista spigliata e logorroica dei film. Io ero silenziosa, laconica, ma efficientissima. Nessuno si era mai lamentato del mio servizio, tranne forse per i miei pochi sorrisi. No, non sorridevo molto. Ero fatta così, al tempo. Poche persone erano riuscite a farmi sorridere genuinamente, ma le mie abitudini erano destinate a cambiare.

Come di consuetudine, feci scivolare perfettamente uno dei boccali lungo il legno traslucido e consunto del bancone, quando la mano del cliente l'afferrò, incurante della mia piccola performance. Ripresi a riempire altri boccali, quando altre persone entrarono nel locale, facendomi sudare freddo. Non avevo mai visto tanta gente, nè a Nottingham, nè a York. In proporzione, a quell'ora avrei già servito 4 volte l'intero pub, se fossi stata a Nottingham. Quella sera, dovevo ancora finire di servire tutti. Sospirai, sfilandomi la felpa grigia e sformata dalla testa, restando in tshirt. Non mi lasciai abbattere e ripresi a stillare birra a manetta, finché qualcun'altro non si appoggió al bancone e mi chiamó

-Gwen!!-.

-Arrivo subito- risposi ad alta voce, per sovrastare la musica e le chiacchiere e passai un altro boccale di birra al cliente per poi voltarmi e raggiungere l'altro lato del bancone. Più di qualcuno quella sera mi aveva chiamato Gwen ed erano tutti apparsi piuttosto sorpresi di trovare me, al posto di quella ragazza. E fu così anche per il giovane appoggiato al legno con l'avambraccio quando mi trovó di fronte a sè.

-Dimmi pure- sbottai, sfilando lo straccio dalla tasca del grembiule e pulendo il bancone dalle chiazze lasciate dai fondi di bicchiere. Mi schiaffai poi il suddetto straccio sulla spalla e mi posai con l'altra mano al banco, aspettando l'ordinazione. Il ragazzo, poco più vecchio di me, mi fissó stralunato, sbattendo le palpebre un paio di volte, prima di inarcate appena un angolo della bocca e rivolgermi un diffidente sorrisetto sghembo. Era alto, molto più di me, con dei sottili capelli scuri tagliati corti ai lati e con un leggero ciuffo, gli occhi scuri e vivaci di chi era li per divertirsi. Da sotto la felpa verde scuro, si delineavano nettamente le linee dei muscoli delle braccia e lo scollo a "V" appena accennato lasciava intravedere l'inizio dei pettorali, adornati da un qualche tatuaggio, che non potevo distinguere. Era bello, nel complesso. Molto bello. Ma non mi lascia distrarre e lo guardai, un po' infastidita. Avevo fin troppi clienti da servire e lui si concedeva lo sfizio di squadrarmi in quel modo.

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